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Da La Gazzetta del Mezzogiorno di venerdì 28 maggio 2004

Riceverà una medaglia da Ciampi

Una poliziotta leccese è la candidata italiana al "Premio Donne d'Europa"

Vice questore aggiunto, è nota per il suo impegno verso i bambini violentati

ROMA - Spazi per sé molto pochi. Il lavoro le prende almeno 12 ore al giorno. Dalle 8 alle 20 - «quando va bene» tiene a sottolineare -, sempre alle dipendenze di un «unico datore di lavoro: il cittadino». Nel suo caso, per sette anni, questo datore di lavoro ha avuto le sembianze dei più deboli della società, i bambini violentati ed abusati. A questi ha rivolto attenzioni professionali ma soprattutto umane. E' la cornice in cui opera una poliziotta, Mariella Primiceri, che oggi sarà premiata dall'Aipfe-Italia (Associazione italiana per la promozione delle donne d'Europa), candidata italiana al  «Premio Donne d'Europa 2004». A Primiceri, vice questore aggiunto della Polizia di Stato (da due anni in servizio al dipartimento di Pubblica sicurezza, servizio relazioni internazionali) verrà consegnata anche una medaglia di rappresentanza da parte del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi.

Avvocato, 42 anni, single, proveniente da Lecce, Primiceri è da 13 anni nella Polizia di Stato. «Ho fatto il concorso - dice - perché era difficile fare la libera professione a Lecce, satura di avvocati». Tre anni a Siracusa a capo del servizio volanti poi a Firenze nella sezione omicidi e nella sezione reati sessuali della Mobile. E' il 1994. Subito si è dovuta confrontare con il tipo di approccio con le vittime. «A Firenze - racconta la donna - ho vissuto una grossissima esperienza. L'impatto con le vittime è molto particolare, c'è bisogno dell'ascolto, dell'accoglienza, della disponibilità. Solo così si crea quell'empatia umana che rende possibile il nostro intervento».

Nel caso di minori, poi, la questione è ancora più delicata. «Dobbiamo evitare approcci inquisitori, conquistarci la loro fiducia. Magari passano dei mesi fino a che si crea un'apertura. Nel caso di violenza su minori, la maggior parte è commessa in famiglia. Questo rende tutto più difficile. Il bambino a volte non si rende conto di essere stato abusato, gli appare un gioco, a volte addirittura si sentono privilegiati perché si sentono desiderati. Percepisce però un senso di colpa perché gli si richiede di non parlare. Di fronte al rapporto di odio-amore per gli abusanti, i bambini hanno bisogno di tanta comprensione. Il nostro primo compito è quello di aiutarli a capire che hanno subito un reato e che per questo non sono responsabili».

«Se il lavoro è fatto bene - continua - i bambini si legano a noi. Restano dei rapporti affettivi molto forti, anche dopo anni ci si sente, sanno che nella loro vita siamo stati determinanti». C'è qualche bambino che ricorda in modo emblematico? Sono tanti i bambini, osserva la poliziotta che non vuole segnalare alcun caso particolare. Ma nella violenza sessuale in famiglia, afferma, le mamme sono spesso complici.

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