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Dal Nuovo Quotidiano di Puglia di sabato 17 luglio  2004

Sconcertante episodio nei campi, nei giorni scorsi. Il furto scoperto solo ieri

Storia scippata: rubato un menhir

L’appello: «Restituitelo». Ma si teme un’azione su commissione

VEGLIE - Potrebbe trattarsi di un vero e proprio furto su commissione o magari del gesto più o meno inconsapevole di qualcuno che ha pensato per così dire di far pulizia in campagna con un po’ di leggerezza di troppo, ma quest’ultima pista al momento resta secondaria in quanto poco verosimile.

Ignoti nei giorni scorsi hanno trafugato un menhir – blocco megalitico di origine preistorica utilizzato come tempio di culto e dono votivo alle divinità – rinvenuto pochi anni fa alla periferia di Veglie grazie ad un’archeologa del posto all’interno di un appezzamento a metà feudo al confine con Salice Salentino in località “La donna”.

Un bene di inestimabile valore storico menzionato in una serie di testi specializzati nonché in una pubblicazione locale curata da un gruppo di cultori vegliesi e visitato da numerosi privati e scolaresche.
Ad accorgersi dell’accaduto, ieri mattina, alcuni cittadini che si sono subito messi in allerta sporgendo denuncia presso la locale Stazione dei c carabinieri. Stando ai primi accertamenti il monolite sarebbe stato portato via, con ogni probabilità su un grosso camion, tra giovedì e venerdì scorsi o al massimo entro i due giorni precedenti, nottetempo, con la complicità del buio che avrebbe facilitato l’operazione facendo passare inosservati gli autori.

«Un furto insensato – così lo definiscono gli “Amici del menhir” del gruppo di Veglie – perché trasportare quella pietra altrove significa privarla del suo significato originario. E’ un blocco appena squadrato che ha una sua giustificazione storico-archeologica solo laddove secoli fa è stato eretto. L’ignoto trafugatore dovrebbe pentirsi e restituirlo alla comunità».

Dietro l’episodio si potrebbe però celare una banda specializzata in furti su commissione di beni di una certa valenza storico-artistica che andrebbero ad abbellire residenze di appassionati del genere.

 di Fabiana Pacella

 

L’esperto: «In quelle pietre il legame con l’antico Egitto»

Oltre diecimila anni fa, nell’era neolitica, i nostri progenitori spostandosi lungo un asse tracciato tra Egitto e Salento, passando per Malta, lasciarono i segni della loro civiltà attraverso un singolare filrouge fatto di grossi blocchi di pietra alti tra il metro e 60 e il metro e 80 centimetri, incisi, larghi e profondi all’incirca 30 centimetri, che rappresentavano un po’ il tramite con l’aldilà. Dei veri e propri templi di preghiera dove fermarsi a invocare e ringraziare le divinità per i loro doni fecondi. Menhir il loro nome. A vederli così potrebbero sembrare dei grossi blocchi di pietra ma il significato che racchiudono parla di impronta originaria della nostra civiltà giacchè proprio nel Salento che di tali monumenti si perdono le tracce come quasi in un punto d’arrivo e di non ritorno.

«Il menhir trafugato nei giorni scorsi – spiega Alberto Signore, responsabile del gruppo “Amici dei menhir” – conclude l’allineamento di 30 monoliti che si seguivano a partire dalle colline sovrastanti Trepuzzi fino ad arrivare alla zona paludosa alle porte di Veglie e di cui sono stati rinvenuti solo quattro esemplari». Una popolazione nomade giunta dunque forse dalle terre di Tutankamon si era insediata stabilmente nell’area nord di Lecce e testimonianza ne sono proprio questi singolari massi. «Di cui nel mondo non vi sono altre tracce di particolare rilievo giacchè anche i pochi esemplari rinvenuti ad esempio in Francia risalgono ad un periodo molto più recente – continua Signore -; si tratta di un patrimonio del tutto nostro e purtroppo non valorizzato ma anzi trascurato a vantaggio di altre risorse e referti come di monumenti per così dire più comuni. Nei menhir, primo monumento di culto nato dalle mani dell’uomo, la civiltà megalitica salentina trova la sua massima espressione».


Di F. Pac.

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