da "Dania" - Venerdì 3 Gennaio 2003
LA SOLITUDINE DEI PRETI SCOMODI Solo Iddio può scrutare nel profondo degli animi e leggere, in ogni istante e nei pensieri più nascosti, le gioie e i tormenti di ogni essere umano. Noi possiamo solo immedesimarci nelle situazioni, immaginando cosa avremmo provato, come avremmo voluto comportarci e quanto avremmo voluto che gli altri comprendessero il perché delle nostre scelte.
DON LORENZO MILANI Chi non ha mai sentito parlare di Don Lorenzo Milani, il Priore di Barbiana? Vorrei che coloro che lo hanno ritenuto "sorpassato" si riprendessero in mano la sua corrispondenza e la sfogliassero fino ad arrivare a quella intercorsa fra lui e il Cardinale Ermenegildo Florit. Vorrei leggessero le date, così da scoprire che una lettera inviata da Don Milani in data 5.3.1964, in cui chiedeva al suo Superiore un atto solenne che onorasse il suo apostolato svolto presso le comunità di Calenzano e di Barbiana, ottenne risposta solamente il 25.1.1966, quando era già gravemente ammalato.
Così il Vescovo motiva il lungo silenzio: […] Ti sei lamentato che non ti ho mai risposto a quella lettera. Non lo feci perché volli attribuire quel tuo sfogo a uno stato d'animo di pena e di dolore, cui non era dovuta una risposta polemica, come ero tentato di dare, ma la comprensione o almeno il silenzio. […]
Un padre riceve una lettera dal proprio figlio, lo riconosce in preda a pena e dolore e… anziché correre per accertarsi di persona della situazione, per consolare, appoggiare o anche ammonire e correggere, se necessario, tace e resta gelidamente lontano…
Come se non bastasse, dopo due lunghi anni di perfetto silenzio sarà lui, il Vescovo, a rinfacciare a don Milani una carenza di paternità: […] il fatto poi che sei stato per anni a Barbiana, credo sia dipeso da questo: i tuoi superiori hanno creduto di non riconoscere in te la necessaria disposizione alla carità pastorale, ma piuttosto lo zelo fustigatore che ti fa apparire dominatore delle coscienze prima ancora che padre. […]
Nel suo testamento don Lorenzo, questo prete accusato di non possedere senso paterno, scriverà ai suoi ragazzi: […] "Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto sul suo conto." […]
Non occorrerà leggere altro per immaginare in quale solitudine fosse stato lasciato questo giovane prete. Anche se confinato in uno sperduto paese di montagna, egli seppe far sentire al mondo la sua voce chiara e lungimirante su argomenti come l'obiezione di coscienza, l'insegnamento, l'apostolato: tutti torti che andarono a sommarsi a quello d'aver scelto di schierarsi dalla parte dei più piccoli, per farli divenire, semplicemente, cittadini informati ed autonomi, oltre che buoni cristiani.
DON OMOBONO BUSOLLI Era Don Bono per gli adulti, Bombono per i piccolini: in realtà si chiamava Don Omobono. Ufficiava in una parrocchia Milanese. Attivo all'inverosimile, sempre sorridente, sempre pronto ad ogni richiamo, ad ogni richiesta. Era tra le giovani dell'oratorio, che riusciva a svolgere al meglio la sua vocazione di sacerdote, religioso Rosminiano.
Andava sempre al nocciolo delle questioni, l'esteriorità per lui non contava. Non sopportava il perbenismo di una certa categoria di baciabanchi: diceva pane al pane e vino al vino e questo non era gradito a tutti, anzi, era sgradito a molti!
Una divergenza d'opinioni, una disobbedienza al Prevosto? Non volle se ne discutesse per non creare ulteriori incomprensioni. Fu allontanato da Milano, da quella parrocchia che aveva contribuito a far sorgere; dalla sua comunità aperta e pronta alle novità. Coerente al voto di obbedienza, ma con umano rammarico, si preparò alla partenza, col suo bagaglio composto da quattro misere cose.
Ricordo le sue parole-testamento pronunciate durante l'Omelia della Messa d'addio: "Che nessuno abbia mai a pentirsi d'avervi conosciuto"!
Da Roma scriverà: "Io, dopo i vari sballottamenti mi sono fermato a Roma. A Montecompatri ho trovato semaforo rosso e me ne sono tornato sui miei passi. Chi ci capisce qualcosa è bravo. Ora sono qui in deposito, fino alla prossima estate, in attesa del "verde" per Montecompatri".
Dopo vari e incomprensibili Stop, fu assegnato ad un paesetto sperduto della Sicilia, dove, con la gente che frequentava la chiesa, nonostante la buona volontà, non gli riuscì d'instaurare qualcosa che potesse assomigliare a un dialogo. Troppo il divario tra mentalità e troppo diverso il linguaggio. L'espressione: "No, no, Parrino, cosa hai capito?" Era divenuta un classico.
Messo a dura prova dalla solitudine in cui si trovò relegato, perché un prete che non riesce a farsi comprendere dai fedeli a lui affidati, non può che sentirsi solo, lasciò la congregazione religiosa.
Trovò accoglienza nella diocesi Trentina. Con l'incarico di cooperatore fu assegnato alla parrocchia di Folgaria da dove scriverà: "Sì, è stato un salto meraviglioso quello che ho fatto dai fichi d'india ai ghiacciai, specialmente perché quassù posso almeno comprendere quanto mi dicono e farmi capire, nel giusto senso, quando parlo io […]. Chissà perché mi han fatto sparire da Milano; ci si intendeva così bene! […] Come sono contento di sentirvi dire che il nostro incontro vi ha permesso di guardare ai veri valori e non al "che cosa dirà la gente"; a rispettare le idee altrui qualunque esse siano; a voler scoprire le buone intenzioni che formano la realtà della persona al di sopra degli alti e bassi che si possono avere!" […]
In seguito fu incardinato nel clero diocesano. Lo videro parroco Sover e Valda: paesi della Valle di Cembra, così come Lisignago, ultima residenza terrena. Il suo cuore grande, buono e generoso, sempre attento ai bisogni di tutti, all'infuori di quelli della propria persona, lo tradì troppo presto…
DON VITALIANO DELLA SCALA Può capitare che il telecomando del televisore venga fatto scattare inavvertitamente e che sul video appaiano personaggi le cui vicissitudini interessano milioni di persone e anche te. Che fai allora? Ti siedi comodamente là davanti, guardi e ascolti. Ma se sei amico di un giornale seppur locale, sia esso cartaceo o virtuale, prima corri a prendere lapis e notes, per prendere appunti.
Così mi è accaduto, il 3 dicembre scorso, di sintonizzarmi su "LA 7", e d'imbattermi, purtroppo a discussione già inoltrata, nel programma "Otto e mezzo", condotto da Giuliano Ferrara e Marco Sofri.
Sulla "graticola" era posto Don Vitaliano Della Sala, il religioso di cui tanto si sta parlando per la sua partecipazione alle manifestazioni anti-global, a cui ha fatto seguito la decisione del suo Superiore di sollevarlo dall'incarico di parroco, non proponendogli un "confino", ma un prepensionamento. (Forse perché Sant'Angelo a Scala, in Irpinia, è già di per sé un luogo di raccoglimento).
Ecco uno stralcio della lettera di licenziamento per Don Vitaliano, redatta da Monsignor Tarcisio Giovanni Nazzaro, Abate di Montevergine.
"[…] "ti ammonivo formalmente esortandoti a modificare il tuo comportamento che arreca turbamento alla comunione ecclesiale", ma tu "hai continuato a dissentire pubblicamente", perseverando "nella frequenza di centri e associazioni noti per diffusione di idee in contrasto con la dottrina e l'insegnamento della Chiesa e che non rifuggono dalla violenza; a norma del diritto canonico "decreto la tua rimozione dall'Ufficio di Parroco di Sant'Angelo a Scala". "Al momento non ritengo di doverti assegnare altro ufficio ecclesiale, ma "una pensione". Don Vitaliano, "ti asterrai dall'esercizio di qualsiasi funzione legata all'Ufficio di Parroco e lascerai libera quam primun la casa parrocchiale. Il Signore ti illumini". (Corriere della Sera, 29/11/02 pag. 17)
Al dibattito della trasmissione Otto e Mezzo intervenivano, in collegamento esterno, Padre Piero Gheddo, missionario e scrittore del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere) e Don Andrea Gallo - un prete da marciapiede - fondatore della Comunità "San Benedetto al Porto" di Genova.
Il primo "contro", l'altro "pro" Don Vitaliano, se i due termini possono passare per buoni.
Padre Gheddo, intercalando i suoi interventi con delle risatine, diceva: don Vitaliano, hai giurato fedeltà alla Chiesa, al Vescovo, al Papa: punto e basta! Condanno i no-global. Ci sono, nel Terzo Mondo, numerosi missionari italiani che danno la vita!
Don Gallo, invece: l'obbedienza, sì, la voce di Dio, sì, ma il Vescovo deve ascoltare, fare riflessione in tutta la diocesi: il Popolo ha voce? Ha parola? … Don Vitaliano, non sei in pensione, sei in comunione!… Ti aspettiamo a Genova!
Ferrara incalzava l'ospite in studio: E' vero Don Vitaliano che lei ha proposto di dare L'8 ‰ alla Chiesa Valdese? E' vero che lei è amico di Bertinotti?
E Don Vitaliano, col suo sorriso pacato: La mia era una protesta. Non ci sono strutture… L'8‰ anche per le strutture parrocchiali!… Ho chiesto e non mi hanno dato un finanziamento per l'oratorio… Il Vescovo dice che Rifondazione Comunista mi finanzia per distruggere la Chiesa dall'interno… M'affido al Padreterno: il Vescovo m'ha mandato in pensione… in pensione a 39 anni!…
Dopo un ultimo ripasso sul quesito: "Esiste o no, la libertà di coscienza?" Ferrara e Sofri congedavano gli ospiti, mentre la televisione, ligia al palinsesto, passava a trasmettere altro.
Delle vicende di don Vitaliano e della decisione del Suo Vescovo, non hanno mancato di occuparsene i giornali, coinvolgendo anche la gente comune: leggo un'e-mail sulla pagina delle opinioni del Corriere dell'undici dicembre:
"Don Vitaliano-Posizione della Curia. La posizione assunta dalla Curia riguardo don Vitaliano mi sembra corretta. Stiamo parlando di un religioso che, durante le violenze e le devastazioni genovesi era proprio lì, in mezzo ai terroristi che distruggevano vetrine e incendiavano autovetture. Può una persona del genere parlare a nome della chiesa, portatrice di amore e carità? Aiutatemi a trovare tutto ciò nelle parole e nei fatti di Don Vitaliano e sarò felice di cambiare idea… M.A."
Interrogativi che sembrano non fare una piega. Però, riflettendo: Don Vitaliano, in quanto religioso, è Ministro del Sacramento della Confessione. Come tale, immagino si sia trovato più volte, nella penombra del confessionale, ad ascoltare le colpe altrui. Veniali? Mortali? Confessioni di ruba-marmellata o, Dio non voglia, di violenti o assassini? Come prete non può fare distinzione fra peccatore e peccatore; non può fuggire, deve restare là ad ascoltare; e sarà poi tenuto, comunque, a mantenere il segreto! Ditemi: una persona del genere potrà ancora venirci a raccontar parabole di amore e carità?
Se proprio è necessario che se ne parli, quello che ci devono dire non è tanto se Don Vitaliano era in questa o quell'altra piazza, ma se ha usato violenza contro qualcuno; compiuto atti vandalici o aizzato altri a compierli; perché se ha solo scelto di marciare, o comunque di manifestare contro qualcosa che riteneva e ritiene ingiusta, altro non ha fatto che esercitare il suo diritto di pensiero, parola, critica ed opinione.
Lo hanno sentito gridare a Genova: ma chi non gridava in quella piazza, in quella bolgia che s'era formata, da non riuscire più a distinguere i violenti dai non violenti, le tute nere dalle tute bianche?
C'è poi la questione dei Centri Sociali. Se don Vitaliano, come un qualsiasi altro prete, decide di frequentarli, non c'è da chiedersi se non lo faccia per concretizzare la sua missione pastorale? Perché è proprio in quelle strutture che si ritrovano tanti giovani sommersi da problematiche, che per affrontarle spesso non sanno a chi rivolgersi! Una volta là, il sacerdote potrà incontrarli e guadagnarsi la loro fiducia proponendo un aiuto fraternamente cristiano.
Giovane tra i giovani e ultimo tra gli ultimi: potrebbe essere questo lo spirito di Don Vitaliano. Dovrebbe allora poter contare su tutto l'appoggio e tutta la paterna comprensione del suo Vescovo e non essere licenziato e lasciato solo! Che il Signore illumini Monsignor Tarcisio Giovanni Nazzaro!
Esiste una costante che accomuna i preti scomodi: la povertà e la scelta di mettersi, incondizionatamente, dalla parte degli ultimi (peculiarità della Santa Madre Chiesa, queste), nonché lo smarrimento nel non sentirsi appoggiati nei loro slanci di fede e di carità proprio dai loro Superiori, più disposti ad esiliarli che a comprenderli.
Troppo spesso, certamente in buona fede, viene loro ordinato di "non" essere se stessi, di non seguire i dettami della loro coscienza, della loro generosità e della loro sensibilità, nonché della loro intelligenza. Troppo spesso si dimentica che tutti sono tenuti ad osservare il comandamento della carità: le angherie, le delazioni, le umiliazioni e le maldicenze, non regalano santità, ma dolore, solitudine e sconforto, delle cui conseguenze ognuno, Superiore o subalterno, religioso o laico, dovrà un giorno rendere conto. Dania
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