Indice Generale                                           Lettere Indice Lettere

da "Fernando"  -  12 maggio 2004

Surfing italiano

  Di surf quasi tutti ne sappiamo poco o niente. Forse non sapremmo neanche da quale lato mettere la tavola in mare. Rimaniamo però tutti incantati quando qualche volta capita di vedere in tv i campionati di surf che si svolgono in qualche parte del mondo.

Sapere che ci sono ragazzi spinti dalla passione per le “onde perfette”, ad attraversare il mondo pur di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, non fa altro che farci ammirare-invidiare quelli che praticano il surf. Di queste onde loro sembrano conoscere tutto. Il momento in cui nasceranno, la loro direzione, la loro durata. Onda e surfer sembrano una coppia di ballerini che danzano insieme.

I surfer però perderebbero tutto il loro fascino se invece di andare alla ricerca dell’onda perfetta rimanessero nel loro “tranquillo mare” ad aspettare un’onda da cavalcare, ad aspettare un’onda che al momento giusto li possa portare sulla spiaggia. E se l’onda poi non dovesse arrivare allora non sarebbero mai dei surfer né tanto meno dei veri campioni di surf.

Ancora più squallido sarebbe vedere questi pseudo surfer che al momento opportuno approfittano, per assurdo, di un’onda provocata da un maremoto o da una mega-nave che affonda. Un ipotetico spettatore vedrebbe nel punto di partenza dell’onda gente che soffre, mentre nel punto di arrivo della stessa onda gente che cavalca felice sulla spuma per arrivare sulla propria spiaggia. Sarebbe uno spettacolo quanto meno “poco sportivo”.

Ora pensate a quello che è accaduto in Iraq con i raccapriccianti episodi di tortura fatti ai danni di prigionieri iracheni.
Pensate poi a tutto quello che si sta dicendo in Italia, sull’Italia e dell’Italia riguardo a questi episodi.
Si ha l’impressione che qualcuno voglia, per forza di cose, che l’Italia e i soldati Italiani abbiano una colpa in tutto questo. Qualcuno è arrivato anche a domande surreali:
“Se non hanno colpa, perché non ce l’hanno?”
oppure
“Anche gli italiani dovevano sapere e se non sapevano, perché non lo sapevano?”
La risposta a queste domande potrebbe essere che gli italiani non stanno facendo altro che il loro dovere di missione di pace nonostante siano continuamente in mezzo a sparatorie, oppure che fra i compiti degli italiani non c’è quello di fare prigionieri o di mantenere un carcere.

Coloro che pongono questo tipo di domande potrebbero essere un esempio di pseudo surfer. Di persone che cavalcano un onda per raggiungere la propria spiaggia approfittando non di un’onda voluta e cercata della quale si conosce tutto ma di un onda anomala passata per caso dalle proprie vicinanze e che non si sa dove porterà.

Ci sono molti motivi per criticare la guerra e questa in particolare. Ci sono anche molti motivi per criticare o elogiare, a seconda delle proprie opinioni, la partecipazione degli italiani in questa guerra. Approfittare però di quello che è successo nelle prigioni dove sono stati torturati gli iracheni da parte degli americani per screditare la partecipazione degli italiani a queste missioni sembra molto fuori luogo. Questi “surfer” rischiano di non saper guidare il loro surf su quest’onda anomala e di rimanerne travolti.

E’ vero, è successo in altre missioni, vedi Somalia, che alcuni soldati italiani avessero fatto dei soprusi verso i prigionieri. Queste situazioni furono portate alla luce grazie ad un giornalista.
Se anche questa volta sono stati fatti dei soprusi da parte degli italiani o se hanno delle colpe in quelli fatti dagli americani sicuramente saranno portati alla luce. E questo avverrà non certo in primo luogo per un senso di giustizia, ma principalmente per motivi “venali”. Queste storie hanno infatti tre protagonisti: chi subisce le torture (i torturati), chi affronterà la giustizia (i torturatori) e chi farà una fortuna (il fotografo dell’occasione o il testimone di turno).

In questa guerra fatta di notizie, oltre che di bombardamenti e sparatorie, se ci saranno colpe anche da parte degli italiani queste verranno fuori. Non certo per merito di qualche interrogazione parlamentare, ma di sicuro grazie a qualche giornalista con il fiuto giusto.

Non è, questo, né il momento né l’occasione adatta per dimostrare che i soldati italiani non sono nel posto giusto nel momento giusto. Se qualcuno (italiano, americano, inglese o altri) ha commesso dei soprusi che sia punito chi li ha commessi. Perché condannare un intero esercito per la depravazione di qualcuno?

Chi ha effettuato quelle torture va sicuramente trattato peggio di come sono stati trattati gli iracheni. Su questo non ci sono dubbi né giustificazioni per quello che hanno commesso. Ma alimentare discussioni e interrogazioni in tutto il mondo non fa altro che allontanare il termine di questa guerra. In questo modo non si fa altro che alimentare il risveglio di coloro che hanno fatto della loro vita una missione di morte, di coloro che pensano che uccidersi uccidendo decine o centinaia di “infedeli” li porti in un “paradiso” indescrivibile.

Molte cose ci sarebbero da fare per permettere alla guerra in Iraq di terminare prima possibile. Una, piccola, fra le tante, potrebbe essere quella di non usare qualsiasi avvenimento riguardante la guerra in Iraq per scopi elettorali (in Italia come in tutti i Paesi).
Ogni piccola parola che viene detta in queste occasioni viene trasportata dal vento dei mass-media nei luoghi di guerra, viene reinterpretata a seconda di come serve alimentando il fuoco dell’odio e cancellando ogni possibile spiraglio di dialogo.

Intanto noi godiamoci nei telegiornali i nostri campionati italiani di “surfing”.
Buona visione.

Fernando