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  Dario Ciccarese - 11 Gennaio 2010

 

"Troppa tolleranza"

un'affermazione che può generare odio

 

La cronaca di questi giorni ci informa degli scontri, dei disordini che si sono verificati a Rosarno, piccola cittadina della Calabria.

L'8 gennaio 2010, un servizio del TG1 delle 13:30 titolava esattamente così: "TROPPA TOLLERANZA" .

Chi ha pronunciato queste parole è un Ministro, riferendosi agli scontri avvenuti nella cittadina calabrese tra extracomunitari e forze dell'ordine e anche qui, come qualche mese fa nel napoletano, c'è stata una reazione violenta dei cittadini locali nei confronti degli immigrati.

Tornando all'espressione in questione, cioè "TROPPA TOLLERANZA", di proposito non cito il nome del ministro, anche perchè è di pubblico dominio, poiché non è mia intenzione spostare l'attenzione sul chi sia e quale appartenenza politica abbia per poi colpire o colpevolizzare, tutti hanno sentito e sono in grado di giudicare.

E' mia intenzione, invece, invitare a riflettere sul peso che può avere una simile affermazione, sia che venga fatta durante un discorso tra amici al bar o ancora peggio da un rappresentante di governo.

Detta tra amici è come un piccolo seme dell'odio che cresce e si radica sempre più passando da bocca in bocca; pronunciata da un uomo di governo e replicata su tutte le edizioni dei tg, a partire da quelli nazionali sino a raggiungere le viscere del popolo con le edizioni locali, fa da fertilizzante a quel seme.

L'attuale crisi economica che fa da cornice a tutti questi scenari rende ancora più avventato e pericoloso fare simili affermazioni.

In una società in cui la percezione della sicurezza sbiadisce sempre più lasciando spazio ad un crescente sentimento di paura, denunciare che c'è troppa tolleranza nei riguardi degli immigrati aiuta soltanto ad amplificare ed accelerare questo processo.

La paura dà origine a sentimenti di odio razziale e ad ostilità verso il nuovo e il diverso e per questo la paura diventa più temibile delle cose solitamente temute.

Pensare alla nostra sicurezza è ragionevole, ma subordinare tutto alle ragioni della propria sicurezza porta quasi sempre alla rinuncia a cogliere opportunità, al rifiuto di promuovere il progresso, all’incapacità di attivare lo sviluppo.

Poniamoci questa domanda: e se la nostra sicurezza non dipendesse tanto dalla minaccia alle cose possedute, ma piuttosto dal numero di cose superflue che ancora non possediamo e vorremmo possedere?

Ammettiamolo, noi ci aggiriamo tra "negozi e ristoranti", gli extracomunitari tra "miseria e sfruttamento".

La nostra sicurezza sta nella cecità di osservare o nel coraggio nell'affrontare le sfide?

Non va giustificata la violenza usata dai dimostranti, così come non va giustificata l'intolleranza manifestata sia dal ministro che da chi ha aperto la caccia all'immigrato, poiché sia la violenza che l'intolleranza sono figlie dell'incapacità di capirsi.

“Abbiamo chiamato noi gli africani a raccogliere aranci, consci che nessuno lo farà a quel prezzo e per tante ore (25 euro per un giorno di 16-18 ore; 5 euro vanno a caporali mafiosi e autisti di pullman).”

Pertanto, non rinunciamo alle nostre libertà in nome di una sicurezza che spesso è solo una menzogna buona a garantire consensi elettorali.

Rischiamo perchè il rischio è il motore stesso della crescita umana e civile.

“Gli africani sono una comunità mite ….. salveranno Rosarno e forse l’Italia, come scrive Roberto Saviano”

“Le rivolte di questi giorni discendono dal fallimento dello Stato.”

 

Veglie, 11 Gennaio 2010

Dario Ciccarese