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Quindi il calcio che si presta a
queste "faide" collettive. Scendere in campo di questa o quella
squadra significa essere pronti a qualsiasi conseguenza, non escluso
il ricorso alle cure mediche. Anzi, spesso queste cure erano la
posta in palio tra squadre rionali dello stesso paese. La "pezza
ti lu casu" che sfida la "sfrata ti Salice", mentre "lu
cafè fausu" incontra per un'ennesima sfida "la strata longa",
che annovera oriundi "ti lu Sannà".
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D'altronde la stessa parola, sport,
traduzione monosillabica del francese "se deporter" non significa
divertirsi, togliersi fuori, svagarsi? E allora fare sport è
divertirsi in tutti i modi, il migliore, è giocare a calcio.
Ripercorrere le gesta calcistiche dei nostri vegliesi ha significato
e significa interessarsi ai progressi, ai regressi del costume, allo
status economico e culturale del nostro paese, alle condizioni
sociali nostre e degli altri. Non ci meraviglia più di tanto
se la storia calcistica passa attraverso una passione bruciata
primariamente nel cortile dell'oratorio, della chiesa vicino casa.
Delle continue liti con il Parroco, del dilemma tra "dottrina" e
"partita di pallone". Fortunato chi riusciva a conciliare le due
cose, si risparmiava un sacco di colpi di chiave sulle mani.
(Ricordo don Giovanni Tondo, il caro don Giovanni, quanto ha
faticato per educarci).
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Quindi, questo popolo di Santi, di
Eroi, di Poeti, di Navigatori e Martiri, ha coltivato, nel corso
degli anni, questa insana passione, rendendo il calcio il solo sfogo
culturale dinamico della dea domenica. Nessun giudizio di merito.
Noi, nel congedare alle stampe questo
lavoro, sentiamo solo il dovere di ringraziare tutti coloro che
hanno partecipato, direttamente o indirettamente, alla buona
riuscita dello stesso, ed augurare buona lettura e buoni ricordi!
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