da "Veglie News" - Lunedì 30 Dicembre 2002 Cultura comunque! Caro Claudio, ho letto il tuo articolo pubblicato su Veglieonline, e mi sento in dovere di risponderti dato che il mio modo di vedere il problema (perché in effetti di un problema si tratta) è leggermente diverso. Prima di iniziare il mio intervento, voglio precisare che anche io ho “la colpa” di non aver assistito alle prime due manifestazioni “culturali” promosse dall’Amministrazione Comunale in questo Natale 2002. Quindi anche io, questa volta, faccio parte di tutti quelli che non hanno dato il loro impegno alla riuscita di questi eventi.
Detto questo, vorrei sottolineare innanzitutto la domanda che ci poni: “Ai vegliesi interessano tutti questi concerti natalizi?”.
Non è invece il caso di avere un atteggiamento diverso? Vale a dire: “Perché non coinvolgere i vegliesi anche in questi concerti natalizi ed in tutte le altre manifestazioni “culturali” che si svolgono a Veglie durante tutto l’anno?”
I vegliesi, parlo per esperienza personale, hanno tanti pregi ma anche un grande difetto: Non apprezzano quello che si fa nel loro paese e ancora meno apprezzano quello che fanno i loro concittadini per la comunità Vegliese. Sono i primi a criticare quello che si fa a Veglie in Ambito “culturale” e in quello del “volontariato”. Sono i primi invece ad applaudire e a lodare quello che si fa in altri paesi. Non si rendono conto che molto di quello che viene fatto a Veglie è invidiato dai paesi a noi vicini.
Nel tuo intervento dici: "spettatori non più di dieci! Non è il primo anno che accade questo, anzi è da circa tre anni…”
Perché invece non metti in risalto la bravura dei musicisti, non racconti quello che hanno fatto e fai capire a quelli che non sono andati a vederli (e in questi purtroppo mi metto anche io) cosa hanno perso. Perché non fai capire che perdere queste manifestazioni equivale a perdere dei momenti di “crescita culturale”. Sempre nel tuo intervento dici: “E’ obbligatorio proporre sempre dei concerti…?” A me risulta, ma posso anche sbagliare, che questo tipo di manifestazioni sono promosse dagli stessi protagonisti. E’ vero che è l’Amministrazione Comunale che da il suo appoggio, ma sarebbe peggio se non desse il suo patrocinio in queste cose. Sono d’accordo sul fatto che cultura non è solo musica; che l’Amministrazione Comunale e in particolare l’assessorato alla cultura non è ricco di idee spontanee; ma è anche per questo che a Veglie esistono numerose associazioni culturali. Servono a non lasciare solo agli amministratori il compito di ideare manifestazioni. Hanno il “dovere” di inventarsene sempre di nuove e di diverse seguendo la “spinta culturale” del momento e cercando di soddisfare la richiesta dei ragazzi vegliesi. E’ molto facile criticare gli altri per quello che non fanno. Il difficile è rimboccarsi le maniche e impegnarsi a fare quello in cui si crede. Molto spesso questo è stato fatto: da associazioni, da gruppi di giovani e da molti altri (lo hai fatto anche tu Claudio e l’ho fatto anche io), ma quanta partecipazione c’è stata da parte dei vegliesi?
Allora, non critichiamo chi organizza questi eventi o chi li mette in atto. Cerchiamo di coinvolgere tutti, e in tutti i modi, a partecipare a queste manifestazioni. Invece di criticare, uniamoci insieme a tutti i vegliesi e pretendiamo uno spazio “culturale” adatto dove fare manifestazioni in maniera seria. Evitiamo di farle in spazi improvvisati che niente hanno a che fare con eventi teatrali o musicali.
Nell’aria ci sono già tante idee pronte per essere sviluppate, compreso il “teatro in vernacolo” che tu chiami “semplice” ma che ritengo “teatro di cultura”, (forse cultura locale ma comunque cultura). Purtroppo ad oggi non esistono spazi adatti dove poterle mettere in atto. Ormai non basta più la classica “palestra delle scuole Marconi”. Abbiamo bisogno di spazi adeguati per queste cose. Di questo dobbiamo occuparci. Non di criticare quello che finora si è riuscito a organizzare. Di quello che finora si è fatto dovremmo essere orgogliosi e continuare a seguire con molto interesse e, perché no, con un pizzico di “campanilismo” che a noi vegliesi manca. Per concludere un ultimo appunto che riguarda l’eccessivo uso della parola “cultura”. Sì, forse è vero, siamo affetti tutti da “Culturalismo”. Ma se evitassimo di associare la parola cultura ad un concetto nozionistico e facessimo diventare culturale tutto ciò che serve a creare aggregazione sociale, riusciremmo ad avere un paese ricco di nuovi fermenti e di vitalità creativa che farebbero bene, tra le altre cose, anche ad un ulteriore sviluppo economico del nostro paese creando, perché no, posti di lavoro in settori finora assenti a Veglie (teatro, cinema, spettacoli, ecc. ecc.).
Per Claudio, con rispetto. Fernando Leardi |
da "Cosimo Fai" - Martedì 31 Dicembre 2002 "Avanti il prossimo, con serenità!" Caro Fernando, mi hai sollecitato a leggere quanto da te scritto in risposta all’articolo pubblicato su Veglionline, chiedendomi un parere. Quello che ti invio è da ritenersi tale, cioè un semplice parere personale, contributo sereno ad una discussione che tratta un argomento assai scottante e spinoso, affrontando il quale si può facilmente rimanere disorientati. Il titolo dell’ articolo la dice lunga e la dice tutta su un certo modo di pensare, ma soprattutto di agire: "Pensieri appuntati". Appunto.
Tutti, anche mio figlio, a venti mesi, ma anche il mio cagnolino, io stesso perfino riesco a formulare un pensiero. Cioè un flash nello scorrere della vita che mi autorizza a credere di essere vivo. Nel corso della nostra giornata, (aspetta, devo fare alcuni calcoli, dunque in un giorno 24 ore, ogni ora sessanta minuti, ogni minuto sessanta secondi, all’incirca 86400 secondi al giorno, compresa la notte), 86400 secondi vengono tradotti in pensieri, e se uno poi è bravo, in un secondo può sviluppare anche più di un pensiero, e non so dove andiamo a finire. Nel corso di una giornata tipo, di una persona tipo, con una vita tipo, quanti mila pensieri si sviluppano. Solo quelli del mio cagnolino non riesco a comprendere, solo perché non ha voglia e tempo di rendermi partecipe, solo quelli delle persone che incontro, non comprendo, sol perché nessuno ha più tempo e voglia di raccontarmeli, e quando quei pensieri mi vengono raccontati non sono io più disponibile a condividerne la trama, perché non sono quelli che io farò fra tre secondi, e che reputo essere i soli pensieri veri e degni di avere un tal nome. E allora a questi pensieri mettiamoci un punto, appunto, appuntiamoli, tanto chi se ne frega dei pensieri altrui se non sono i miei pensieri? Come vedi avere uno o migliaia di pensieri è facile, fisiologico tanto da riempire spesso, durante la giornata, le ceste della mente. Cervellotico come spesso solo i pensieri sanno essere.
Certo, accetto il tuo richiamo. Più terra terra.
Perché dire che solo da tre anni ci viene riproposta la stessa minestra? Mi puzza lontano un miglio di mistificazione e tendenziosità: e negli anni prima di questi tre anni cui si fa riferimento, l’ ”offerta natalizia”, con amministratori diversi, era poi così varia, interessante, travolgente e coinvolgente? Non giudico. La proposta è valida se viene da amministratori amici? Ma non vorrei svilire la discussione soltanto sul piano politico.
E se al posto di “culturale” avessero scritto “Programmazione ludico-ricreativa natalizia”, il moto di stizza sarebbe stato uguale? Negli ultimi cinquant’anni, così mi salvo, non sento dire altro che: "quanto è ciuccio quello, quanto è somaro quello, quanto è inutile quello che fa tizio, quanto è superfluo quello che fa caio, e se sempronio se ne stesse a casa sua abbellirebbe di molto la nostra Veglie". Io stesso ebbi a scrivere sul Bollettino di Don Giovanni Tondo, (pace all’anima sua, uno che di programmazione e di crescita umana, sociale e culturale, non aveva niente da imparare da nessuno. Indegnamente faccio ancora riferimento a lui e mi vanto di essere stato, non lui mio maestro, ma io suo stupido discente): “Fuori questi personaggi scomodi dai circoli culturali”, per una naturale ribellione alle facili mistificazioni di chi vuole o tenta di fare un unico calderone e confonde la crescita di un intero paese, attorno a valori condivisi da tutti, utilizzando lo strumento dell’indottrinamento, ma forse, nel caso specifico di allora, il Circolo Amici della Fotografia, è il caso di dire da paure di facili tentativi o supposti tali, di ingerenze politiche partitiche, nella programmazione delle nostre attività, che si tentava di utilizzare a mo’ di merce di scambio politico. Mi fu risposto in duplice modo. Il primo, semplicistico, che tagliava la testa al toro può essere così riassunto: "un circolo può tagliare la dicitura “Culturale” e si può continuare a vivere bene, con buona programmazione, di interesse della collettività, anche senza “Cultura”, intesa correttamente come assenza di quella parola che ingabbia spesso in atteggiamenti poco spontanei e lungimiranti". Ci fu invece chi la vedeva diversamente e disse: "No! Dentro tutti perché è dal confronto, e spesso anche dallo scontro, che vengono fuori le idee migliori." A chi dare ragione? Ognuno decida secondo la sua sensibilità.
Quindi, il dibattito che tu solleciti, con personaggi diversi, tempi e modi diversi è stato già affrontato perché è il tema della nostra vita, che puntualmente, con sfaccettature, orgoglio e identità diverse fa parlare da sempre di sé. Ancora, se la memoria non mi inganna, è passato appena o esattamente un anno da quando, pur non volendo fare o apparire come il paladino di chissà ché, tentai, nella mia buona e maldestra fede, di riunire, attorno ad un tavolo, tutte quelle persone che ritenevo volenterose e decise a far valere le proprie idee, e per esse combattere, (scusa la retorica). Insomma un tavolo aperto, come si ama dire in questi casi. E c’erano un po’ di amici, a parole tutti d’accordo, per finta o falso pudore, per stanchezza o semplicemente per dovere di ospiti, tutti d’accordo nel condannare atteggiamenti, vizi pubblici e privati, salvo poi, una volta finita la serata, giudicare il tutto come semplice teatrino, come passatempo per intellettuali snob, e un nulla di fatto a coronare la nostra incapacità organizzativa. E’ passato un anno e io rimango ancora della mia idea, e cioè: ciascuno di noi la deve smettere di pretendere che gli altri abbiano il dovere di pensare a creare le situazione nelle quali vivere e crescere bene, anzi meglio. Da troppo tempo ho imparato che gli altri sono io. Da troppo tempo so che ognuno si costruisce da solo la sua fortuna, la sua casa, le sue amicizie, la sua professione, i suoi mali, i suoi impegni, i suoi valori, i suoi ideali, i suoi pensieri, insomma la sua Cultura. In prima persona, senza aspettare fantomatici altri, se non per quel normale rapporto di collaborazione e confronto che serve a migliorare le proprie iniziative, che serve ad essere aperti al dialogo, all’accettazione, all’apertura mentale. Ma poi guardo la nostra realtà, la mia realtà e che cosa vedo? Vedo dei pensieri appuntati. Vedo l’incapacità più assoluta che si fa arroganza, vedo l’assenza che si fa scomoda presenza, vedo il silenzio della censura che trae giovamento dall’inerzia, e si alimenta di inutili interrogativi. Io non mi chiedo perché ogni anno mi viene riproposta sempre la stessa minestra, non mi chiedo chi è l’artefice di questa proposta, non aspetto Natale per un buon concerto, non aspetto l’amministratore di turno per vedere la manna dal cielo, non mi chiedo se è bene o è male che il teatro sia in vernacolo (offenderei De Filippo, uno per tutti), se ad un determinato spettacolo siano presenti dieci, venti o trenta persone. Non siamo abituati a programmare, da una parte, e ad accettare, dall’altra niente che non venga passato al vaglio della diffidenza più assoluta. "Musica? Perché? Per chi? Da chi? A chi? Corale Amadeus? Una massa di ugole di raspa. Al Santa Cecilia, quella si che è musica!" Io ho provato a cantare e per fortuna faccio ridere di gusto solo i miei figli. E allora ho provato a capire cosa vuol dire “Corale Amadeus” e ho visto che significa passione, bravura, rinunzia, al proprio tempo e ai propri affetti, che significa partecipazione, che significa ritrovarsi la sera, con altre persone, con delle regole, con degli spartiti in mano, con una parte da imparare, da armonizzare con altre voci, seguendo una tonalità e non altre, sempre attenti all’attacco giusto, insomma con il massimo dell’impegno, per mesi e mesi, cosa che io non sono riuscito a fare per poche sere, per giustificare quello in cui si crede e per fare sempre meglio. Mi inorgoglisce, come vegliese, sapere che l’amico Pino Pierri, insieme a tutti i coristi, si faccia carico di un’esperienza così pesante ma sopportata, a quanto mi dice, con gioia e la serenità di chi fa, operativamente, sera dopo sera, litigio dopo litigio, soddisfazione dopo soddisfazione, tutto per il bene di questo nostro strano paese. Perché è quello il tassello che lui e i suoi amici occupano, senza il quale tassello il quadro sarebbe incompleto. Solo che non tutti sappiamo, vogliamo o capiamo qual è il tassello che ci compete. Non faccio riferimento all’ Associazione Bandistica A.Reino, perché conosco a malapena, forse, le note, e per me la musica non si divide in nobile e popolana, il suono, l’impatto di un’onda con il mio timpano è solo l’interfaccia di un sentimento che attraverso le vibrazioni, alimenta il battito del cuore. Una nota gustata è il consiglio di un buon padre, è il conforto del ricordo di una madre, è una sublime sensazione. Anche se la musica è quella suonata dai bandisti dell’Ass. A.Reino? Soprattutto da loro. Perché mi inorgoglisce sapere che ragazzi di Veglie amano la musica, studiando al conservatorio, e quindi prefigurando la propria professione in tale settore, o da semplici amatori autodidatta. E mi inorgoglisce sapere che c’è chi spende la sua vita a modellare, guidare, incoraggiare questi ragazzi, che certamente non pensano di vincere gare musicali, festival jazz o rassegne varie, per opera e virtù di…… amici troppo accondiscendenti. In cuor mio dico solo grazie a questi amici. Ho fatto riferimento alla corale e alla banda, giusto per capirci ed avere un esempio di amici vegliesi con i quali viviamo gomito a gomito, ma il discorso è valido ed estensibile a tutte le proposte del cartellone natalizio, di tutti gli anni.
Caro Fernando, avrai capito che io non ho un concetto di cultura che possa andare bene per tutte le stagioni, per tutte le sensibilità, per tutti gli eventi. I miei riferimenti personali storici sono la parrocchia, i miei trascorsi in collegio, i tanti circoli culturali, i cineforum, le compagnie teatrali che hanno lasciato il loro ricordo nella mente dei più, anzi dei meno giovani. Chiedere in giro cosa ha significato “Lu tiraturu ti la vita”, di autrice e attori rigorosamente di Veglie, i carnevali per beneficenza e non aggiungo altro. Gli esempi da elencare sono talmente tanti che citarne uno significa fare del torto a migliaia di altre persone.
Tutto quello che io ricordo, e che poi è diventato il paradigma del mio modo di essere e di fare, mi parla di aggregazione, di partecipazione, di condivisione di idee, di proposte, di ripartizione dei compiti, di vita positiva molto prima che qualcuno ce lo venisse a strombazzare. La cultura della partecipazione contro la cultura del pregiudizio. Ed è quello che ho cercato di raccontare in un libercolo pubblicato lo scorso anno di quasi 300 pagine e oltre 500 fotografie (non mie, è vero, ma che appartengono alla mia “storia”). Io ho solo un concetto ed un modo di relazionarmi con questo paese. Ogni giorno mi chiedo: "Che cosa riesco a dare io?" Mi sono rotto le scatole di chi aspetta alla finestra quello che gli altri faranno, quello che gli altri proporranno, quando gli altri diranno qualcosa. Nascosti nella propria retorica, nel proprio modo simil-gentile e distaccato di pensare. La vita in un paese, chiamiamola come vogliamo, cultura o che altro, all’interno di qualsivoglia istituzione, famiglia, scuola, parrocchia, partito o strada che sia, prevede una partecipazione archeologica e da centauri. Casco in testa e luce ben accesa sempre, anche di giorno. Gli alpini ce lo hanno insegnato, ci potrà anche essere un capo cordata, ci potrà anche essere uno più sicuro degli altri, ma ci sarà sempre un unico legame di valori a consolidare la salita di tutti verso la meta.
Scusami Fernando, ma sono troppo disgustato da questo perbenismo del……. Da questa voglia matta di fare gli intellettuali del………. Ma quando la finiremo di piangerci addosso, di incupirci, di intristirci, di involgarire l’animo e l’intelletto. Quando dalla protesta si passerà alla proposta, e questi pseudo-intellettuali finalmente si proporranno, si metteranno in discussione, diranno: “Questo l’ho fatto io, questo l’ho proposto io, questo l’ho pensato io, questo lo offro io alla mia cittadinanza”. Al di là di chi ci amministra, di destra, centro o sinistra che sia. Se è la politica partitica che usa gli strumenti del dissenso, è legale ma altrettanto legale è la doverosa riconoscibilità dell’intervento, non è accettabile il camuffamento, la mistificazione su argomenti che vogliono coinvolgere tutti, partendo dall’idea che solo uno ed a priori, ha ragione. È un gioco stupido e facilmente smascherabile.
Un’ultima sottolineatura, al volo: pensa tu se, con tutti i guai e le difficoltà che l’amministrare la cosa pubblica impone, un amministratore deve andare nelle scuole e chiedere: "Allora, bambini, che cosa volete che vi porti l’Amministrazione Comunale per Natale, e per il primo dell’anno, e per tutti i 365 o 366 giorni dell’anno?" Non riesco a leggere serenamente queste righe, anzi, per dire la verità, un po’ tutte le righe, tra le righe, sopra, sotto, dentro, fuori, non riseco, ma evidentemente è solo colpa mia, a decifrare correttamente questo dissenso. Mi aspetto solo che, chi ha a cuore le sorti di questo paese, la sua crescita “culturale”, civile, sociale, morale, si ponga solo un proposito: "non fa niente se meglio o peggio di altri o altro ma quello che io propongo e realizzo, per la crescita di questo paese è questo, avanti il prossimo, con serenità."
Ovviamente, come nelle lettere commerciali e di sollecito in generale, questo mio invito è rivolto ai molti che potrebbero dare il di più a questo paese e che per una serie di motivi, non trovano il tempo e gli stimoli giusti per partecipare ancora più attivamente alla elaborazione e realizzazione di progetti che coinvolgano la crescita di questo nostro paese. E, a quanti operano nel silenzio delle loro idee, della loro dedizione e devozione, della fede, del volontariato, dei valori civili, della libertà, dell’accoglienza e della condivisione, a tutti coloro che rappresentano il vero patrimonio e la vera cultura di questa nostra Veglie, in totale assenza di clamori, riconoscimenti, che non siano la soddisfazione personale, e le luci della ribalta, sconosciuti ai più, il mio grazie perché quello che fanno è di beneficio anche per me.
Non so se queste mie parole, scritte d’impulso, possano ferire qualcuno, di questo chiedo anticipatamente e sinceramente scusa, non intendo assolutamente alimentare nessun tipo di polemica, voglio troppo bene a questo mio e nostro paese, e vorrei vederlo crescere e progredire, pur nella pluralità di vedute, di sensibilità, di valori, che non prescindano dal rispetto della libertà di ciascuno di professare le proprie idee, e nell’accettazione del ruolo che ciascuno di noi deve avere, con i propri limiti e le proprie prerogative.
Sin da ora ti assicuro che accetterò, con serenità, qualsiasi critica sul mio scritto e mi impegno a non intervenire più sull’argomento.
Con
il rispetto per tutti, ti saluto cordialmente: Cosimo Fai |