E’ ripresa la fuga verso il Nord L’emigrazione dal Sud ha raggiunto gli stessi livelli degli Anni Cinquanta
Assistere alle partenze dei treni sempre più pieni di giovani, che cercano nello studio o nel lavoro, fuori dalla nostra regione, quella dimensione di crescita culturale ed economica, che il nostro territorio non offre, crea una sorta di angoscia mista ad impotenza e il pensiero ritorna ad immagini impresse per sempre nella memoria. Dopo le difficoltà di accaparrarsi un posto, per sistemare valigie e pacchi, la rassegnazione l’avrà vinta e la consolazione che tutto risponde all’ordine naturale delle cose accompagna il viaggio di ritorno a casa. Qualche giorno dopo i dati Istat rilevano che negli ultimi anni l’emigrazione dal Sud verso il Nord “torna a crescere a ritmi analoghi a quelli degli anni Cinquanta”. Si tratta di 150.000 persone che ogni anno abbandonano il loro paese nel Sud, per trasferirsi nelle regioni del Centro-nord. E’ una necessità inderogabile che uomini e donne del Sud, che incontrano difficoltà a trovare un lavoro nel proprio paese, si trasferiscano al Centro-nord, dove le possibilità di occupazione sono maggiori. Ma i nuovi emigranti sono diversi rispetto al passato: oggi si tratta per lo più di giovani con livello d’istruzione elevato, il che sta a significare, paradossalmente, che attraverso i costi sostenuti dalle famiglie per crescere i propri figli, da zero a 20 anni il totale può superare i 100.000 euro, il Sud finisce per finanziare il Nord. E’ la storia di sempre. “Di fatto il finanziamento del Nord da parte del Sud tramite massicci flussi migratori ha caratterizzato gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso; cinquant’anni dopo si poteva sperare che il Sud avesse finalmente la possibilità di occupare sul luogo i giovani di cui ha sopportato i costi di riproduzione materiale e culturale.” Ma questo è solo un aspetto di un fenomeno così ampio e complesso. Un’emigrazione così massiccia di giovani con un elevato grado d’istruzione sta a denunciare il malfunzionamento di un mercato del lavoro, che ben pochi vantaggi ha tratto dalle scelte di politica regionale degli ultimi anni e da una legislazione sul lavoro flessibile, che ha eliminato garanzie di tutela, senza offrire prospettive credibili. Per altri, “il fatto che i giovani, e soprattutto i più intraprendenti, vadano a cercare esperienze e fortuna in altri luoghi non è sempre negativo. Molti di loro non se ne vanno solo alla ricerca di uno stipendio, ma come rifiuto di una società, o meglio, di una classe dirigente che non amano. Cercano una società più libera, più meritocratica, meno corrotta, meno clientelare, meno violenta.” Le cause possono essere diverse, ma l’ampiezza dell’esodo è così vasta, che non può lasciare indifferente la classe politica ai diversi livelli, a cominciare da quella locale. E se i politici nazionali e regionali sono chiamati a sciogliere il nodo di come sia possibile interrompere il paradosso, di regioni il cui alto reddito è sostenuto in buona misura da quelle a reddito minore, i politici locali dovrebbero possedere progetti e strategie in grado di intercettare la domanda di ritorno di quanti, essendosi fatte le ossa altrove, sono pronti a rientrare ed offrire le competenze acquisite per lo sviluppo del proprio territorio. Veglie non è esente da queste problematiche: centinaia di vegliesi sarebbero pronti a ritornare, se venisse offerto loro l’opportunità di farlo. Ricomporre quei nuclei familiari lacerati dagli strappi sociali, che l’emigrazione rappresenta, è la sfida politica che attende quanti si sono candidati alla direzione amministrativa della nostra comunità. E’ da qui che può partire lo sviluppo e la crescita della nostra economia. Pertanto, offriamo ai nuovi amministratori queste riflessioni e attendiamo da loro risposte credibili.
Giovanni Caputo |