A Luciano Lama A dieci anni dalla scomparsa di Luciano Lama mi preme ricordarlo, ripercorrendo le vicende della sua esistenza di uomo, impegnato nel sindacato e nella politica, affinché politica e sindacato fossero strumenti per affrontare e risolvere i problemi della gente e mai spazi autoreferenziali fine a se stessi o peggio ancora privilegio di pochi. Nato nel 1921 a Gambettola, in provincia di Cesena, nel 1947 Luciano Lama è uno dei vicesegretari del leader storico del sindacato, Giuseppe Di Vittorio, che individua nel giovane romagnolo il proprio pupillo e futuro erede. Sono anni difficili, l’unità sindacale faticosamente costruita durante i mesi di lotta partigiana si è sciolta, quando nell’estate ’48, dopo l’attentato al leader di Botteghe Oscure Palmiro Togliatti, i democristiani, i socialdemocratici e i repubblicani hanno abbandonato il sindacato unitario per dare vita a proprie organizzazioni autonome, rispettivamente la Cisl da parte dei cattolici e la Uil da parte dei saragattiani e dei repubblicani, entrambe assestate su posizioni filogovernative in opposizione alla Cgil, composta da comunisti e socialisti. Bisognerà attendere più di quindici anni, e sarà L. Lama nel 1962, divenuto segretario generale della Cgil, a riproporre la prospettiva di un’unità dal basso di tutti i lavoratori e delle loro rappresentanze. La nuova visione del sindacato, che L.Lama mette in campo, è a favore di un modello sociale con un forte welfare state, ma non assistenzialista, egli sogna una società in cui prevalgano i diritti ed i doveri dei cittadini e dei lavoratori e non i favori per clienti e amici. Molti anni prima di Tangentopoli, uomini come Lama e Berlinguer denunciavano, inascoltati e beffeggiati da buona parte della classe politica, imprenditoriale, degli opinion makers e anche del corpo elettorale, le disfunzioni e le corruzioni che avvenivano e purtroppo continuano ad avvenire in Italia, si tratta di piaghe profonde che minacciano le stesse radici della nostra democrazia, manipolata dai demagoghi, demolitori delle regole istituzionali e della convivenza civile. Nel 1975, Lama firma con il presidente della Confindustria Gianni Agnelli l’accordo sul punto unico di contingenza della scala mobile. Il 17 febbraio 1977 è volgarmente insultato da facinorosi all’università di Roma: incidenti e tumulti furono organizzati da chi non voleva che l’uomo del sindacato parlasse ai giovani e agli studenti per indicare loro la via unitaria e democratica per il progresso civile del nostro paese. Il tutto orchestrato da una minoranza pseudorivoluzionaria, poi passata dall’estremismo radicale, contro il sindacato e, contro soprattutto, il Pci, al sostegno alla nuova destra berlusconiana anni ’90, dopo un soggiorno nel mondo del craxismo. L’episodio segna gli inizi del terrorismo armato, che raggiungerà il culmine nel 1978, con il rapimento e l’omicidio dell’on. Aldo Moro. Anche allora Lama e il sindacato furono in prima linea nella difesa del Paese, come lo erano stati, qualche anno prima, in difesa della democrazia repubblicana a Brescia, a Milano, città martirizzate dalle note stragi, e a Reggio Calabria contro le violenze separatiste della rivolta fascista dei “Boia chi molla”. Negli anni ’80 terminava l’emergenza terrorismo e anche l’azione unitaria del sindacato subiva una grave rottura. A favorirla, nel 1984, fu l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri on. Bettino Craxi, che decideva di tagliare per decreto (decreto di San Valentino) 4 punti di scala mobile. Il Pci si oppose duramente e arrivò a promuovere un referendum per abrogare tale misura di legge. La consultazione si tenne l’anno successivo, ma la maggioranza degli Italiani votò contro l’abrogazione del taglio e a favore del mantenimento del decreto e del governo Craxi…! Lama era stato contrario a tenere il referendum in nome dell’unità sindacale; Cisl, Uil e socialisti della Cgil appoggiavano il governo e il decreto, Pci e maggioranza comunista della Cgil erano invece contrari. Nello stesso anno muore il segretario comunista Enrico Berlinguer e molti pensano a L. Lama come nuovo leader di Botteghe Oscure. Sarà invece eletto Alessandro Natta. L. Lama aveva sia le capacità, sia il carisma per succedere a Berlinguer, ma era ritenuto troppo “debole” con il Psi di Craxi, con cui, dalla politica economica alla collocazione politica e strategica, senza trascurare la questione morale, il defunto segretario comunista ed il Pci erano in rotta di collisione.
Nel 1986 abbandona il sindacato e
l’anno successivo è eletto al Senato nelle liste comuniste. Nel Pci, dopo la scomparsa di Amendola, sarà, con Giorgio Napolitano, Emanuele Macaluso e Gerardo Chiaromonte, uno dei massimi esponenti dell’ala riformista. Nel 1994 la sua esperienza politica nazionale si conclude con la rinuncia ad una nuova candidatura. Venerdì 31 maggio 1996, poche settimane dopo la vittoria, per la prima volta, del centrosinistra alle elezioni legislative tenutesi il 21 aprile, L. Lama muore nella sua abitazione romana. A dieci anni di distanza dalla morte, il centro sinistra ritorna al governo del paese. Penso di aver ricostruito in maniera corretta le vicende che, intrecciandosi con la storia turbolenta dell’Italia, hanno segnato la vita di una grande figura sindacale e politica del secolo scorso, senza tuttavia essere riuscito ad offrire l’ampiezza e la complessità della visione della vita e della politica, che Luciano Lama ebbe, come partecipazione e impegno sociale, senza essere riuscito a dimostrare, in un paese che, per la sua metà, considera ancora oggi il sindacato un nemico, da tenere diviso e separato, l’importanza e il ruolo che ebbe L. Lama nella costruzione dell’unità sindacale. Ringraziando Iddio, benché alcuni, sempre più numerosi, di questi tempi, almeno così appaiono per le loro gazzarre, siano scandalizzati, oggi uomini del sindacato sono ai massimi vertici istituzionali. Da parte mia, ho cercato di dimostrare il ruolo svolto dal sindacato e da uomini della levatura morale di L. Lama a difesa della democrazia e dei diritti dei lavoratori, nella convinzione che queste conquiste vadano difese, soprattutto oggi, dagli attacchi violenti ed aggressivi dei “CAIMANI” di turno, di cui questo Paese non riesce a liberarsi. Qualora questo obiettivo non fosse stato raggiunto, me ne scuso con i più giovani, e li invito ad avvicinarsi ai protagonisti della Storia dell’Italia contemporanea, per conoscerli meglio e, attraverso i loro percorsi, riappropriarsi della memoria collettiva del proprio popolo. Giovanni Caputo Cronaca della visita di Lama all'università di Roma da un articolo apparso sul quotidiano "Repubblica" del 19 febbraio 1977 (dal sito cronologia.it ) " L'ama o non Lama non Lama nessuno" ("La Repubblica", 19 febbraio 1977)
"Le otto del mattino, sotto un cielo plumbeo e le prime gocce di pioggia, gli schieramenti nell'Universitá erano giá formati, anche se la tensione era ancora minima. Nel piazzale della Minerva il servizio d'ordine del sindacato e del Pci con i cartellini rossi appuntati sul bavero della giacca, qualche giovane della Fgci, molte persone un po' attempate, due o tre tute blu, presidiava la piazza del comizio. Armati di pennelli e vernice sindacalisti e comunisti cancellavano le scritte degli "indiani metropolitani" (l'ala "creativa" del movimento composta essenzialmente da militanti dei circoli del proletariato giovanile) Prima fra tutte una a caratteri cubitali accanto ai cancelli principali dell'ateneo: "I Lama stanno nel Tibet". Gli "indiani" dal canto loro non restavano a guardare. Su una scala di quelle da biblioteca (con le ruote e un palchetto con ringhiere) avevano piazzato un fantoccio a grandezza naturale in polistirolo che doveva rappresentare il leader dei sindacati. Circondato da palloncini portava appesi tanti grandi cuori. C'era scritto: "L'ama o non Lama". "Non Lama nessuno" e altri giochi di parole del genere. I sindacalisti e il servizio d'ordine del Pci erano perplessi, qualcuno sorrideva bonariamente: "Sono goliardi, non bisogna farci caso" Qualcun altro invece giá alla vista del fantoccio si era innervosito: "É una provocazione inammissibile, Lama é un leader dei lavoratori". Il clima intanto si andava surriscaldando. Intorno al "carroccio degli indiani" (ma c'erano dietro anche tutti gli altri collettivi, i militanti dei gruppi e un paio di rappresentanti del Fuori), il servizio d'ordine del Pci aveva steso un cordone sanitario che ritagliava una larga fetta della piazza. La gente cominciava ad affluire, erano circa le 9 del mattino, e gli indiani pigiavano sul pedale dell'ironia e del sarcasmo, anche pesante. "Piú lavoro, meno salario", "Andreotti é rosso, Fanfani lo sará", "Lama é mio e lo gestisco io", "Il capitalismo non ha nazione, l'internazionalismo é la produzione", "Piú baracche, meno case", "É ora, é ora, miseria a chi lavora", "Potere padronale", "Ti prego Lama non andare via, vogliamo ancora tanta polizia", erano gli slogan piú scanditi (...) Luciano Lama é entrato nell'Universitá con una grande puntualitá. Circondato da una decina di tute blu, che lo rendevano quasi invisibile, é passato rapido tra la folla nel viale che porta a piazza della Minerva, ha attraversato la piazza nel varco lasciato libero dai servizi d'ordine ed é arrivato al palco, un camion parcheggiato diagonalmente nello spiazzo fra le aiuole della facoltá di Legge e il rettorato. Dagli altoparlanti le note delle solite marce da comizio non riuscivano a soffocare gli slogan ironici degli "indiani". Il clima a quel momento era arrivato quasi al punto di rottura. Le contraddizioni fra due mondi completamente diversi ed estranei, quello dei sindacati e dell'ortodossia comunista e quello della creativitá obbligatoria, non avevano trovato neanche un punto di incontro, neanche un modo di evitare insulti reciproci. Erano ormai due blocchi contrapposti e nemici: la pentola in ebollizione da un paio d'ore era ormai sul punto di scoppiare. (...) . Alle 10 del mattino Lama ha iniziato il suo comizio mentre crescevano le proteste, gli slogan si facevano piú violenti. "Il Corriere della Sera ha scritto che saremmo venuti qui con i carri armati, si é sbagliato, noi siamo qui ... ". Dal carroccio degli indiani a questo punto sono partiti dei palloncini: pieni di acqua colorata e vernice. Nel servizio d'ordine del Pci c'é stato un attimo di sbandamento. Qualcuno deve aver pensato che si trattasse di qualcosa di pericoloso, molti si sono infuriati quando la vernice é piovuta sulla testa della gente. É partita allora una carica per espugnare il carroccio degli indiani. Travolta "l'ala creativa" del movimento, il servizio d'ordine del Pci, che ormai aveva raggiunto il fantoccio di Lama, é entrato in contatto con l'ala "militante". Sono volati pugni, schiaffi, calci, poi il carroccio é tornato in mano agli occupanti dell'Universitá che lo hanno usato come ariete per controcaricare. A questo punto uno dei capi del servizio d'ordine della federazione romana del Pci ha usato un estintore contro i militanti dei collettivi. La nuvola bianca di schiuma é stata il segnale di partenza della rissa piú selvaggia. Mentre Luciano Lama continuava il suo discorso al centro della piazza, fra i due schieramenti ormai era un continuo avanzare e arretrare a pugni e botte. Poi dal fondo, verso la facoltá di Lettere, contro il servizio d'ordine del Pci, sono volate patate, pezzi di legno e qualche pezzo d'asfalto. Lama ha concluso il suo discorso alle 10,30, mentre nella piazza in tumulto molti fuggivano, molti, soprattutto sindacalisti, restavano a guardare attoniti, alcuni cercavano disperati di dividere i contendenti, qualcuno giá piangeva urlando. "Basta, basta, non ci si picchia fra compagni". Dopo Lama saliva sul palco Vettraino, della Camera del lavoro di Roma. "Compagni" ha tuonato, "la manifestazione é sciolta. Non accettiamo provocazioni". L'ultima parola é stata quasi un segnale. Un'ultima carica violentissima ha spazzato via il servizio d'ordine del Pci e dei sindacati che ha protetto il deflusso dei suoi militanti. Il camion é stato capovolto, distrutto, poi si sono scatenate le risse. (...)
(CARLO RIVOLTA "La
Repubblica", 19 febbraio 1977) |
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