Riflessioni sulla crisi La crisi del governo Prodi è rientrata con la fiducia espressa dalla maggioranza. Non si è capito, però, se è stata un incidente di percorso o ha segnato l’impossibilità di tenere all’interno di una coalizione i cosiddetti “movimenti”. Non si è capito se la crisi segna la fine dell’esperimento, pur lodevole, che i Bertinotti e i Diliberto hanno tentato, nell’includere all’interno della gestione di governo la rappresentanza dell’ala radicale, o si è trattato di due casi isolati che non pregiudicano le alleanze strategiche tra le due sinistre. Né si è capito se l’espulsione dei due dissidenti, dai rispettivi partiti, arginerà le divergenze o i due sono i capri espiatori di un’ambiguità insanabile nell’ambito di certa sinistra, che ha avuto la sciagurata leggerezza di candidare irresponsabili al Parlamento. Ma si tratta realmente di irresponsabili o è una patologia che affligge la maggior parte dei politici e quasi tutta la classe dirigente di sinistra? Certo che “è difficile chiamare di sinistra lo scambio tra l’amore per la pace e l’omissione di soccorso ai perseguitati, o l’unilateralismo del disarmo che sgombera il passo all’unilateralismo della guerra”, come è difficile capire quale politica di sinistra possa trarre maggiore forza dal ritorno di un governo di destra. Ma come è possibile dimenticare i dieci anni dominati da Berlusconi? Anni caratterizzati da un rapporto arbitrario con la legge, da una monocrazia televisiva e da una confusione sistematica tra interesse pubblico e interesse privato. Il ritorno a quell’esperienza, a cui milioni di cittadini hanno detto no, è meno grave della presenza dell’esercito italiano a Kabul? Mandare a casa il governo Prodi mette le coscienze al riparo dalla volontà di Bush di una guerra preventiva contro i talebani? Non sarebbe meglio che i governi europei, di fronte a questa minaccia, formulassero una proposta comune e la sostenessero all’ONU, come è avvenuto per il Libano? L’Italia di Prodi sta dalla parte dell’Europa, quella di Berlusconi è stata e starebbe con Bush, questo non fa la differenza? Dare delle risposte a queste domande è necessario per capire come saranno determinati gli scenari politici futuri. Se si è chiusa la stagione del dialogo a sinistra, chissà per quanti anni avremo governi di destra. “Io non credo che ci sarà rottura e taglio delle ali. L’ala sinistra non ha alcun interesse a mettersi fuori dal gioco politico e i riformisti dal canto loro non hanno interesse ad amputare la coalizione da essi guidata” è la tesi di Eugenio Scalari. Vorremmo credergli, ma “il perdente radicale” è in agguato e per la sua “coerenza” è disposto a frantumare le speranze di cambiamento di 20milioni di cittadini, molti dei quali considerano questo governo una specie di Comitato di Liberazione Nazionale, formato da forze più diverse, per ricostruire una legalità, come avvenne dopo il ’43.
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