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Giovanni Caputo - 11 giugno 2008

"Non chiederti che possa fare il tuo Paese per te, ma ..."
 

Si esercita il diritto di poter fare conoscendo. Una disquisizione, però, su cosa sia la conoscenza ci porterebbe, in questa sede, fuori dal ragionamento che vorrei articolare. Ci basti concordare che la conoscenza non coincide con l’informazione, poiché siamo consapevolmente distratti da dosi così massicce d’informazioni, che il più delle volte ci lasciano completamente indifferenti. Tanto è che non riusciamo a cogliere i nessi e le implicazioni tra il nostro quotidiano e quanto accade nel resto del mondo.

Proviamo ad analizzare i temi dell’informazione negli ultimi giorni.

I rifiuti di Napoli sono presenti, ormai da più di tre mesi, sulle prime pagine di tutti i giornali, telegiornali e nelle trasmissioni d’intrattenimento. Possibile che nessuno prenda consapevolezza che molte comunità, qualora non si attrezzino per eseguire la raccolta differenziata, avranno un rischio Napoli? L’esercizio della cittadinanza impone che un cittadino s’interroghi e poi agisca, affinché nella sua cittadina venga scongiurato il rischio. In ogni città è necessario che si attivi un processo virtuoso di rispetto dell’ambiente e di uso razionale delle risorse, anche quando il rischio non sia impellente. L’istituto della delega non ha funzionato. Il fatto che venga pagato un tributo per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti non ci garantisce, come si è visto, della sicurezza del servizio.

Senza una partecipazione collettiva e consapevole dei cittadini, i servizi sono fortemente condizionati da traffici e interessi illeciti.

Altro tema di questi giorni è stato “fame-immigrazione”. Come ci è stato presentato?
“I popoli denutriti non sono mai stati un rimorso per i popoli supernutriti, perché il mercato, che fa tutte le regole, fa anche le regole della coscienza: tutto è rimesso alla competizione, se non hai il necessario devi procurartelo, se non te lo procuri è colpa tua.” E’ corretto considerare la fame solo una colpa dell’affamato? E quando l’affamato cerca una soluzione alla fame sua e della sua famiglia, è tollerabile che venga lasciato morire in mare? E qualora dovesse sopravvivere, perché farlo diventare d’ufficio un clandestino criminale, da tenere per diciotto mesi in un Cpt? L’unica soluzione è riconsegnarlo alla fame, attraverso il rimpatrio? L’esperienza collettiva del popolo italiano, storicamente affamato, dinanzi al fallimento delle risposte istituzionali, non ha nulla da suggerire? Soluzioni definitive alla fame del mondo non sono alla nostra portata, ma il senso di frustrazione, davanti alla morte di donne e bambini, è possibile alleviarlo con un impegno individuale che nasca dallo stare insieme? Dinanzi alla fame qualcuno pensa di essere al sicuro? “Se ci sono popoli affamati tutto il mondo è insicuro, e noi più degli altri.” Non è compito di chi aspira ad essere cittadino attivare processi di conoscenza condivisa intorno ai problemi di un’umanità rifiutata?

Spazzatura e fame/immigrazione rappresentano l’infermità di un corpo sociale irrigidito dall’arroganza delle sue certezze. Seguono sicurezza, ambiente, imposte, salari: la vita di ogni individuo all’interno di una comunità. Molti non sembrano interessati a questi problemi, altri ritengono di essere in grado di risolverli singolarmente, quando ne verranno direttamente coinvolti. Nel frattempo il risultato è sotto gli occhi distratti di tutti. Napoli (vittima e simbolo di un disinteresse generalizzato) soccombe e incombe inesorabilmente. La FAO impotente blatera nel vuoto. Immigrazione è sinonimo di crimine.

Bisognerà, quindi, rassegnarsi di fronte all’andazzo generale, senza nemmeno provare dal basso ad attivare una terapia, che produca gli anticorpi necessari a restituire fascino alla democrazia e alla convivenza tra le diverse etnie?

Il sindaco del mio paese, la giunta e la maggioranza che lo sostiene, l’opposizione che ne controlla l’operato, gli imprenditori, le locali rappresentanze sindacali, la giovane e valente segretaria del PD ( partito a cui convintamente aderisco), la sinistra antagonista, i responsabili dei siti on-line, i presidenti dell’associazionismo partecipativo, le parrocchie sicuramente hanno affrontato o stanno per affrontare questi o altri simili problemi. Costoro, poiché costituiscono l’orditura della vita sociale di una comunità, possono essere così gentili da informare e magari socializzare le iniziative che hanno intrapreso o intendono intraprendere, affinché i cittadini possano esercitare il loro diritto di cittadinanza, attraverso la conoscenza dei problemi che li riguardano? I cittadini possono domandarsi cosa possono fare singolarmente per ridare consapevolezza dei doveri e dignità dei diritti alle loro comunità?

Sviluppo e benessere, a cui tende legittimamente una società che lavora e produce, non possono prescindere dalla risoluzione dei problemi che ne costituiscono l’impedimento. Non c’è via di scampo, i problemi vanno affrontati e discussi in maniera collettiva e partecipata, tutto il resto è una truffa alla democrazia. I ruoli all’interno della società sono sicuramente diversi, in funzione della responsabilità dei singoli, ma “la deriva” è generale e coinvolge tutti quanti indipendentemente dalla propria consapevolezza.

Ma possibile che Napoli e le continue morti nel Mediterraneo non debbano insegnare proprio nulla?

Giovanni  Caputo