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da "monsignor Rocco Talucci- Arcivescovo di Brindisi"  - 18 novembre 2008

Caso di Eluana Englaro, intervento dell’Arcivescovo Talucci

In merito agli sviluppi sul caso di Eluana Englaro, vicenda sulla quale nei giorni scorsi la giustizia italiana si è espressa in maniera definitiva attraverso una sentenza della Corte di Cassazione, S.E. l’Arcivescovo, Mons. Rocco Talucci, mentre invita i singoli e le comunità alla preghiera, propone le seguenti riflessioni:
 

Nell’epoca di ampio dibattito sul riconoscimento dei diritti, tra i più vari, della persona, appare quanto mai strano che si continui a discutere del diritto base, quello alla vita senza il quale gli altri mancherebbero di fondamento.

Ogni vivente è soggetto di diritti: un diritto primordiale è quello al nutrimento, qualunque sia lo stato di vita, sia esso forte e stabile, di chi cioè sa nutrirsi da solo, sia esso più debole e infermo, di chi cioè per mangiare e bere ha bisogno dell’aiuto dell’altro. Per quest’ultimo può risultare faticoso curare l’infermo che non parla, non risponde, non chiede, non ringrazia.
Non per questo l’infermo perde il diritto e il sano può voltargli le spalle!

Quale uomo può sentenziare che si può sospendere la nutrizione? Quale uomo può negare all’altro questo diritto fondamentale?

Chi si trova nel bisogno chiede aiuto: è il grido di ogni povero, anche di colui che preferirebbe morire piuttosto che essere povero. Nel momento in cui un uomo è incapace di provvedere a se stesso grida il suo bisogno a chi è capace di sostenerlo!

Eppure gridiamo contro la pena di morte! Ed è giusto perchè la vita vale più del crimine eventualmente commesso. Eppure “condanniamo” a morte i deboli che non sono capaci nemmeno di guardare negli occhi coloro che gli stanno facendo del male.

La sofferenza toglie forse la dignità? Colui che soffre gravemente, è forse meno uomo degli altri?

Ecco allora il vero momento della solidarietà umana, quella cioè di chi non lascia da sola una famiglia incapace di offrire sostegno a chi è nel bisogno.

Lasciar morire, o peggio ordinarlo, è l’incapacità di amare, è la manifestazione della debolezza del diritto, è il rifiuto della pazienza e dell’attesa, è la rassegnazione della politica, il trionfo dell’egoismo, è la “non-cultura” della morte, è l’offesa della vita di ogni uomo.

Vorrei ascoltare un Dio che si fa uomo e un uomo che vive secondo il Dio della vita. Gesù diceva: “Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere. Quello che hai fatto al prossimo l’hai fatto a me!”. È così che parla chi ama la vita. Anzi, è questa la vita!
Il mio pensiero va a quelle migliaia familiari di uomini e donne che da anni vivono in coma, ma che sanno guardare, amare, assistere, sperare e condividere; sanno contemplare una vita che si spegne, ma non sarebbero mai capaci di spegnere quanto è ancora da vivere. Eppure con le lacrime sanno sorridere e cantare per offrire col cibo e la bevanda la musica della vita.

Permettere la morte, non comprendo con quale legge e con quale autorità, è una offesa all’enorme schiera di persone che, nel silenzio e nell’amore, preferiscono soffrire pur di rispettare la vita.

Il tempo dei diritti è anche tempo di solidarietà. In questo tempo bello non è possibile distruggere il diritto e negare la solidarietà.

Chi è giudice della vita? L’uomo è tale fino all’ultimo respiro che prima o dopo avverrà. A nessuno è lecito intervenire con violenza al penultimo o al terz’ultimo respiro in cui ancora pulsa la vita.

Brindisi, 17 novembre 2008

+ Rocco Talucci
Arcivescovo