Intervento del Prof. LUIGI MELICA Ben vengano, le veline in parlamento e nelle amministrazioni territoriali a patto che siano selezionate secondo le regole di “democrazia interna che i partiti politici devono possedere e rispettare in ossequio all’art. 49 della Costituzione”. E’ questo il principio che emerge nella sentenza con la quale il T.A.R. Puglia, sezione di Lecce ha sollevato la questione dinanzi alla Corte costituzionale lo scorso 2 giugno, con riferimento alla presunta violazione degli artt. 30 e 33 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (TU delle leggi per la composizione e l’elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), nella parte in cui non prevedono il sindacato, da parte dell’Ufficio elettorale centrale, del rispetto da parte dei presentatori delle liste, delle disposizioni statutarie e di legge in ordine alla presentazione delle candidature ed alla partecipazione del partito politico ad una competizione elettorale. Detto con parole più semplici: tra i compiti dell’Ufficio elettorale centrale ai fini della verifica del procedimento di presentazione delle liste deve anche rientrare quello di verificare se le disposizioni statutarie di ogni partito politico siano state rispettate ai fini della presentazione delle candidature. Trattasi, quindi, di un onere procedurale, il cui vaglio, ovviamente, non investe il merito delle scelte operate dal partito. Detto compito discenderebbe, a parere dei giudici del TAR, dall’art. 49 della Costituzione, secondo cui i partiti politici devono concorrere democraticamente alla politica nazionale e dall’art. 51 che tutela il diritto di tutti di accedere agli uffici pubblici elettivi, i quali devono evitare – fra l’altro - che il potere di decisione nei partiti politici (e conseguentemente nello Stato) sia concentrato in poche mani. Ogni partito politico, in definitiva, deve avere una propria regolamentazione interna a tutela della selezione della classe dirigente, non solo in relazione alle cariche politiche, ma anche in ordine alla composizione delle liste. L’Ufficio elettorale centrale, allo stesso modo di come è abilitato a depennare i candidati che versano in particolari condizioni rispetto alla legge penale, deve essere abilitato anche alla verifica dell’espletamento del corretto iter procedimentale da parte dei diversi partiti ai fini della selezione delle candidature. Alla base della presunta illegittimità costituzionale, si pone, dunque, da un lato il diritto dell’aspirante candidato ad un iter trasparente di valutazione della propria richiesta di candidatura e dall’altra il diritto dell’elettore a poter esprimere la propria preferenza in tutta libertà grazie a liste predisposte dai partiti politici secondo i canoni della democrazia. Giova sottolineare che l’intera vicenda suscita particolare interesse trattandosi di un ricorso proposto da un aspirante candidato, il Prof. Giuseppe Landolfo Coordinatore Provinciale dei liberali del PDL, nelle liste del PDL con riferimento all’attuale competizione elettorale riguardante le elezioni provinciali del prossimo 6 e 7 giugno. Ciò che interessa evidenziare è che i ricorrenti lamentavano la violazione dell’art. 25 dello Statuto della formazione politica “Popolo della Libertà”, il quale, per l’appunto, regolamenta la presentazione delle candidature, anche con riferimento alle elezioni provinciali, prevedendo una proposta congiunta del Coordinatore regionale e del Coordinatore provinciale (e di grandi città) e dei relativi Vice vicari, ratificata a maggioranza semplice, dal Coordinatore provinciale e di grande Città (maggioranza che è costituita dalla maggioranza qualificata dei due terzi, nell’ipotesi di mancata intesa tra i coordinatori regionali e provinciali). Nel caso di specie, nonostante si fosse eccepito da parte della difesa del Coordinamento provinciale del PDL che le norme in questione sarebbero entrate in vigore solo a partire dall’anno prossimo, il TAR è stato categorico nel rilevare come il prescritto iter fosse stato omesso dagli organismi del partito, ma che tale violazione non poteva essere eccepita proprio per la carenza, nel sistema giuridico, di una norma abilitante l’Ufficio elettorale centrale a sindacare tale omissione. Norma che, come dicevamo, proprio perché assente nel d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, rende lo stesso non conforme a Costituzione. E’ del tutto ovvio che qualora tale principio fosse accettato dalla Corte costituzionale, si aprirebbe il varco ad un iter procedurale a questo punto obbligatorio all’interno dei partiti politici ai fini del vaglio delle candidature anche e soprattutto sul versante delle elezioni di Camera e Senato dove l’assenza delle preferenze rende ancora più incerto l’esercizio dei diritti dell’elettore.
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