REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
VeglieNews dice "NO" al progetto Regione Salento
Siamo ad Agosto inoltrato e sono ormai settimane che i telespettatori dell’emittente locale Telerama assistono quotidianamente e ad ogni ora a “spot di propaganda” mascherati da servizi giornalistici con lo scopo di convincere i cittadini delle provincie di Lecce – Brindisi – Taranto che è opportuno e conveniente per il futuro del nostro territorio istituire la nuova “Regione Salento”. Il progetto, lanciato dalla piattaforma mediatica dell’emittente Telerama ( www.regionesalento.eu ), ha fra i suoi principali promotori l’editore Paolo Pagliaro e ad esso hanno aderito tantissimi imprenditori e politici del territorio. Per portare a compimento l’opera di convincimento si stanno tirando in ballo fattori storici; occasioni per il Salento perse durante il corso degli anni; personaggi politici della storia Costituente della Repubblica Italiana come Codacci Pisanelli promotore a suo tempo della Regione Salento; problematiche presenti nel territorio come il “baricentrismo” di cui soffre la Puglia, la distanza del Salento dalle principali vie di comunicazione con il resto d’Italia e d’Europa, i pochi finanziamenti culturali alle manifestazioni salentine e tanti altri problemi di cui il Salento soffre... Le ragioni messe in campo sono sicuramente tutte valide e fanno leva sullo spirito campanilistico che esiste in tutti noi. Proprio per “solleticare” lo spirito campanilistico naturale delle giovani generazioni non è stato tralasciato l’uso del nuovo mezzo di diffusione di idee che è Facebook con una pagina apposita per raccogliere adesioni al progetto. Il comitato promotore è già pronto con il logo, ha invitato tutti i comuni a indire un consiglio comunale per decidere se aderire a questo progetto, sta preparando il terreno per il referendum… Ma stiamo attenti… Oggi, la creazione della "Regione Salento" sarebbe veramente la soluzione per tutti i mali del nostro territorio? Oppure c’è da chiedersi se l’invenzione di questa “necessità” sia solo una rampa di lancio per nuovi politici e nuovi imprenditori che, sulle spalle dei sogni e dei problemi di tutti i cittadini delle tre provincie, vogliono creare il loro futuro politico e imprenditoriale? In Italia abbiamo già avuto l’esperienza di come si fa a cavalcare i sogni e i problemi dei cittadini per poi creare una “Lega” capace di stravolgere gli equilibri sociali e soddisfare i bisogni di pochi eletti. Dovremmo stare attenti a non ripetere gli stessi errori commessi da altri. I problemi “cronici” che soffocano il nostro territorio possono essere affrontati combattendo politicamente in seno alle giuste istituzioni già esistenti (Provincia, Regione, Stato). Questo dovrebbe essere il compito dei politici seri a cui sta a cuore il futuro delle nostre provincie e di tutti gli abitanti, e non solo quello delle imprese che loro rappresentano o di quelle che finanziano le loro idee politiche. Non serve fare le battaglie campanilistiche come per esempio quella per lo sviluppo dell’aeroporto di Vernole o Grottaglie. Occorre invece impegnarsi nelle sedi opportune per avere un sistema di collegamenti decente tra gli aeroporti e i porti esistenti (Bari – Brindisi- Taranto) e il resto della Puglia. Questo è uno dei modi per far crescere il territorio ed aprirlo al resto del mondo. Questo ed altri risultati si possono ottenere con battaglie fatte all’interno degli apparati decisionali e non staccandosi da questi per crearne altri. A quale scopo poi crearli? Per inventarsi nuovi posti da regalare alle cordate politico-imprenditoriali che sostengono il progetto? Stiamo attenti… Non facciamoci fare il lavaggio del cervello da chi crede di avere il potere mediatico per farlo. Non ce ne stiamo accorgendo, ma sta proprio succedendo come accade con gli spot commerciali che fanno diventare indispensabile un prodotto del quale non avremmo mai avuto bisogno: uno di questi è “Regione Salento”. Discutiamone per non farci trovare impreparati. Veglie, 20 agosto 2010 veglienews.it
Sono queste le fondamenta su cui creare un progetto che unifichi tre Provincie sotto un'unica Regione? I dubbi sono davvero tanti…
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Idea sbagliata coltivata da chi cerca potere Da sempre ho scritto e invitato a scrivere Puglie piuttosto che Puglia. Conscio del fatto che nella regione lunghissima convivono anime diverse per genesi, lingua, storia, usi e costumi. E la necessaria premessa per affrontare il rilanciato tema dell' identità salentina evocando la Bri-Le-Ta come aspirante Regione autonoma. Scomodato e riportato in auge il Codacci Pisanelli da Tricase ai tempi dei padri costituenti, allora sconfitto dall'emergente Aldo Moro, da Maglie, naturalizzato barese. Da allora, ma sempre democristianamente, le Puglie furono la Puglia e il Baricentro diventò archetipo oltre che definizione, funzione e anche quartiere commerciale. Bari, città nella quale venne forgiato l'Anello della Repubblica, assunse il potere di città commerciale più importante del Sud, generatrice di classi dirigenti per la destra e la sinistra, da Tatarella a Vacca, da Formica a Lattanzio. La fucina principale è l'Ateneo, l' asse politico si consolida tra Bari e Taranto. Questo non impedisce che il Salento esprima, prima della riforma, ben tre presidenti della Giunta. Alcuni con poteri forti: Nicola Quarta per cinque anni e Salvatore Fitto per tre anni, quindici mesi sono toccati anche a Giuseppe Martellotta. Nel post riforma per cinque anni (dal 2000 al 2005) è stato presidente un salentino (Raffaele Fitto) e dal 2005 è presidente un Barese (Nichi Vendola). Dal punto di vista degli incarichi è difficile rintracciare una predominanza territoriale, forse i salentini hanno pensato più al proprio feudo che al territorio, incapaci di promuoverlo e di renderlo coeso. Io credo che ragionare solo in termini geografici sia riduttivo, è indubbio che la storia ha avuto la sua influenza, ideologie e schieramenti erano senza dubbio predominanti un trentennio fa. Ma questo vale per me e per chiunque. Anche per docenti universitari che si avventurano sulla questione. La Regione Salento aiuta o complica? La suggestione di autonomia è tanto fascinosa quanto temibile quella di solitudine? L'identità si protegge alzando muri o costruendo ponti? Seguo il dibattito e vedo che numerosi sindaci, spesso ormai privi della copertura politica di partiti inesistenti, cercano un nuovo cavallo per rimanere inchiodati alle comode poltrone. Prima del Salento si Salento no, mi piacerebbe sentire i fautori della Regione Salento cosa pensano della questione energetica, del sistema di trasporto nella Bri-Le-Ta, della gestione dei rifiuti e della protezione delle coste. Fanno esattamente tre anni (era agosto 2007) dalla battaglia per la sabbia tra Brindisi e Lecce, e pochi mesi da quando le tre province hanno scelto tre araldiche differenti (Lu Salentu te lu sule lu mare e lu ientu, la Filia Solis, e le Terre Ioniche). Segnali contraddittori di chi scambia la propaganda per progetto politico, di chi pur di essere al centro dell'attenzione cavalca ogni pulsione da qualunque parte provenga, cercando, furbescamente, di vestirla con i panni della storia, dimenticando di spiegare a che ora parte l'orologio. Certo che una Regione Salento potrebbe avere molte ragioni, ma bisogna ragionarci per bene, stabilirne il capoluogo e le funzioni delle province, il ruolo dei Comuni e lo statuto che la governa. Porre la scelta "Salento sì" e "Salento no" è solo atto strumentale per prendere ancora una volta in giro i cittadini, chiedere a loro il voto per farsi eleggere e, come ha fatto Bossi, far coincidere gli interessi di un territorio con i propri e non viceversa. Rammento a me stesso che un grande statista è quello che fa coincidere il proprio interesse con quello del territorio che è chiamato a rappresentare. Molte ragioni per la Regione Salento ma non quelle dell`identità. La mia appartenenza e identità sono talmente forti che nella matrioska che mi racchiude so bene che significa essere: cellinese, brindisino, pugliese, italiano, europeo, terrestre, galattico e universico. Se mi si cambia il pugliese in salentino cambia l'etichetta ma le multinazionali continueranno a comandare sul mio territorio, solo che invece di comprare funzionari baresi compreranno funzionari brindisini o leccesi o tarantini. Singolare che i tanti rivoluzionari d'oggi abbiano taciuto quando si saccheggiava il territorio che oggi giurano di amare, anzi, in qualche caso, si sono arruolati nei lanzichenecchi. A me basterebbe solo che ogni guscio interno abbia rispetto per quello più esterno e viceversa, riducendo la sindrome del Beduino per quanto possibile a elemento di storia passato piuttosto che di prospettiva futura. Dimenticavo, i dieci anni più belli li ho trascorsi a Bari... La mia prima impressione è che i luoghi sono abbastanza uguali, ci toccherebbe lavorare per renderli migliori. La seconda impressione mi dice che quando si rifugge dall'individuare le responsabilità con nomi e cognomi di persone, quando si indugia sugli "ismi", si vogliono percorrere le strade della politica come si fa al bingo, tanti beoti comprano la cartella e il tombolone si prende sempre la posta. Pino De Luca
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
«Le azioni di secessione indeboliscono il territorio» L'appello all'unità giunto dal presidente del Consiglio Introna e dal sindaco di Melendugno Potì offre una risposta non troppo celata alla rispolverata proposta di istituire la Regione Salento. «Non condivido il movimento Regione Salento — commenta Onofrio Introna - non per il ruolo che ricopro ma per la mia storia politica, quella di pugliese e soprattutto meridionalista convinto. Siamo alla vigilia di un evento nel nostro Paese: l'avvio del Federalismo, siamo proiettati verso le cosiddette macroaree proprio per poter meglio resistere alla concorrenza internazionale e poter aiutare meglio la crescita dei nostri territori. Queste azioni di secessione, che frazionano il territorio, ci indeboliscono — prosegue - noi abbiamo bisogno di unità e di compattezza». Dello stesso parere il sindaco di Melendugno, Vittorio Potì: «Sulla Regione Salento dobbiamo discutere, non vorrei diventasse una telenovela come la Bat, durata 40 anni con pochi benefici. Ho il terrore che sia un escamotage per ottenere visibilità. Qualcuno vorrà diventare senatore o deputato approfittando della visibilità ottenuta. Prima di fare una scelta, che non può essere sentimentale, bisogna meditare sul fatto se ci siano o meno le possibilità e le convenienze».
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Vendola boccia la Regione Salento La bocciatura è sonora, ma del resto intuibile e prevedibile. Perché, Nichi Vendola proprio non vorrebbe veder sfaldarsi il tessuto della regione da lui governata. Bando alle spinte autonomiste, che dal Salento fermentano: questa «non è una piccola patria» e l'idea che il lembo più a Sud-Est d'Italia possa fare regione a sé, è un po' «leghista». Senza affondare troppo i colpi, ma anzi esaltando del Salento le virtù, Vendola appare del tutto scettico dinanzi all'ipotesi di una "Regione Salento". Il ragionamento è a specchio: se davvero questa terra è così ricca di storia e cultura, bellezza e ospitalità, più che piccola deve farsi grande patria, dialogare e non parlarsi addosso, aprirsi e non chiudersi in un'enclave. Sarà pure stato sollecitato da microfoni e taccuini, però Nichi certo ha scelto il contesto più simbolico e indiziario per imbastire il suo ragionamento: la conferenza stampa di presentazione del concertone finale della "Notte della Taranta", a Melpignano. Cioè l'evento che si fa poderoso simbolo d'identificazione. E allora, ecco il Vendola-pensiero: «Il Salento non è una piccola patria, —ma una grande patria: è un territorio pieno di tutte le sue storie, quelle del mondo bracciantile, delle lotte di chi lavorava nelle coltivazioni di tabacco, ma anche delle tradizioni di un'aristocrazia colta e adusa a inseguire gli stilemi della bellezza. Una terra ricca del suo Barocco, che non è solo quello della città capoluogo, ma anche quello delle città di campagna. E un territorio - ha proseguito il presidente - che riesce a incrociare due mari e a raccogliere l'alba e il tramonto più belli del Mediterraneo. È una terra che è, grande per la sua capacità di donarsi alla scena del mondo e di accogliere gli altri attori che calcano quella scena. Quindi - a infiocchettare il ragionamento - non deve racchiudersi in una piccola patria leghista, ma diventare una grande patria del mondo». E dunque restare parte integrante - magari, talvolta, trainante - della Puglia tutta. Una bocciatura (dell'autonomia) che però è promozione (delle qualità). Nel segno dell'unità. Vendola così si pone in scia al bel gesto di Onofrio Introna, presidente del Consiglio regionale l'altro ieri in visita ufficiale a Melendugno. Motivo: incontrare il sindaco Vittorio Potì, promotore della dura risposta agli imbrattatori di muri con slogan anti-baresi («Ci vergogniamo per loro» e «chiediamo scusa» i messaggi fatti affiggere per porre rimedio). «In Puglia come in Italia - ha spiegato Introna - non possono essere nemici o avversari, né forme di denigrazione così spinte». Il contesto ha però agevolato e stuzzicato la riflessione sulla "Regione Salento": «Non condivido il movimento - ha avuto modo di spiegare Introna - per la mia storia politica, di pugliese e meridionalista convinto. Alla vigilia del federalismo, le azioni di secessione, che frazionano il territorio, ci indeboliscono, e noi abbiamo bisogno di unità e compattezza». F.G.G.
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Regione Salento: dieci ragioni per dire "no" Penso che sia utile e necessario, da parte mia, intervenire in merito al dibattito, innescatosi da qualche settimana e amplificato da tv e giornali, sull'opportunità di costituire o meno la Regione Salento, attraverso il distacco dal resto della Puglia delle province di Lecce, Brindisi e Taranto. Lo faccio perché ritengo di aver dato un contributo importante, soprattutto negli anni trascorsi alla guida della Provincia di Lecce, alla diffusione e promozione culturale del Salento, in un tempo in cui l'85% degli italiani (ricordo uno studio statistico fatto nel 1995) ancora confondeva la nostra terra con il più noto Cilento. So di aver lavorato a lungo e alacremente nella direzione di un rilancio e di un ritrovato fermento sociale di questo territorio. Ho visto i salentini accrescere, nel tempo, la consapevolezza di possedere ricchezze ambientali e tradizioni storiche ammirate da tutti. Proprio perché ho creduto e credo ancora nelle enormi potenzialità della mia terra, non accolgo con favore questa proposta di scissione dal resto della Puglia. Non è un percorso innovativo, ma solo il tentativo di procurarsi spazi sociali non con il merito, con il lavoro, con la coesione territoriale o con la solidarietà, ma con un espediente che di giuridico ha ben poco e di opportuno ancora meno. Un tentativo peraltro già fatto più volte, e puntualmente archiviato perché impraticabile. Esplicito il mio "no" sinteticamente in 10 punti.
In conclusione: noi salentini abbiamo meravigliose ricchezze ambientali, una tradizione affascinante, un patrimonio storico e artistico di grande valore e soprattutto sentimenti di accoglienza e solidarietà diffusa che rendono la nostra terra un ponte sul Mediterraneo e un avamposto culturale che merita e sta conquistando un respiro internazionale. Diciamoci la verità: questa idea di Salento ha giovato soprattutto ai leccesi; invece di cercare soluzioni inadeguate e arroccarci sulle nostre certezze, utilizziamo le nostre energie per aprirci a nuovi orizzonti di condivisione. Lorenzo RIA * deputato Udc
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Interviene l'onorevole Lorenzo Ria «Dieci motivi per dire no alla Regione Salento» «La Regione Salento non è una buona idea. E' già stata bocciata ed oggi ci sono una decina di buoni motivi per dire "no"». L'onorevole Lorenzo Ria, dell'Udc, già presidente della Provincia, porta più di una obiezione all'ipotesi di costituzione della Regione Salento della quale la politica si sta occupando con una certa insistenza da qualche settimana a questa parte. E lo fa senza mezzi termini, proprio lui che ha dato un contributo importante, soprattutto negli anni trascorsi alla guida della Provincia, alla diffusione e promozione culturale del Salento, «in un tempo in cui - ricorda - l'85 per cento degli italiani, secondo uno studio statistico del 1995, ancora confondeva la nostra terra con il più noto Cilento». Onorevole, perchè «no»? «Proprio perchè ho creduto e credo ancora nelle enormi potenzialità della mia terra, non accolgo con favore questa proposta di scissione dal resto della Puglia. Non è un percorso innovativo, non è avanguardia. È soltanto un tentativo di procurarsi spazi sociali non con il merito, con il lavoro, con la coesione territoriale o con la solidarietà, ma con un espediente che di giuridico ha ben poco e di opportuno ancora meno. Un tentativo peraltro già fatto più volte, e puntualmente archiviato perché impraticabile». Qual è il primo ostacolo? «Intanto ci sono evidenti nodi procedurali. Oggi non si potrebbe più derogare alla procedura dell'articolo 132 della Costituzione, che prevede espressamente il referendum. Una procedura complessa che necessita di passaggi aggravati: l'articolo 42 della legge 352 del 1970 prevede che la richiesta del referendum per il distacco da una regione e la creazione di un'altra deve essere corredata delle deliberazioni di tutti i consigli provinciali e comunali delle province e dei comuni di cui si propone il distacco, nonché di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della regione dalla quale è proposto il distacco. Non credo che si riuscirà ad avere l'adesione di tutti i comuni delle province di Lecce, Brindisi e Taranto e il contestuale nulla-osta di un terzo della restante parte della Puglia. Come se non bastasse, va anche raggiunto il quorum strutturale nell'eventuale referendum, e deve parteciparvi il 50 per cento più uno della popolazione, e la maggioranza deve esprimersi a favore del distacco. L'eventuale proposta approvata, in seguito, deve trovare maggioranze ampie in Parlamento e non credo sarà semplice far convergere i due terzi dei parlamentari, che rappresentano la Nazione, verso una proposta secessionista, che poggia su programmi politici ed economici incerti e che comporterebbe aggravi di spesa enormi per le casse pubbliche». A parte l'aspetto per così dire tecnico, quale altra ragione la porta a dissentire? «La verità è che manca, tra le tre Province coinvolte, un legame identitario tale da consentire loro di condividere questo progetto. L'espressione "Grande Salento", coniata negli anni successivi al mio mandato alla Presidenza della Provincia, evoca evidentemente un allargamento a Brindisi e a Taranto ed è quindi una forzatura, una contraddizione in termini che ci segnala l'anomalia di un accostamento obbligato di Lecce, Brindisi e Taranto. E un'idea già rifiutata in passato, già fallimentare». Ricorda in quali occasioni? «Finchè la Provincia di Lecce ha lavorato sul piano della promozione culturale, anche attraverso percorsi quali "Salento d'Amare", che ho promosso in prima persona, il sistema-Salento ha funzionato e ha rappresentato una buona prassi da diffondere ed imitare. Non appena, però, si è fatto il tentativo di avviare collaborazioni istituzionali con le altre province, Brindisi e Taranto hanno reagito, ricercando una propria identità e dei propri marchi identificativi, come per esempio "Filia Solis -Terra di Brindisi" e "Terra Ionica Unica". Né si è mai riusciti a stringere una forte intesa che permettesse di realizzare insediamenti infrastrutturali utili a tutto il territorio, naufragò, ad esempio, il progetto della intermodalità nei trasporti per una voluta esclusione dell'impianto delle Ferrovie dello Stato, già esistente a Surbo, dall'asse Brindisi-Taranto, perché spesso hanno prevalso le rendite di posizione e i campanilismi. Come pure non trovò sbocco il progetto dell'Agenzia interprovinciale». Non sarà l'eterna contrapposizione con Bari? «Bari è, dagli anni Settanta, il riferimento amministrativo per tutta la Puglia. Se per noi leccesi è così distante territorialmente, non è lo stesso per Brindisi e Taranto che, nella maggior parte dei casi, hanno come riferimento culturale, amministrativo e industriale il capoluogo barese. E comunque, la polemica anti-barese è sterile e ha fatto il suo tempo. Ci sono salentini illustri in tutto il mondo, la Regione ci riconosce la visibilità e la promozione che meritiamo, molti nostri concittadini hanno rivestito ruoli di primo piano nella storia di tutta la Puglia: il Presidente Quarta, Salvatore Fitto, Raffaele Fitto sono solo alcuni esempi». Chi accampa valide ragioni per la Regione Salento tira in ballo Giuseppe Codacci Pisanelli. «Spesso si è evocato il tentativo di Codacci Pisanelli di costituire la Regione Salento, ma, in realtà, la sua non fu una battaglia identitaria contro il resto della Puglia, bensì un'azione parlamentare finalizzata al riconoscimento sia del Salento che della Capitanata, al fine di ripristinare l'antica tripartizione del nostro territorio in Terra d'Otranto, Terra di Bari e Capitanata». Ritiene che ci sia unità d'intenti tra le tre provincie in ballo? «Non ci sono affatto certezze sulla condivisione dei brindisini e dei tarantini del progetto di Lecce capoluogo di Regione. Anzi, semmai è il contrario. E se anche fosse, non siamo sicuri che Lecce sia in grado, strutturalmente ed economicamente, di diventare riferimento unico della vita politica e sociale di una Regione». La Regione Salento potrebbe, però, portare vantaggi al territorio, sotto diversi profili. «Ragioniamo. L'attuazione piena del federalismo è alle porte, il che comporterà la graduale necessità delle Regioni di autofinanziare le proprie spese sulla base del proprio gettito. Per quanto confidiamo nella perequazione, probabilmente il Salento, da solo, non sarà in grado di sostenersi: non ha un'economia industriale e dimensioni demografiche sufficienti per consentire la copertura dei costi dei servizi, soprattutto se si affermerà il principio della territorialità dell'imposta. Rischiamo di essere noi quelli penalizzati. a fronte di una maggiore ricchezza della Terra di Bari, anche perché creare una nuova Regione non ci porterà immediati vantaggi né, tantomeno, un'automatica assegnazione di fondi superiore a quella odierna. La Regione Salento, insomma, rischia di essere causa di isolamento, piuttosto che di sviluppo». C'è un'ultima obiezione? «Sì, e molto importante. Non è opportuno né utile, in un momento in cui i cittadini italiani e salentini sono così presi dalle difficoltà economiche e dalla crisi occupazionale, creare una nuova regione e moltiplicare consiglieri e assessori, dipendenti, dirigenti, consulenti, sedi istituzionali nel territorio e all'estero. Credo che i cittadini non avvertano l'esigenza di ulteriori sprechi di risorse».
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Occorre "ridurre" non "aumentare" È da tempo che gravita attorno al nostro portale Internet Salentuosi.it (radio Salentuosi e Salentuosi magazine) l'idea di "Ragione Salento", un'agenzia con stretti legami di collaborazione con il governo regionale, che si adoperi 365 giorni l'anno per l'immagine, la comunicazione e lo sviluppo del Salento. In un periodo di crisi economica internazionale e di conti in rosso della pubblica amministrazione a tutti i livelli (nazionale, regionale, provinciale e locale) contenere i costi dello Stato razionalizzando le sue diramazioni burocratiche sul territorio dovrebbe essere il principio base di ogni scelta di programmazione politica. In tale ambito, razionalizzare coincide più con "ridurre" che con "aumentare" la presenza degli sportelli amministrativi dello Stato sul territorio: così come promesso durante l'ultima campagna elettorale per il Parlamento da entrambi gli schieramenti coinvolti (ed in particolar modo da quello che poi ha vinto le elezioni) sarebbe opportuno eliminare le province, cercando di accorpare gli enti locali, piuttosto che sovrapporre alle stesse una nuova struttura regionale. Impiantare la Regione Salento, sovrapponendola , agli uffici delle tre province che dovrebbero farne parte (Lecce, Brindisi e Taranto), significherebbe innanzi tutto duplicare i costi amministrativi di gestione di un lembo di suolo italiano in cui il rapporto costi/benefici della pubblica amministrazione è già di per sé molto basso. Tale considerazione è tanto più rilevante sopratutto se la Regione Salento nasce senza che vi sia un convincente progetto alla base della stessa. Più che di "Regione Salento" sarebbe opportuno parlare di "Ragione Salento", di un progetto che faccia dell'identità, della cultura, della tradizione salentine il suo punto di forza. Un progetto atto a far conoscere le vere potenzialità del Salento, tramite, ad esempio, una proposta di turismo culturale destagionalizzato che non metta in competizione (come purtroppo oggi molto spesso accade) le diverse iniziative presenti sul territorio (soprattutto nel periodo estivo) e che crei invece il giusto livello di sinergia tra le stesse, in modo da farle apparire come un prodotto turistico ricco e differenziato. Una politica agricola che abbini l'enogastronomia locale al fenomeno dell'agriturismo (in verità non molto in voga nella zona) e che crei le condizioni per un new deal dell'utilizzo delle campagne, la maggiorparte delle quali verte al momento in stato di semi-abbandono. Una politica industriale omogenea che connetta finalmente tra loro le numerose cattedrali nel deserto e le renda punti di riferimento delle piccole e medie imprese sparse sul territorio. Senza tutto questo, unire le province di Lecce, Brindisi e Taranto sotto l'unica bandiera della "Regione Salento" non avrebbe senso. Se poi tale scelta fosse motivata soprattutto dalla necèssità di reperire nuovi fondi, ad esempio europei, accedendo a bandi ai quali altrimenti non sarebbe possibile partecipare, allora perché non sfruttare tutti quei fondi inutilizzati di cui il Salento (a livello di singola provincia, di agglomerato di Comuni o di singolo Comune) potrebbe già ora usufruire anche senza essere Regione? Fernando PROCE, Giuseppe ATTANASI, Paolo GALLOSO, Alice PROCE
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Piccolo è bello? E' un falso slogan Nel discorso mediatico sulla Regione Salento circola carsicamente il tema dell'identità: essere salentini e dunque diversi dal resto dei pugliesi è la premessa, simbolica ed emozionale, della richiesta che a questa diversità corrisponda anche piena autonomia amministrativa. Qualche volta il tema si nasconde, forse per la consapevolezza della propria insostenibile leggerezza. È il caso delle giustificazioni che prendono a pretesto lo slogan piccolo è bello. Questo slogan è falso, non solo perché non basta essere piccoli per essere belli, ma perché ridicolizza la vitalità delle culture locali riducendole a localismo tribale, e trasforma il legittimo senso di appartenenza al luogo delle radici in un feticcio oggetto di folklore pacchiano e rumoroso. E vorrei ricordare anche, in tempi di federalismo, autonomie e decentramento, che non tutti i grandi Stati unitari con le loro burocrazie sono Stati inefficienti: stipendi e opere pubbliche dell'impero romano erano ben più efficienti che non nelle frantumate signorie medievali che ne presero il posto. Né i promotori della Regione Salento si prendono la briga di spiegare come e perché la nascita di un nuovo Ente potrebbe guarire d'un colpo i mali antichi di una burocrazia, quella italiana, che ha provato la sua inefficienza tanto a livello di Stato centrale quanto su quelli delle autonomie locali, tanto nello Stato fascista quanto in quello democratico. Qualche volta il tema dell'identità si traveste, e si spaccia per qualcosa di immutabile, di stabilito una volta per tutte anche se non si sa bene da chi. Ma l'identità non è un rigido dato immutabile. Essa è fluida, è un processo sempre in divenire, in cui continuamente ci si allontana dalle proprie origini; è qualcosa che si perde e si rinnova, in un incessante allontanamento e rientro. L'identità è un elastico che si tende e si ritrae per rispondere a stimoli sociali, culturali, economici, demografici, è una forma della memoria che continuamente rielabora il passato per dare senso al presente e immaginare il futuro. Il guaio è che il problema dell' identità, comunque lo si affronti, è sempre un problema intricato, ma la rivendicazione della salentinità banalizza la domanda, e la riconduce ad una forma di fanatismo etnocentrico. In che cosa consiste infatti l'identità di una cultura, di un popolo, di una comunità? Che cosa intendiamo di preciso quando diciamo di essere salentini? La mia risposta è questo senso dell' identità può assumere forme diverse tra di loro, ma queste forme non sono tutte equivalenti. Alcune di queste risposte manifestano apertura al mondo ed alle sue trasformazioni, ne accettano la sfida, guardano alla globalizzazione come ad una occasione per ridare alla comunità ed al senso di appartenenza che essa genera il valore di una riserva di senso, qualcosa, cioè, che gli individui usano per vivere il mondo ed esserne parte senza perdersi. Altre risposte, invece, sono di chiusura impaurita, ma chiamano questa chiusura con il nome di identità, abusandone e travisandola. Le persone che pensano all'identità in questi termini la vivono come una specie di muro, di fossato difensivo, che serve a tenere fuori il mondo che ci assedia. Nascono in questa concezione gli inviti, ad esempio, a consumare salentino che non a caso hanno preceduto, sempre attraverso una martellante campagna mediatica, il lancio della proposta della Regione Salento. Il consumo è stato presentato come la sintesi dell'identità, e dal consumo della merce alla merce della politica il passo è stato tanto breve quanto preannunciato. Intendiamoci: tutti abbiamo bisogno di sentirci parte di una collettività, di un gruppo - a volte come meccanismo difensivo di fronte a chi appartiene a una cultura diversa, ad uno straniero - e per farlo tendiamo a sottolineare la condivisione di caratteri distintivi con i membri del gruppo con cui ci vogliamo identificare. Possiamo dire che tutti noi abbiamo bisogno di sentirci parte di collettività, ma che questo senso di appartenenza non è univoco. Noi condividiamo molteplici sensi di appartenenza: quello con la comunità in cui, siamo nati e/o viviamo, quello con il gruppo di persone che svolgono la nostra attività professionale, quello che deriva dalla nostra collocazione politica, o perfino dal modo di passare il nostro tempo libero o di tifare per una squadra di calcio. E l'intreccio tra questi diversi sensi di appartenenza che contribuisce a definire la nostra identità individuale e si tratta di una combinazione in cui il peso dei vari elementi è differente, varia da soggetto a soggetto e può mutare nel corso del tempo. L'identità che si aggrappa al localismo per definire se stessa, e per marcarne i confini, si struttura però attorno agli stereotipi. Affermare che i salentini sarebbero diversi dai baresi significa compiere una operazione arbitraria di costruzione della diversità, che viene usata per rivendicare qualità positive per gli uni e per stigmatizzare qualità negative degli altri: i baresi sarebbero tutti commercianti furbi, e soprattutto capaci di prendersi, non si spiega mai bene in che modo, la maggior parte dei finanziamenti comunitari e regionali. Trasformare l'argomento identitario in un tema politico per il tramite del legame con il territorio è esattamente l'operazione che ha consentito il radicamento della Lega Nord, e non si capiscono le critiche rivolte al presidente Vendola per aver ricordato questa ovvietà. Le identità locali sono vive e produttive non quando pensano di essere la voce ignorata di una realtà periferica ed oppressa, ma quando esse si sentono parte di una universalità che le comprende e le trascende allo stesso tempo. Identità significa avere il senso dell'unità al di sopra delle differenze. Il paesaggio che si vede dalla propria finestra acquista un senso solo se siamo in grado di confrontarlo con altri paesaggi, con altri mondi che non siano quelli del piccolo cortile su cui quella finestra si apre. Gigi SPEDICATO
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Regione Salento: la bocciatura è già nel percorso Non sarei tornato sull'argomento "Regione Salento" se l'amico professor Luigi Melica non mi avesse chiamato direttamente in causa, dalle colonne del Quotidiano, su questioni tecniche che ho il dovere di precisare. Ho letto con attenzione le argomentazioni del professore, ma continuo a nutrire forti dubbi sull'iter logico-giuridico che ha seguito per sostenere la proposta del Comitato. Nell'intervento del 31 agosto, Melica cita una proposta di legge costituzionale, già presentata dall' onorevole Gianluca Pini (A.C. numero 176 del 29 aprile 2008, cioè il primo giorno della presente legislatura!), che deroga alla procedura di cui all'articolo 132 della Costituzione, disponendo l'istituzione della Regione Romagna. Questo esempio, però, non può essere un argomento a favore della sua tesi. Innanzitutto si tratta di quelle proposte presentate per piantare una bandierina appena arrivati in Parlamento, e comunque è una proposta contraria al dettato costituzionale. Infatti, così come richiamato dal professor Melica, l'articolo 1 della proposta Pini così si esprime: "È istituita, in deroga, dell'articolo 132 della Costituzione, la Regione Romagna". Ma non è forse palese l'inammissibilità di questa proposta? E mai concepibile derogare così semplicemente alla Costituzione? Possiamo interrogarci e dibattere a lungo sulla rigidità o meno della Carta del 1948, ma una proposta di legge costituzionale in deroga alla Costituzione non può essere presa a base di un ragionamento logico-giuridico. Né la si può prendere ad esempio, se non si vuole rischiare una figuraccia, cioè una solenne bocciatura dagli organismi che verificheranno l'ammissibilità della proposta. Il deputato Pini avrebbe tutt'al più dovuto presentare una legge di revisione costituzionale dell' articolo 132 o una proposta di modifica della legge 352/1970, quella sui referendum presenti in Costituzione. A tal proposito, inoltre, possiamo anche fantasticare a lungo sulla farraginosità dell'articolo 42 di tale legge, che disciplina nello specifico il referendum per la creazione di nuove Regioni. Ma la legge va osservata e applicata, finchè esiste, anche quando è particolarmente severa: dura lex, sed lex. Né si può sperare in una pronuncia di incostituzionalità che cada dal cielo. Tanto più che la Corte Costituzionale ha già avuto modo di intervenire sull'articolo 42 suddetto (sentenza numero 334/2004), ma mai ha dichiarato incostituzionale la parte in cui si disciplina il referendum per la creazione di nuove regioni (è il nostro caso), soffermandosi invece sulle disposizioni (dichiarate appunto incostituzionali) che riguardano il referendum per il distacco di singoli comuni e Province dalle regioni di appartenenza che si aggregano ad altra Regione già esistente. Ecco perché ho espresso le mie perplessità sull'ipotesi profilata dall'amico Luigi Melica. Lungi da me l'intenzione di sindacare la sua conoscenza del diritto costituzionale; d'altronde, l'accademico è lui. Io, invece, che faccio il politico, ma conservo gelosamente le mie reminiscenze di semplice operatore del diritto, ho voluto rilevare un'anomalia, a mio parere notevole, nell'interpretazione che il professore ha voluto dare del dettato costituzionale. Lorenzo RIA * deputato Udc
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
La replica della parlamentare Matsromauro (Pd) alla poli Bortone «Progetto politico miope e anacronistico» Il dibattito sull'istituzione della Regione Salento supera ormai i confini strettamente territoriali. La vicenda, infatti, ieri è giunta in Paralmento con l'intervento di Margherita Mastromauro, deputato del Pd che, rispondendo anche alle dichiarazioni della senatrice Adriana Poli Bortone dichiaratasi favorevole a tale proposta, esprime netta contrarietà e ferma opposizione a un «progetto politico miope e anacronistico». Per Mastromauro «l'idea di costituire un nuovo ente istituzionale in un periodo di crisi economica e politica mi risulta irresponsabile e per nulla condivisibile. In un momento in cui occorre casomai razionalizzare gli enti e si discute della opportunità di cancellare le province, la nascita di una Regione Salento non mi sembra affatto una grande idea. Basti guardare alla nuova Provincia di Barletta-Andria-Trani, tanto acclamata, ma che alla fine si sta rivelando oltre che inutile anche un motivo in più di divisione tra i cittadini di quel territorio». La contrarietà dell'onorevole Mastromauro «non è però solo di carattere economico e sociale, ma anche politico: invece di far fronte comune verso le politiche nordiste del governo Berlusconi, che soffocano le regioni meridionali, la senatrice Poli Bottone sostiene (forse provocatoriamente, visto che è una ferma oppositrice del federalismo) un progetto che frammenterebbe la consolidata compattezza culturale della Puglia. Una Regione, la Puglia, che ha peraltro sempre con orgoglio sostenuto ed esibito il Salento come importante meta turistica e culturale». Secondo la parlamentare «il rischio è quello di alimentare una cultura localista, una visione retrograda e miope della politica nella gestione dei territori che purtroppo già sta prendendo piede in alcune aree del Nord del nostro Paese».
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Regione Salento: il ministro Fitto dice «no» Regione Salento, anche il ministro Raffaele Fitto si schiera contro l’iniziativa che «porterebbe ad un aggravio dei costi della politica». «Ci misureremo - spiega Fitto - sul federalismo fiscale senza vagheggiare “vie di fuga” che non porterebbero da nessuna parte». Contrari pure l’onorevole Salvatore Ruggeri, commissario provinciale dell’Udc, ed il parlamentare Pd Margherita Mastromauro. «Un progetto politico miope, anacronistico e giuridicamente difficile da attuare». Contro l’istituzione della Regione Salento si è schierato ieri il ministro Raffaele Fitto. «Non sono per nulla “allettato dall'idea” della costituzione di una Regione Salento» fa sapere in una lettera ad ItaliaOggi. «Non lo sono per banali ragioni di razionalità, come la moltiplicazione di costi e strutture, ma soprattutto per lo spirito che intravedo nella proposta - spiega - Uno spirito di rivendicazione che non sortirebbe altro risultato che un aggravio dei cosiddetti “costi della politica”, per non dire delle successive frustrazioni per i deludenti risultati facilmente immaginabili a seguito della irrealistica secessione. Il terreno più proprio sul quale misurare anche eventuali malesseri e sperequazioni territoriali è quello del federalismo fiscale - sostiene - sul quale orientare ogni sforzo di rinnovamento delle classi dirigenti, senza vagheggiare “vie di fuga” che non porterebbero da nessuna parte». Contrario ma con molti distinguo invece l’onorevole Salvatore Ruggeri, commissario provinciale dell’Udc. «Non intendo addentrarmi in sottili disquisizioni giuridiche - dice Ruggeri - ma non posso fare a meno di ricordare la complessità della procedura per l’istituzione di una nuova regione che già da sola mi porta dire “no”». Tra l’altro, aggiunge, «questo momento politica mente così delicato non consente certo la creazione di un nuovo carrozzone amministrativo». Piuttosto, aggiunge Ruggeri, «la mia idea è la costituzione di una macro-provincia, magari autonoma sul modello di Trento e Bolzano, la cui autonomia consiste nel potere di legiferare, mentre tutte le altre province italiane hanno mera funzione amministrativa. Alla macro-provincia del Grande Salento si potrebbe attribuire potere legislativo in alcune materie normalmente di competenza statale o regionale come, per esempio, sanità, trasporti, viabilità, lavoro». Ruggeri dice, però, “sì” al referendum, trattandosi, ritiene, di uno strumento democratico. Torna sull’aspetto politico l’onorevole Margherita Mastromauro, del Pd. «E’un progetto politico miope e anacronistico - sostiene - servono politiche di coesione e non di frammentazione istituzionale». Mastromauro boccia pure l’idea di Ruggeri, evidenziando che «la Provincia di Barletta-Andria-Trani, tanto acclamata, alla fine si sta rivelando oltre che inutile anche un motivo in più di divisione tra i cittadini di quel territorio». Ed è critica con Adriana Poli Bortone, che due giorni fa si è invece schierata apertamente a favore del progetto: «La senatrice, pure candidata alla presidenza della Regione Puglia - dice Mastromauro - sostiene, forse provocatoriamente, visto che è ferma oppositrice del federalismo, un progetto che frammenterebbe la consolidata compattezza culturale della Puglia. Il rischio è di alimentare una cultura localistica, una visione retrograda e miope della politica nella gestione dei territori, che purtroppo sta prendendo piede in aree del Nord».
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Occhi al passato c'è altro nel futuro I nostri figli e nipoti, che oggi frequentano la scuola dell'obbligo, vivranno in un altro mondo. Fra trent'anni, secondo le previsioni dell'economista Usa Robert Foger, il 40% del Pil mondiale sarà prodotto dalla Cina (oggi è all' 11 %), gli Usa scenderanno al 15% (dal 22%), l'Europa a quindici sarà marginale con il 5% (rispetto al 21%). Questi cambiamenti tumultuosi e inarrestabili dovrebbero spingerci a chiederci quale sarà il ruolo dell'Italia, se e come reggerà il mezzogiorno, che futuro si prepara per le nuove generazioni. Nella "provincia Italia", invece, da anni, come in un luna park, ci si gingilla con la Padania, con la secessione, con un federalismo dal profilo oscuro. E intanto precipitiamo sempre più giù: nel 2010 la Germania aumenta il Pil del 2,2%, l'Italia si ferma a un misero 0,8%. Non voglio urtare la suscettibilità, e la buona fede, dei promotori del comitato per la Regione Salento, ma la loro iniziativa si colloca dentro questo andazzo di deresponsabilizzazione: una scorciatoia demagogica molto simile a quella della Lega Nord, sia per l'impostazione rivendicazionista contro il capuologo ("Bari ladrona"?) che per l'atteggiamento fideistico nelle virtù salvifiche della mini-secessione. L'unica differenza, non da poco, è che l'invenzione della Padania risale a metà degli anni '80, quella della regione Salento è un déjà vu ormai secolare. Fu infatti il principe Apostolico Orsini, nel 1927, a rivendicare per il Salento "il riconoscimento dei caratteri intangibili di regione", tema poi risollevato, fortunatamente senza esito, quando si scrisse la carta costituzionale della nuova Italia. Ma oggi? Che senso ha, di fronte ai cambiamenti della rivoluzione tecnologica, che hanno rimpicciolito il mondo costringendo i territori a organizzarsi in grandi aree-sistema per competere nella sfida per lo sviluppo, pensare di rituffarsi in un piccolo mondo antico, come se 50 anni fossero passati invano? Non è in discussione, naturalmente, la fondatezza della specificità storica e culturale del Salento. Ma ciò vale anche per la Capitanata e la terra di Bari. E tuttavia la scommessa che hanno vinto le classi dirigenti pugliesi nel '900 è stata proprio quella di fare della Puglia non la sommatoria di antiche ripartizioni ma una entità regionale che, ricomposta solo all'indomani dell'Unità d'Italia, ha trovato faticosamente la sua identità nel secolo scorso. E bene ha fatto la politica pugliese del dopoguerra (Aldo Moro, ma anche Ruggero Grieco, deputato salentino del Pci , che definì la proposta della regione Salento "un'allucinazione') a non trasformare questa diversità in un elemento di frantumazione e di marginalità delle Puglie, consentendo alla nostra regione di diventare la più dinamica dell'intero Mezzogiorno. E questa è ancora oggi la scommessa che abbiamo davanti: come esaltare le diverse specificità provinciali per consentire alla nostra regione di competere con gli altri territori, e di farlo con le proprie forze, al netto di aiuti esterni in via di esaurimento. Non è questa la sede per riflettere sugli indicatori economici della Puglia. Ma un dato è confermato da tutti gli studi. La nostra regione, indicata come la "locomotiva del Mezzogiorno", ha realizzato in questi anni le migliori performance negli indici di sviluppo (Pil regionale, consistenza attività industriali e occupati, raccolta e prestiti delle banche, anagrafe nuove imprese, commercio con l'estero), ma questo accade perché la provincia di Bari contribuisce con il 50% al raggiungimento di tali risultati. Solo la Puglia nella sua interezza, quindi, non una specie di Sud Tirol che si allunga nel mare, può dare una prospettiva di crescita anche al Salento. Lo voglio dire con chiarezza: tra i tanti argomenti messi in campo dal comitato pro-regione non ne trovo alcuno che indichi una prospettiva per il futuro, che sia fondato economicamente, che appaia realistico. Anche il tema della riduzione dei costi della politica e delle istituzioni, agitato populisticamente, è totalmente falso: quando si dovrà spendere per le sedi del Consiglio regionale, della giunta e degli assessorati? E qualche sede periferica, nel Sud Salento, ad esempio, - che dista un'ora da Lecce- ce la vogliamo negare? E con quali soldi, e relativo personale, si apriranno gli uffici regionali (Inps, Inail, Corte dei conti, ufficio scolastico, protezione civile, sovrintendenza, sviluppo Italia, ecc...)? E chi, per parlare di una questione elementare, scioglierà il nodo del capoluogo dopo che il "Grande Salento" è affondato nel mare delle buone intenzioni a parole e dell'ognuno per i fatti suoi nella realtà? Il futuro del Salento non sta in un'operazione nostalgia, ma in una Puglia che, come si sta facendo in questi giorni, sia capace di "fare rete" con le altre regioni per le grandi questioni infrastrutturali (acqua, trasporti, ambiente, università). La nostra prospettiva è in un Paese che non può essere succube della Lega e delle sue politiche contro il Mezzogiorno. Questo significa leggere un presente che sempre più coincide con un futuro già in atto. Affrontare questa sfida tirando fuori dalla naftalina lo slogan della Regione Salento è un diversivo inconcludente che non ci aiuta a costruire con fatica, giorno per giorno - come si è fatto in questi anni - un futuro migliore per le nostre comunità. Antonio MANIGLIO * Vicepresidente Consiglio regionale
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Minervini boccia la regione Salento: «Moltiplicare i centri di potere indebolisce la politica» «Il frazionamento degli interessi territoriali indebolisce la politica, dissipa energie, innescando inutili guerre di campanile. La vera differenza tra nord e sud è che lì l'hanno capito, qui invece si gioca ancora a moltiplicare burocrazia e centri di potere. Inoltre è davvero singolare che, mentre (mai come in questo momento) la politica del governo nazionale ha deciso di stringere il cappio al collo del Mezzogiorno, nel Salento nasca questa singolare iniziativa». L'assessore regionale pugliese alla mobilità Guglielmo Minervini interviene così sulla polemica che in questi giorni sta animando la discussione accesa dal movimento referendario «Regione Salento», che in una nota ha chiamato in causa le politiche sulle infrastrutture attuate negli ultimi anni. «In ogni caso - continua Minervini - almeno per chiarire i corretti termini dell'azione del governo regionale portata avanti in questi anni, qualche precisazione è doverosa. L'alta velocità, ad oggi, si ferma a Napoli e scorre lungo tutta la dorsale tirrenica. L'alta capacità Bari-Napoli è ancora solo un miraggio. Gli interventi strutturali e strategici del porto di Taranto, già impegnati, attendono da novembre scorso una seduta del Cipe che li finanzi. Infine i collegamenti tra Lecce e Taranto attendono che il governo nazionale sblocchi la programmazione dei fondi Fas». «AI contrario - prosegue l'assessore - laddove l'azione del governo regionale ha goduto di maggiore autonomia sono state realizzate in questi anni decisive infrastrutture che incidono sulla qualità della vita e sullo sviluppo salentino. La tumultuosa crescita dell'aeroporto di Brindisi ne è una chiara testimonianza». «Ecco il dubbio - conclude Minervini - che si voglia nascondere, con la polvere del localismo, la reale questione politica, quella che riguarda il deliberato strangolamento del sud messo in campo dalla premiata ditta Bossi-Tremonti con la complicità di Fitto». Proprio nei giorni scorsi però centoventi sindaci delle province di Lecce, Brindisi e Taranto si sono espressi a favore di un referendum per istituire la Regione Salento. Il Movimento Regione Salento, presieduto dall'imprenditore Paolo Pagliaro e costituitosi lo scorso 5 Agosto, aveva inviato a tutti i 146 comuni delle tre province una proposta di ordine del giorno chiedendo la convocazione di un referendum tra le popolazioni interessate, così come stabilito dall'articolo 132 della Costituzione. «Basterà che si pronuncino a favore - ha ricordato il Movimento - i consigli comunali che rappresentano almeno un terzo dei circa un milione e ottocentomila abitanti delle tre province». Il primo comune ad approvare l'ordine del giorno è stato quello di Miggiano (Lecce), nel corso di un consiglio comunale, convocato ad hoc, lo scorso 27 agosto. Sul tema si è anche espressa la senatrice Adriana Poli Bortone promotrice con il gruppo di Io Sud, nei giorni scorsi, di un ordine del giorno al comune di Lecce: «Sono favorevole a percorrere la strada della Regione Salento», una strada «che non intacca minimamente l'unità d'Italia e continua a sviluppare, nella forma delineata dal prof. Melica, quel progetto di Grande Salento nel quale abbiamo creduto allorchè i tre sindaci delle città di Lecce, Brindisi e Taranto si misero insieme per avviare iniziative comuni».
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Guardiamo all'orizzonte I dibattiti sono sempre utili e interessanti, anche quando le questioni sono poste in maniera piuttosto approssimativa. Nell'ennesimo tormentone che si è aperto sulla ipotesi di una Regione Salento, vengono messe nel calderone molte cose che appaiono a una prima lettura confuse e slegate. Un vago sentimento di salentinità fatto d'amore e di psicologia, risentimenti per la gestione economica considerata "baricentrica" della Regione Puglia, preoccupazioni per la riforma federalista prossima ventura (crisi di governo permettendo), risentimenti per supposti scarsi finanziamenti, qualche dubbia ricerca di protagonismo politico e una strana passione per le cosiddette piccole patrie. Ne viene fuori, ad essere comprensivi, un minestrone di sentimenti, e spesso di risentimenti, dal sapore indefinito, troppo salato o troppo sciapito a seconda della cucchiaiata che si assaggia, privo di amalgama e soprattutto di ricetta. Regione Salento: alziamo un nuovo confine, a Fasano e a Ginosa, salutiamo Bari e la Puglia e iniziamo una nuova avventura. Verso dove? Ben venga il dibattito, dunque, anche se già l'idea di una ventunesima piccola patria regionale, dentro la piccola patria italiana ormai calata nella più ampia dimensione europea, ci fa sentire tutti più stretti e più chiusi. E poi: siamo sicuri che i fasanesi — faccio un esempio — abbiano davvero tutta questa voglia e questo interesse a voltare le spalle a Bari e a trasformarsi da un referendum all'altro da pugliesi a salentini? O che Brindisi — per fare un altro esempio che evidentemente conosco bene — che pure del Salento si ritiene la porta infrastrutturale grazie al suo porto e al suo aeroporto, abbia interesse a rinchiudere i propri orizzonti in un triangolo geografico di pochi chilometri quadrati? Sono convinto di no, e questo interesse non lo hanno neppure Taranto e Lecce e i tanti cittadini che vivono all'interno della penisola bagnata dai due mari. A parte la considerazione che proprio a noi pugliesi l'esperienza dei popoli frontalieri che vivono sull'altra sponda dell'Adriatico avrebbe dovuto immunizzarci dal virus distruttivo dell'ambizione alle piccole patrie, non mi pare affatto che il Salento abbia sofferto in questi anni della collocazione nella regione Puglia. Tutt'altro. Il Salento ha saputo trovare al suo interno i motivi di un riscatto culturale e economico, valorizzando in maniera moderna e fantasiosa il suo patrimonio turistico, artistico, gastronomico, imponendosi come un modello vincente che ha attratto visitatori, ha promosso il proprio marchio, esaltato le sue specificità. L'Università ha saputo espandersi da Lecce alle altre città germinando un tessuto formativo qualificato che regge anche l'urto della razionalizzazione del settore. Le imprese che hanno saputo cogliere le nuove sfide imprenditoriali non sono rimaste isolate e si sono avvantaggiate di una rete infrastrutturale che le apre all'Europa e al mondo. Chi ha saputo far bene — siano stati cittadini, imprenditori, politici — ha potuto misurare risultati concreti, raccolti con grande fatica, perché in fondo la Regione è un dato amministrativo, la gestione invece appartiene alla buona o alla cattiva politica. Se sulle guide e sulle riviste di viaggio internazionali la Puglia viene considerata turisticamente la nuova Toscana, questo non è un dato che penalizza il Salento, anzi lo avvantaggia, perché all'interno di un'offerta ampia e più grande ha saputo ritagliarsi una sua particolare fisionomia. Lascio da parte, per il momento, la questione dei costi, che inevitabilmente graverebbero sulle tasche dei cittadini, dal momento che lo Stato centrale non ha più la forza, la voglia e la possibilità di sostenere finanziariamente nuovi baracconi pubblici. Ho letto stime che, nell'eventualità dell'istituzione di una Regione Salento, prevederebbero riduzioni dei costi dovuti al risparmio delle trasferte: mi paiono, nel migliore dei casi, stime un po' naif, fossero solo quelli delle trasferte i costi da affrontare! Ma anche qui bisognerebbe impostare uno studio finanziario più approfondito, prima di imbarcarsi in una "crociata". Mi preoccupa di più questa tentazione delle scorciatoie, questa idea che basti tracciare confini per ritrovarsi tra simili e risolvere i problemi. I mercati con cui dobbiamo confrontarci sono invece sempre più ampi e servirebbe unire le forze piuttosto che frantumarle. Un esempio. Dal nuovo collegamento ferroviario che collegherà in futuro città e aeroporti di Lecce, Brindisi, Taranto e Bari scaturirà una potenzialità di mobilità in ingresso e in uscita dalla nostra regione che ancor oggi viene parzialmente sfruttata. Gli aeroporti di Bari e Brindisi, che già oggi hanno moltiplicato i loro voli, non saranno più lontani oggetti del desiderio, distanti anche fra di loro, ma rappresenteranno un sistema integrato rapido da raggiungere e capace di interagire a disposizione di tutta la regione: degli operatori alla ricerca di opportunità fuori e di quelli che da chi viene da fuori ricava la propria ricchezza. Aprirsi e non chiudersi è la chiave dell'oggi e del domani. Bisognerebbe semmai guardare più in là. E cominciare a immaginare di aprirsi e legarsi alle altre realtà della nostra fascia adriatica. Un'ipotesi non nuova, che tuttavia abbiamo ancora poco sfruttato. Da tempo ormai, restando ferme le distanze che permangono tra il nord e il sud dell'Italia, il vero spartiacque nel nostro paese è tornato ad essere la vecchia catena appenninica, quello fra est e ovest. Di là l'Italia tirrenica, che guarda a occidente, dominata dalla logica delle grandi concentrazioni industriali, dello Stato centrale impersonato da Roma, delle burocrazie dei ministeri; di qua l'Italia adriatica, da Trieste a Leuca passando per Venezia e Ancona, Pescara, Bari e l'intero Salento, che si affaccia sull'oriente ritrovato con la sua vitalità commerciale, aperta al nuovo e ai mercati e alle sfide che dovremo saper cogliere. È di questo orizzonte largo che abbiamo bisogno per poter immaginare un futuro di benessere per il nostro Salento.
Domenico MENNITTI
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Il baricentrismo è nelle delibere Il dibattito che si è aperto da qualche giorno sull'opportunità o meno di dar vita alla Regione Salento, con apporti stimolanti sia da parte dei sostenitori che da parte dei detrattori dell'iniziativa, senza costringerci a prendere posizione a favore o contro, ci obbliga come cittadini, amministratori e imprenditori di questa parte del territorio pugliese a riflettere nel merito della proposta. In particolare, a rappresentare le cause che, oggettivamente hanno determinato la volontà di alcune personalità a lanciare un segnale di distacco, ma direi pure di giustificato dissenso, da una Regione Puglia troppo spesso concentrata sugli interessi economici e finanziari dell'area barese. L'attività di concertazione che si è realizzata sinora e che si intende proseguire a livello di Presidenza delle tre Province del Grande Salento (Brindisi, Lecce e Taranto) ha evidenziato carenze storiche di quest'area dal punto di vista delle infrastrutture di trasporto, della organizzazione della logistica, dell'approvvigionamento idrico e di altro. A fronte di queste carenze, assistiamo alla stesura di documenti programmatici, oppure alla adozione di provvedimenti del Governo Regionale che, prioritariamente e quasi sempre esaustivamente, impegnano le poche risorse pubbliche disponibili per progetti che riguardano l'area barese. Ne è un esempio il Piano Attuativo 2009-2013 del Piano Regionale dei Trasporti, redatto nel 2008 ed approvato dalla Giunta Regionale della Puglia con provvedimento del 24 marzo 2009; per i vari settori stradale, ferroviario, marittimo ed aereo, sono previsti investimenti complessivi per 8,81 miliardi di euro, dei quali 2,14 miliardi dopo il 2020. Ebbene, degli 8,81 miliardi di euro sono previsti investimenti nell'area di Br-Le-Ta solamente per 2,18 miliardi di euro, il 24,8% che non è certo il "peso" economico del Grande Salento! Ma c'è di più: per i 2,14 miliardi di euro previsti al 2020, le tre province "salentine" sono interessate in misura notevolmente maggiore, pari al 38,9%! Come a dire che gli investimenti disponibili a partire dal periodo 2011-2013 saranno maggiormente spesi nell'area barese-foggiana, mentre gli investimenti più lontani nel tempo (2020) riguarderanno le tre province di Br-Le-Ta. A mo' di esempio, appare abbastanza singolare che nel Piano Attuativo dei Trasporti della Regione, su 929 milioni di euro previsti per il trasporto marittimo, settore ove sono prevalenti i porti di Taranto e di Brindisi, solamente 472 milioni di euro siano previsti per le tre province "salentine", con una dotazione per il Porto di Taranto di 305 milioni, nella massima parte già oggetto di finanziamenti assentiti in precedenti programmi statali e perciò non connessi alle nuove risorse rivenienti dal Piano dei Trasporti. Appare molto difficile pensare che questi numeri stiano a dimostrare notevole interesse della classe politica regionale per il porto di Taranto; questo dubbio diventa certezza quando ci si accorge che la previsione di sviluppo del Distripark nelle aree retroportuali di Taranto, ormai libere da ogni vincolo di bonifica ambientale grazie alla pervicacia della Provincia di Taranto, è rimandata al 2020 con un contributo pubblico di 50 milioni di euro; e dire che i tre Presidenti delle Province "salentine", Ferrarese, Gabellone e Florido hanno confermato il fermo intento di valorizzare al massimo il sistema "porto-aeroporto" di Taranto incentrato su un sistema a rete di interporti (Francavilla, Surbo) connessi con il Distripark ed il porto di Taranto! Nonostante le scarne previsioni programmatiche regionali, siamo convinti che le tre Province le tre Amministrazioni dei capoluoghi salentini sapranno far valere le proprie ragioni. Altro esempio di sottovalutazione delle potenzialità del "Grande Salento" è rappresentato dalla logistica e dalle nuove possibilità di implementare le produzioni delle Grandi Imprese e delle Pmi, con una rete di trasporti in grado di assicurare connessioni con l'intero comparto produttivo mondiale soprattutto attraverso il Porto di Taranto e l'aeroporto di Grottaglie, la cui pista lunga ben 3300 metri è di fatto sottoutilizzata; la politica regionale dei distretti produttivi, nei settori della logistica, nei settori di specializzazione produttiva, senza una attenzione mirata degli Organi decisionali regionali finirà con il privilegiare (come ha fatto sinora e continua a fare) l'Interporto della Puglia (non a caso anche la terminologia rivela l'intento egemonico sull'intero territorio regionale) e le connessioni trasportistiche e logistiche che sulla rotta adriatica hanno come terminale l'area di Bari e non già Taranto e Lecce. Solo così si spiega la previsione di finanziamento con risorse pubbliche, nel citato Piano attuativo dei Trasporti, "del fascio di binari per la presa in consegna e servizio all'interporto di Bari" per un importo di 34 milioni di euro, naturalmente entro il 2013; si aggiunga a ciò il piano di investimenti dello stesso Interporto di Bari che, con la partecipazione finanziaria della Regione Puglia, prevede a breve opere e servizi per importo dell'ordine di 150 milioni d euro. Eppure siamo convinti che anche questa infrastruttura barese senza sinergia efficace con il Porto ed il Distripark di Taranto vedrà notevolmente ridotte le proprie potenzialità. Come ulteriore esempio di necessità di maggiore valutazione delle esigenze dell'area Br-Le-Ta nei confronti degli organi decisionali regionali citiamo l'annoso problema delle risorse idriche, sia a scopo irriguo che potabile. O le direttrici stradali da completare per rafforzare l'accessibilità nelle nostre province da nord-ovest e a sud—est con il completamento della Bradanica-Salentina, la cui piena ed efficace fruibilità dipende dal completamento della Tangenziale Nord di Taranto e dal finanziamento complessivo della Talsano-Avetrana-Nardò che dopo il primo lotto già appaltato da parte della Provincia di Taranto arriva alle porte di Talsano. Anche se l'esposizione delle tesi di cui sopra può sembrare molto tecnica, rileviamo che si tratta di argomenti cardine dello sviluppo del nostro territorio. Il dibattito sulla ipotesi di "secessione" della parte meridionale della Puglia, a giudizio di chi vive la quotidiana esperienza di amministratore del settore delle politiche territoriali, vuole essere un segnale di allarme e vuole perciò costituire serio motivo di riflessione per gli amministratori regionali.
Solo una politica di "Sistema" è in grado
di superare le disparità esistenti non solo tra nord e sud, ma anche
all'interno di ogni singola regione, per valorizzare ed esaltare le
ricchezze, le potenzialità e le diversità che ogni territorio contiene e
determinare così uno sviluppo diffuso e differenziato. Noi, come
amministratori jonici siamo pronti a fare la nostra parte, ma chiediamo
una corale partecipazione a questo sforzo. Costanzo CARRIERI * Assessore Programmazione Provincia Taranto
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Sfida sbagliata, via al comitato anti-referendum Intervenire oggi nel dibattito aperto sulla proposta d'istituzione della Regione Salento, dopo decine di interventi pubblicati su questo giornale, può destare un qualche interesse solo se introduce elementi di novità rispetto ad argomenti già letti o ascoltati. Per chi, come me, ha fondate e motivate ragioni di contrarietà all'idea di una "secessione referendaria" per istituire la Regione Salento è inutile ribadire i concetti già autorevolmente proposti dai molti interventi apparsi su Quotidiano. Più utile, credo, provare ad affrontare il tema partendo dall'ultimo intervento, domenica scorsa su queste colonne, di Paolo Pagliaro, presidente del comitato promotore, per argomentare cosa del suo lungo e articolato intervento non mi convince. Una premessa doverosa: sottoscrivo in pieno l'invito da lui rivolto a mettere da parte pregiudizi, dietrologie, retropensieri per concentrarci sul merito e metodo della proposta. Non si può ignorare, tuttavia, il suo essere contestualmente portavoce del comitato promotore e presidente di uno dei principali gruppi radiotelevisivi del Salento. Circostanza che introduce nel dibattito in corso un elemento di impar condicio per l'oggettivo traino massmediale di cui ci si avvale per sostenere la propria legittima battaglia. Per entrare più nel merito degli argomenti proposti da Pagliaro aggiungo brevemente queste considerazioni.
Queste le mie obiezioni alla proposta di una nuova Regione Salento. Alle quali accompagno, in chiusura, una proposta. Oramai il dibattito sull'argomento è uscito da una dimensione meramente mediatica per divenire tema di confronto politico e istituzionale. È giunto il momento, anche in considerazione della succitata sproporzione di mezzi in campo, di costituire un comitato a difesa della Puglia Unita. Un'associazione spontanea di cittadini convinti che lo sviluppo del Salento può' avvenire solo all'interno di una coesione territoriale e non per anacronistici autonomismi. Carlo SALVEMINI
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Strada sbagliata, così la comunità viene solo illusa E' vero, ad iniziare su Quotidiano questo "scambio di opinioni di respiro giuridico-costituzionale" sono stato io. E non ci vedo nulla di male nell'aver esposto le mie argomentazioni del "no" alla proposta di istituire la Regione Salento, pur contrarie al pensiero espresso dal professore Luigi Melica, in particolare sull'iter da lui indicato. Da autorevole giurista qual è, saprà bene quanto questi scambi contribuiscano a tenere in vita il diritto, ne approfondiscano gli aspetti più controversi, ne interpretino la funzione essenziale. Molto sommessamente penso che il professore continui a procedere sulla strada sbagliata. E i cittadini hanno il diritto di capire il perché di una polemica che ha voluto alimentare forse solo per ragioni di orgoglio o insicurezza. Una polemica nata solo perché ho contestato al professore Melica un errore che, evidentemente, fatica ad ammettere, e cioè un'interpretazione estensiva del concetto di deroga alla Costituzione. La deroga è un istituto che permette di porre un'eccezione rispetto ad una regola contenuta in un'altra norma. Con la "deroga" la costituzione rimane integra, solo che determinate disposizioni sono sottratte al regime costituente ordinario e sottoposte ad una normativa ad hoc a carattere speciale e/o limitato nel tempo. Cosa, dunque, ben diversa dalla revisione. Le deroghe possono essere originarie, cioè contenute nell'originale testo costituzionale (esempio, articolo 87, 2° comma: attribuzione alla Valle d'Aosta di un delegato soltanto, rispetto ai tre attribuiti alle altre Regioni, al fine di contribuire all'elezione del Presidente della Repubblica) o successive, cioè intervenute dopo l'approvazione della Carta. La figura della deroga costituzionale successivava esaminata, però, alla luce della giurisprudenza sui principi supremi dell'ordinamento. L'istituto della deroga, infatti, è possibile solo nei confronti di quelle norme cosiddette "a copertura costituzionale": cioè quelle che, in via di eccezione alla consueta operatività del criterio gerarchico e del criterio della successione temporale fra norme, possono legittimamente porsi in contrasto, e pertanto derogare, a singole disposizioni costituzionali, (ma non a principi supremi dell'ordinamento), sempre che la disciplina normativa derogatoria sia uno sviluppo "previsto" e "legittimato" da altre norme costituzionali. Qui lo snodo fondamentale della mia tesi, che sviluppo con un esempio: l'efficacia normativa, data alle fonti comunitarie "in deroga" all'attribuzione della funzione legislativa alle Camere e alle Regioni, è legittima solo perché "coperta" dalla previsione di cui all' art. 11 della Costituzione: "L'ordinamento italiano "consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni", fermi restando i principi supremi dell'ordinamento costituzionale. Quale sarebbe, invece, la norma costituzionale che "copre" l'eventuale deroga all'articolo132? Non esiste. Ecco perché procedure diverse da quella prevista non sarebbero ammissibili, se non con "revisione" costituzionale. Fino al 1963 poteva derogarsi alla procedura perché previsto espressamente dalla Costituzione (IX Disposizione transitoria), il che dava la necessaria "copertura" alla deroga. -Oggi, invece, è obbligatorio raccogliere le delibere, fare il referendum, presentare la proposta in Parlamento e farsela approvare dalle Camere con procedimento aggravato. Sulla base degli stessi concetti, inoltre, mi preme chiarire che è ovvio che esistano leggi costituzionali che contengono "deroghe" al dettato costituzionale e che molte di queste hanno portata ben più significativa rispetto al procedimento regolato per la creazione di nuove Regioni: evidentemente si tratta di deroghe legittimate da adeguata "copertura" costituzionale! Ribadisco, quindi, quanto scritto su Quotidiano il 3 settembre 2010: una proposta di legge costituzionale in deroga alla Costituzione (rectius: se non riguarda norme "a copertura costituzionale") non può essere presa a base di un ragionamento logico-giuridico! A questo punto, caro professore Melica, spero che non se la prenderà se le faccio notare che, in questo scenario, la cosa più triste è l'atteggiamento improduttivo di chi non si accorge né dell'inutilità di uno scontro offensivo, né della bellezza, semplicità e autorevolezza della norma giuridica, quando è interpretata senza riserve mentali o di opportunismo. Se, come ebbe a dire Paladin nel 1986, "il vero parametro della giustizia costituzionale è consistito e consiste, dunque, in una Costituzione continuamente attualizzata- (...)e la stessa Corte (Costituzionale) non ha esitato, in vari casi, a cambiare giurisprudenza, sforzandosi di renderla sempre adeguata al mutare dei tempi, agli sviluppi dell'ordinamento, al progredire della cultura giuridica, alle esigenze diffuse nella società civile", perché nessun sussulto di cambiamento ha sfiorato, dal 2001 ad oggi, l'articolo 132, nella parte in cui disciplina la creazione di nuove Regioni? Forse perché, caro professore, era nelle intenzioni del legislatore costituzionale che fosse proprio quello il procedimento da rispettare. Altro che deroghe! Deroghi lei, piuttosto, alle sue convinzioni e si affidi, invece, al "principio di ragionevolezza", così caro agli autorevoli giudici della Suprema Corte e sempre meno diffuso tra i semplici operatori del diritto e tra chi si ostina a proporre ai salentini l'irragionevole miraggio della Regione Salento. Lorenzo RIA
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Interviene l'editore Cazzato: «Non abbiamo bisogno di una Regione Salento» Un altro no alla Regione Salento. Questa volta arriva da un editore locale, Fabio Cazzato, presidente del gruppo editoriale Canale 8. «La Puglia ha bisogno di una progettualità economica e di sviluppo che faccia leva sia sulla propria autonomia decisionale sia sulle risorse disponibili - dice Cazzato - Ma prima di tutto ha bisogno di pensare alla Puglia che vuole ed alla Puglia che verrà. Senza una "visione" del futuro si rimarrà legati a vecchi concetti e si passerà l’estate a progettare realtà sempre più piccole ed incomprensibili mentre il mondo viaggia verso economie sempre più grandi e complesse». «Oggi la proposta di una Regione Salento - dice - riprende forma come risposta ad un eccessivo Bari-centrismo, che calamita risorse ed investimenti fermandoli nel nord della regione. In sostanza questa proposta nasce dalla presunta inefficacia dei politici locali eletti nelle istituzioni regionali nel rappresentare e difendere gli interessi e le aspettative dei salentini nelle attuali sedi preposte. Ma sono veramente così ai margini della vita politica e dei centri di potere i nostri politici del Grande Salento?». Cazzato rileva che, guardando alla recente storia della Regione Puglia, «si sono susseguiti presidenti e vice presidenti di destra e di sinistra provenienti dalla sola provincia di Lecce, che hanno governato ininterrottamente da almeno una dozzina di anni. Solo per ricordarne alcuni: il presidente Raffaele Fitto, il vice presidente Sandro Frisullo, l’attuale vice presidente Loredana Capone. Se estendiamo l’analisi della rappresentanza salentina nel governo centrale di Roma il risultato non cambia. La sola provincia di Lecce oggi vanta un ministro della Repubblica, un sottosegretario, un presidente di commissione». L’editore invece si chiede se «la soluzione ad un presunto problema di scarsa fiducia nei nostri politici sia risolvibile creando una nuova regione con gli stessi eletti o se non sarebbe più onesto dire con chiarezza che, più che una regione nuova, questo movimento vuole ritagliarsi uno spazio politico per una nuova classe dirigente». «Se fosse così - aggiunge Cazzato - ci troveremmo di fronte ad un malcelato tentativo di far nascere un nuovo movimento politico-partitico, e certamente i salentini e la Puglia, in questo particolare momento, non hanno bisogno nè della Regione Salento nè di partiti dagli obiettivi celati o di scarsa e complicata realizzabilità». «Il Salento - conclude - è da anni ben rappresentato e la Puglia è già abbastanza piccola agli occhi del mondo e dell’economia globale per essere ulteriormente divisa. Aggiungere costi e burocrazia, inoltre, è del tutto in contrasto con ciò che i cittadini e le aziende vogliono e di cui hanno veramente bisogno. Curioso, inoltre, che le tre province povere della regione vogliano staccare le loro sorti dalla provincia barese enormemente più ricca e sviluppata e non viceversa, come accade solitamente nel resto d’Italia e del mondo, per ovvi motivi di convenienza». s. lop.
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Cooperazione non lacerazioni le ragioni del PD Come ciclicamente accade, si è tornati a parlare dell'istituzione della Regione Salento. Un "classico" che di tanto in tanto riconquista la ribalta mediatica. Nei sessant'anni trascorsi dalla prima formulazione di questo intento la storia ha subito un'accelerazione esponenziale, arrivando a consegnarci una realtà, quella odierna, completamente diversa da quella dell'epoca. La realtà che, oggi, fa da scenario alla riproposizione di questa idea è quella della crisi economica di un mondo globalizzato e quella istituzionale che il nostro Paese sta attraversando. Scenario che sta rappresentando l'humus ideale per la crescita di egoismi, rivendicazioni, isolazionismi e minacce di secessioni varie che stanno mettendo a repentaglio la coesione sociale e, proprio in occasione del suo centocinquantesimo anniversario, la stessa unità d'Italia. A questa poi vanno aggiunte altre considerazioni. Sotto il profilo socio-economico, ed in relazione con le politiche di sviluppo, vi sono alcuni elementi da tenere in debito conto nell'ambito della discussione in corso sull'opportunità della creazione della Regione Salento.
Certo, dal punto di vista emotivo non si può negare che l'idea di diventare regione eserciti su noi salentini un certo "fascino", ma bisogna poi responsabilmente fare i conti con la realtà. E la realtà non lascia alcuno spazio a questa suggestione che, oltretutto, è altamente improbabile che possa giungere al suo traguardo finale. È nostra ferma convinzione che il Salento, per un più efficace approccio ai mercati globali, necessiti di un allargamento degli orizzonti, non di un loro ulteriore restringimento, e la cooperazione, non la divisione, rappresenti la via migliore per raggiungere questo e più ambiziosi obiettivi. Lo stesso metodo che permise, all'epoca, alle province di Lecce, Brindisi e Taranto, di presentare a Bari un pacchetto unitario di infrastrutture per accedere ai fondi europei. Lo stesso metodo adottato in questi giorni dalle Università di Puglia, Molise e Basilicata, che hanno deciso di riunirsi in una federazione per dare maggior peso alle proprie istanze. Lo stesso metodo, in fine, che l'Unione Europea ha scelto di adottare, spingendo verso la creazione di macroregioni, come quella che vede protagoniste le regioni europee che si affacciano sull'area adriatico-jonica, che si riuniranno per la prima volta a Bari il prossimo 17 settembre. Il Salento sta conoscendo una drammatica emergenza economico-occupazionale: sempre più aziende delocalizzano la produzione verso paesi più convenienti e sempre più famiglie salentine restano appese ad un filo di dignità. E' a questo problema che occorre trovare urgentemente una soluzione ed è nella ricerca di tale soluzione che dovrebbero essere impegnate, a nostro parere, tutte quelle preziose energie che oggi vediamo convogliare sul dibattito tra pro e contro la Regione Salento. Salvatore CAPONE * Segretario Provinciale Pd Lecce e Giuseppe NOCERA * Coordinatore consulta provinciale Sindaci e amministratori Pd Lecce
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Pensare al Paese oltre i campanili Nel nostro Paese mai abbiamo affrontato, globalmente e nelle sedi giuste, il problema della suddivisione del territorio. Eppure è una questione fondamentale per l'organizzazione dello Stato e per i servizi ai cittadini. Le città metropolitane sono state previste nella modifica del titolo V della Costituzione senza approfondire il ruolo che resta estraneo alla consapevolezza dei cittadini. Non avendo fatto programmazioni degne di questo nome, è prevalsa inevitabilmente la logica della tradizione e dell'improvvisazione la quale ha oscurato le esigenze dello sviluppo moderno e razionale della suddivisione dello Stato. Non si discute, infatti, nelle sedi appropriate, né sulle province, se siano necessarie e se lo siano tutte; né se i comuni debbano restare più di ottomila o vanno accorpati; né, per procedere nell'esemplificazione, se le circoscrizioni giudiziarie attuali siano compatibili con le esigenze dell'amministrazione della giustizia. Nell'immobilismo determinato dal quaeta non movere, che accomuna sostanzialmente tutti i partiti, prevalgono istanze campanilistiche, ritenendo che le fughe centrifughe siano preferibili ai confronti, anche se duri e serrati. Si preferisce il "piccolo", malgrado un vecchio adagio ammonisca che l'unione dà la forza. In quest'ottica, mi sembra si collochi l'iniziativa che, da un po' di tempo, portano avanti, con forza e con notevole capacità di suggestione, i sostenitori della creazione della regione Salento. Non mi risulta esistano studi e dibattiti sulla convenienza di tale soluzione, determinata più da reazione a pretesi conflitti con Bari che da condivisibili argomentazioni per risolvere i problemi da cui è afflitto il territorio. Certo, c'è la storia che documenta la diversità tanto che per molti, la nostra, è ancora la regione Puglie anziché Puglia ma, oramai, siamo al terzo millennio e non all'epoca dei Messapi! Da cittadini responsabili, abbiamo il dovere di guardare oltre il proprio campanile e pensare al Paese. Il Salento non è l'unico territorio ove sia sorto un movimento per la creazione di una regione autonoma. C'è anche la Romagna e, possiamo fondatamente ritenere, altre zone non resteranno insensibili una volta constatato il successo delle iniziative centrifughe. Nulla, infatti, è più contagioso del campanilismo, soprattutto quando programmi, studi, ricerche non esistono ed ognuno può inventarli a suo piacimento, fornendo assicurazioni su tutto. Conviene al Paese, una simile corsa? Al riguardo va tenuto presente che, ai tempi della Costituente, il fallimento del tentativo di Giuseppe Codacci Pisanelli per l'istituzione della regione Salento, condotto con passione e generosità, ma senza adeguato appoggio - è bene ricordarlo - da parte dei costituenti brindisini e tarantini, fallì proprio per il timore di un'eccessiva frammentazione dello Stato. L'istituto regionale era già ostico a parte di politici e di opinione pubblica, per cui prevalse il timore che la polverizzazione regionale avrebbe aumentato le opposizioni, anziché ridurle e, comunque, serviva a ben poco. Infatti, Molise, Romagna, Tuscia ed altre zone pretendevano anch'esse di giocare isolatamente la carta del loro futuro. L'intervento di Aldo Moro non a titolo personale, ma della Democrazia Cristiana, bloccò la tentazione di far proliferare il già obiettivamente eccessivo numero di venti regioni, previsto dell'articolo 131 della Costituzione. Alcuni costituzionalisti erano convinti dell'utilità di tendere soltanto a tre macroregioni! Le due posizioni, quella di Codacci Pisanelli e quella di Moro, rispondevano a diverse logiche, ma non è il caso di far rivivere antiche polemiche senza, almeno, precisare i termini del confronto tra i due illustri salentini. La notizia che numerosi sindaci abbiano dichiarato la disponibilità ad associarsi alla richiesta di referendum popolare - la quale costituisce il primo passo del complesso iter per la separazione della regione Puglia - impone ai partiti, ai sindacati, alle associazioni di uscire finalmente allo scoperto. Dinanzi ad una simile proposta, destinata nel bene o nel male a conseguenze rilevanti per la nostra e per le future generazioni, chi pretende di rappresentar i cittadini, non può sottrarsi al dovere di orientarli. E' ingenuo pensare che, ignorando la proposta, questa naufragherà. La suggestione esercitata dal localismo è forte, specie in assenza di contrapposte, ugualmente forti motivazioni. L'esperienza dell'istituzione delle nuove province, avvenuta a furore di popolo, su abili insistenze di politici senza nessuna preventiva intesa neppure sulle scelte da compiere, una volta realizzato l'obiettivo, dovrebbe rendere tutti più cauti. Ad esempio, quale città sarebbe capoluogo della nuova regione? Pensiamo allo spezzatino della Calabria o della provincia Bat? E' soltanto un esempio. A questo punto, sarebbe opportuno che Giunta e Consiglio regionali riflettessero su quanto sta accadendo, perché simili iniziative avrebbero minori giustificazioni e troverebbero minori consensi se, in più di quarant'anni, la Regione avesse avuto programmi seri e credibili, se i problemi fossero stati affrontati non episodicamente, se la solidarietà tra i territori fosse stata esaltata, se i cittadini fossero stati incitati alla partecipazione. Con umiltà, occorrerebbe rileggere il passato per costruire un migliore futuro. Ritengo che il regionalismo in Italia andrebbe ripensato sulla base delle esperienze compiute, a cominciare dalla suddivisione territoriale. Regioni come la Basilicata, Marche, Molise (per istituire la quale fu necessario, nel 1963, addirittura, creare una seconda provincia, quella di Isernia) e Umbria, per citarne alcune, dovrebbero interrogarsi sulla convenienza ad unirsi a regioni contermini, se è vero che il governo dello sviluppo richiede vaste aree di intervento per essere efficace ed anche per ottenere ascolto. Non mi faccio illusioni: in giro non ci sono.... presbiti. Cerchiamo, almeno, che i... miopi non siano maggioranza. Giorgio DE GIUSEPPE
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Politica colpevole dei ritardi di questo territorio I1 dibattito sulla Regione Salento, presentato ciclicamente, sta occupando uno spazio notevole sui mass-media. Si tratta di un tema , entrato prepotentemente all'interno delle case dei salentini senza che essi ne sentissero, secondo me, il reale bisogno. Le ragioni a sostegno della creazione della ventunesima regione italiana, sono chiaramente e ripetutamente (fino all'eccesso) pubblicizzate. Ad esempio, si sostengono le diversità culturali ed economiche del Salento rispetto al resto della regione Puglia. Si ritiene, poi, che la "terra d'Otranto" sarebbe maltrattata dal "Bari-centrismo", che non ne promuove a sufficienza la peculiarità e l'abilità di produrre ricchezza (economica e culturale). Il Grande Salento non avrebbe, nell'attuale stato di cose, potere decisionale e non sarebbe "fabbro del suo destino". Infine, ci sarebbero ragioni storiche (eccolo l'ancoraggio ancestrale di carattere storico/politico) che legittimerebbero, con radici antichissime, la bontà della Regione Salento. Più volte ho sostenuto, inoltre, che non è difficile ammettere che la ricchezza della peculiarità culturale ed economica salentina vada tutelata, essendo enorme. Tutelare il grosso patrimonio (nei suoi diversi aspetti) esistente è una priorità assoluta che merita una particolare attenzione da parte della politica. Ma un conto è rivendicare l'orgoglio di essere salentini, altra cosa è credere in questa Regione Salento. Ho cercato più volte, in sede pubblica, di rimarcare le ragioni del mio no: ragioni economiche (si ha idea di quanto costi economicamente, questa operazione, alle tasche dei cittadini?), ragioni politiche (è noto il dibattito nazionale sulla sobrietà dei costi della democrazia italiana che portano all'idea dell'abolizione e/o all'accorpamento di enti costosi) ed infine ragioni sulla reale bontà degli effetti di miglioramento garantiti dall'autodeterminazione. Delle reali carenze di cui il nostro territorio soffre e che non scomparirebbero con la nascita della Regione Salento, bisognerebbe chiedere conto, da buoni cittadini ed elettori virtuosi, a chi gestisce politicamente il nostro territorio, a chi gestisce i fondi destinati alle nostre terre, a chi definisce la programmazione delle infrastrutture. Questo concetto è in sintonia con quanto sostenuto da Carlo Salvemini, nell'articolo apparso l'8 settembre su Nuovo Quotidiano di Puglia. Nello stesso articolo si sottolinea, giustamente, un altro aspetto fondamentale, ovvero che a proposito di Paolo Pagliaro, «non si può ignorare il suo essere contestualmente portavoce del comitato promotore e presidente di uno dei principali gruppi radiotelevisivi del Salento. Circostanza che introduce nel dibattito in corso un elemento di impar-condicio per l'oggettivo traino massmediale di cui ci si avvale per sostenere la propria legittima battaglia». Ed è molto attraente l'idea di costituire una sorta di comitato a difesa della Puglia Unita, ovvero una associazione libera fra tutti coloro che si dicono contrari a questo irragionevole miraggio (così ben definito dall'-on. Ria) della Regione Salento. Ne vorrò far parte. Il dibattito recente, inoltre, si è trasferito, in maniera provocatoria, sul piano di una contrapposizione tra chi sarebbe favorevole al Referendum (previsto dall'art. 132 della Costituzione) e chi, invece, non lo vorrebbe, togliendo la possibilità alla cittadinanza di esprimersi sulla questione Regione Salento. Le cose non stanno esattamente così e vorrei ricordare a Giovanni Rizzo, coordinatore cittadino di Lecce del Movimento Regione Salento, che non si tratta di voler far apparire i «rappresentanti della volontà popolare» succubi «delle decisioni del comitato promotore Regione Salento», bensì si tratta del giusto esercizio di una scelta possibile da parte di chi è stato regolarmente eletto consigliere comunale: se lo fossi, anche io voterei contro la mozione a proposito del referendum essendo contrario all'oggetto della consultazione. Ed è un voto che rispetta l'art. 132 della Cost. (quindi nessuna antidemocraticità e nessun tentativo d'imbavagliare la volontà popolare) che equipara il voto di un certo numero di consigli comunali alla raccolta delle firme per la presentazione dei quesiti referendari. Perché non hanno scelto di raccogliere le firme, visto che si fa spesso richiamo alla reale volontà dei cittadini? Si invitano i consigli comunali a deliberare riguardo questa questione, saltando il vero metro di misura a cui loro fanno riferimento. Così come vorrei far notare al giovane avvocato Cristian Sturdà, coordinatore del Movimento Giovanile della Regione Salento, che non c'è nulla di cui rimanere esterrefatti perché, nelle parole di Carlo Salvemini, si dice tutt'altro rispetto a quanto inteso. Non credo, e mi ritengo anche abbastanza certo, che ci sia un impegno, da parte di qualcuno, per togliere alla gente la possibilità di manifestare liberamente la propria opinione attraverso uno strumento costituzionale quale quello del referendum consultivo, si discute nel merito ovvero nel contenuto di questo strumento costituzionale: essendo contrario alla Regione Salento, sono contrario anche all'oggetto del quesito referendano. Tantomeno c'è la voglia di scimmiottare pratiche dei paesi totalitari. Concludo e ribadisco che l'essere contrario alla Regione Salento, per i motivi che ho già indicato, significa essere contrari anche all'oggetto del referendum e non allo strumento popolare e democratico che esso rappresenta. Ma non c'è peggior sordo, di chi non vuol sentire. Diego DANTES
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Idea sbagliata nel merito e nel metodo A proposito del dibattito sull'iniziativa referendaria per la creazione dell'ipotizzata regione Salento può quindi essere utile mettere a confronto tale iniziativa con l'art 132 della Costituzione e col titolo III della Legge 25/05/70 n. 352 che disciplina i referendum per la modificazione territoriale delle regioni. Va intanto rilevato quanto precisa l'art. 42 della Legge 352/70. E cioè: «la richiesta di referendum per il distacco, da una regione, di una o più province ovvero di uno o più comuni, se diretta alla creazione di una regione a sé stante deve essere corredata delle dichiarazioni, identiche nell'oggetto, rispettivamente dei consigli provinciali e dei consigli comunali delle province e dei comuni di cui si propone il distacco, nonché di tanti consigli provinciali o di tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della Regione dalla quale è proposto il distacco delle province o dei comuni predetti». Ora, il tenore letterale della citata norma induce a ritenere, per l'uso che in essa viene fatto delle congiunzioni disgiuntive «ovvero» e successivamente «o» le quali collegano i due concetti uno dei quali esclude l'altro, che i promotori di un tale referendum possono chiedere il distacco per la creazione di nuove regioni, di una o più province o di uno o più comuni, ma che non possano domandare entrambe le cose; e neppure far deliberare i consigli comunali sul distacco delle province o i consigli provinciali sul distacco dei comuni. È vero che l'art. 132 della Costituzione parla a questo proposito solo di richieste da parte dei «consigli comunali», ma è altrettanto vero che la menzionata legge del '70 ha ragionevolmente dato di tale espressione una interpretazione estensiva fino a comprendere i consigli provinciali e ha poi nettamente distinto e disciplinato la richiesta referendaria dei consigli comunali da quella dei consigli provinciali. Su una strada diversa si è invece mosso il comitato promotore della consultazione che ha invitato i consigli comunali interessati a dare il loro assenso al seguente quesito: «volete che il territorio delle province di Brindisi, Lecce e Taranto e quindi anche il territorio del comune di cui siete rappresentanti sia separato dalla regione Puglia per formare una regione a sé stante denominata regione Salento?». Il comitato propone quindi un referendum per il distacco delle province di Lecce, Brindisi e Taranto dal resto della Puglia ma chiede le relative delibere non, come avrebbe dovuto, ai consigli provinciali interessati ma a tutti i consigli comunali delle tre pro- vince in chiaro contrasto con l'art. 43 della legge 352/70, senza dubbio vigente e quindi per tutti vincolante. Una legge che peraltro, quando disciplina distintamente la richiesta delle province e quella dei comuni, stabilisce che le deliberazioni devono provenire, nel primo caso, da tutti i consigli provinciali e, nel secondo, da tutti i consigli, comunali interessati. È allora molto probabile che la richiesta referendaria in questione, per come formulata, venga dichiarata inammissibile dal competente Ufficio della Corte di Cassazione anche a prescindere dal verificarsi o meno della non facile condizione che i consigli comunali richiedenti rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della regione. Va rilevato inoltre che gli articoli 44 e 45 della suddetta legge prescrivono che il referendum sia indetto in tutto il territorio della Regione dalla quale «le province o i comuni» (torna anche qui la congiunzione disgiuntiva) intendono distaccarsi per formare una nuova regione e che la proposta sottoposta a referendum si considera approvata se «il numero dei voti attribuiti al quesito referendario non sia inferiore alla maggioranza degli elettori iscritti nelle liste elettorali dei comuni nei quali è stato indetto il referendum». Ora, non è possibile immaginare che la maggioranza degli elettori dell'intera Puglia si esprima per il "sì" al quesito referendario. E non basta, perché l'eventuale esito positivo del referendum (improbabile ai confini dell'impossibile) avrebbe un valore solo consultivo sicché toccherebbe poi al Parlamento, con la complessa procedura prevista dall'art. 138 dello Statuto, decidere con legge costituzionale la creazione della nuova regione alla luce di approfondite valutazioni che tengano conto non solo delle ragioni delle popolazioni coinvolte nell' iniziativa ma anche dell'interesse generale del Paese. C'è allora da chiedersi come mai si stiano impiegando energie e mezzi a sostegno di una iniziativa praticamente destinata, come giustamente ha rilevato l'onorevole Ria, all'insuccesso. Quanto al merito, la pretesa di costituire una regione salentina appare poi priva di apprezzabili giustificazioni a fronte di una Costituzione che afferma l'indivisibilità della Repubblica contro i pericoli non solo di secessioni ma anche di innaturali frammentazioni. E va rilevato al riguardo che l'Assemblea costituente, nel determinare le regioni della Repubblica, adottò il criterio storico-geografico e si indusse perciò a confermare la situazione preesistente ritenendo altri criteri o estranei alla logica costituzionale (come quello etnico) o labili e privi di rilevanza. Le antiche origini dei pugliesi sembrano infatti, alla luce degli studi più accreditati, sostanzialmente comuni dal momento che iapigi e messapi furono in sostanza un unico popolo tanto che i due nomi venivano indifferentemente usati per indicare la regione che si estende dal Gargano all' estremo Salento che i Romani chiamarono Apulia riconoscendo alle popolazioni su di essa stanziate una omogeneità di cultura e di tradizioni rimasta nel tempo inalterata. Né vi sono ragioni geografiche che possono giustificare una regione salentina dal momento che la Puglia è tutta una terra di frontiera, il lembo estremo dell'Europa centro-occidentale che si apre ai Balcani, alla Grecia, al vicino Oriente ed al mondo arabo. Quanto infine alle pretese ragioni economiche, non si comprende in qual modo l'ipotizzato distacco potrebbe avvantaggiare un Salento che, chiuso al nord da una vasta e consolidata regione pugliese, rischierebbe di rimanere ancora più lontano dai processi di ammodernamento e di sviluppo. Sorprende invero che non ci si renda conto del danno che l'iniziativa referendaria rischia di arrecare all'immagine di una terra come il Salento che ha sempre avuto una spiccata vocazione all'apertura, all'incontro e all'integrazione. Forse c'è bisogno, è vero, di lavorare per il superamento di una certa subalternità del Salento rispetto alla Puglia "barese", ma ciò che occorre è un cammino che va intrapreso sul terreno fermo e fecondo dell'impegno civile e non su quello accidentato e illusorio di "riformette" localistiche che frantumano e indeboliscono invece di rafforzare e di unire. Lo spirito che anima i promotori del referendum merita considerazione e rispetto ma è sbagliato lo strumento operativo scelto.
Michele DI SCHIENA
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
«Una scorciatoia per fare politica» «La gente ha ben altre priorità» «Regione Salento? Le priorità sono ben altre». Tra chi, nel confronto, dice «no» c'è Alvaro Andrea Zippo, presidente della Commissione regionale Udc della Commissione sociopolitica e della Dottrina sociale della Chiesa. «Costituire la Regione Salento significa creare un altro ente con l'aumento di consiglieri, assessori e tutto il resto degli aumenti dei costi della casta» dice. «Credo che questa idea provenga da qualcuno che vuole, in questo modo, tentare di entrare in politica» sostiene. «Sono ben altri i problemi e le priorità ai quali i salentini chiedono risposte adeguate» conclude facendo riferimento al lavoro, all'economia ed alle infrastrutture del territorio. «Un posto al sole e tanta demagogia» è quanto sostiene Ruggero Vantaggiato, presidente della lega del cittadino e dell'Ambiente. «Le iniziative assunte e propagandate a sostegno della Regione Salento sono di una futilità sconcertante. Meraviglia non poco che docenti "indigeni" di Diritto costituzionale non dicano che non esiste l'ipotesi di nuove autonomie regionali a statuto speciale nè tanto meno è percorribile la strada della regione a statuto ordinario». Una posizione non assolutamente contraria, ma sicuramente critica è quella di Antonio Verardi, segretario generale Ugl. «Prima di condividere o meno un percorso così estremamente importante - sostiene - bisogna individuare cardini di miglioramento prima che, per l'ennesima volta, ci si trovi a vedere il popolo combattere con le proprie armi la battaglia di qualcun altro». Comunque, «parlare di Salento Regione fa bene e si farebbe altrettanto bene a continuare a farlo perchè tutto questo fa comunque emergere le discrasie di un sistema, è stimolo per la classe politica a comprendere che il territorio è fortemente insoddisfatto».
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
I confini vanno legati alle funzioni Federalismo fiscale, abolizione delle province, Regione Salento; su questi tre temi di bruciante attualità si è sviluppata ed intrecciata un'articolata e profonda riflessione nelle ultime settimane su Quotidiano che ha visto protagonisti, autorevoli esponenti istituzionali, intellettuali, giornalisti, commentatori politici. Tre temi che sembrano separati, ma che invece interagiscono strettamente tra loro. Tanto che, ad esempio, la soluzione di uno di essi, l'abolizione delle province, darebbe, forse, una prospettiva risolutiva alle questioni che sono state poste nel ricco dibattito. Partiamo proprio da questo punto: l'onorevole Lorenzo Ria in uno dei suoi interventi ha rilevato, "che l'attuazione del federalismo fiscale impone l'ineludibile necessità di sostenere il nuovo assetto economico con un nuovo assetto istituzionale". Come non convenire su questo? Come non rilevare l'inadeguatezza dell'ente Provincia e la dannosa mancanza di un ente intermedio funzionante? La Provincia, e questo è ormai ampiamente riconosciuto, è una realtà sopravvissuta e superata dalla istituzione della Regione e dal decentramento di funzioni delegate ai comuni. L'ente intermedio, però, tra la Regione con un territorio molto vasto e quello del comune molto piccolo, non è mai esistito e non esiste ancora. Tant'è, che in questo ultimo decennio sono stati disegnati e avviati percorsi istituzionali che hanno riguardato la quasi totalità dei comuni. Abbiamo iniziato con i Gal, i consorzi e le Unioni dei comuni, per proseguire con i Pit, Pis, Aree Aree Vaste, solo per citare alcune sigle. Perché queste strutture? Perché appunto, la Provincia, può fare piani, orientamento, l'una può essere più vivace dell'altra, ma ha un difetto strutturale nelle competenze. Così com'è, non è in grado di soddisfare la forte domanda d'organizzazione che proviene dal territorio. Non ha le competenze istituzionali per gestire i problemi reali, per governare i processi che riguardano la realizzazione e organizzazione del territorio, considerato, che i suoi poteri sono riconducibili, più o meno alla gestione dei lavori pubblici, alla formazione professionale e in parte ad una politica di coordinamento, sempre che gli altri livelli istituzionali dimostrino sensibilità a farsi coordinare. La Provincia non ha poteri di gestione di quei servizi necessari per determinare interconnessioni economiche e produttive, per elaborare e articolare sul piano della programmazione un "micro-piano" da collegare alla programmazione generale di un "macro-piano"regionale. Manca della capacità di essere un soggetto in grado di catalizzare risorse per destinarle nell'ambito di una programmazione d'ottime dimensioni ai vari settori prouttivi per un uso razionale delle stesse e uno sviluppo equilibrato del territorio. Insomma, la provincia, com'è oggi non può funzionare, va ridisegnata, deve essere interessata al nuovo assetto istituzionale di cui si accennava prima. D'altra parte, su questa problematica esiste già un'interessante cultura di riferimento: il "Progetto 80", maturato alla fine degli anni '60 e perdutosi per strada negli anni '70. Esso prevedeva una struttura per comprensori, che nel caso del Salento, avrebbe fatto riferimento all'unità Lecce-Brindisi-Taranto, individuata come vera "unità di piano-programma" con le opportune azioni sinergiche tra le varie vocazioni produttive e territoriali presenti. La funzione di riequilibrio sarebbe stata un grande Salento, all'interno del quale sarebbero stati individuati 5-6 comprensori che a loro volta avrebbero avuto una funzione per la "gestione-programma". Ora, rivendicando la Regione Salento, come peraltro, più volte, in passato è stata rivendicata la seconda provincia del Basso Salento, si vogliono ridefinire nuovi confini territoriali. E' evidente che i confini hanno un senso, in rapporto alle funzioni che un soggetto deve esercitare, ai fattori da combinare e governare nel presente e non guardando al passato. Tornando al "Progetto 80", devo dire, che quella cultura di riferimento di quegli anni, oggi mi sembra molto più attuale alla luce del nuovo federalismo fiscale e, soprattutto, perché quasi tutti i partiti hanno nel loro programma l'abolizione delle province. Credo che valga la pena, quindi, approfondire l'ipotesi di quel progetto allo scopo di conseguire l'obiettivo di una concreta riforma istituzionale nel territorio e per il territorio. Io credo che allora, ma oggi ancora di più, ci sia una logica in quel progetto di "piano-programma": per quanto riguarda la Puglia, erano individuate tre grandi aree, ciascuna divisa in comprensori con funzioni 'di gestione. All'interno, si muovevano i comuni in una logica di raccordo amministrativo e d'interconnessione della gestione. Si era capito, in sostanza, già allora, che tali strutture amministrative erano arcaiche e non più corrispondenti alla nuova situazione sociale ed economica. Il quadro dei vari settori produttivi era modificato profondamente. Oggi, il contesto è cambiato ulteriormente, e per certi versi, purtroppo, in negativo. E' da domandarsi, per esempio, per quanto riguarda la provincia di Lecce, se i fenomeni produttivi interessati al localismo, in forte espansione negli anni passati, avessero fatto, la stessa fine, in presenza di una maggiore efficienza e una maggiore efficacia di risposta delle strutture amministrative ai bisogni e alle esigenze di questo universo produttivo ed imprenditoriale. Da tutto ciò emerge una chiara domanda di razionalizzazione e d'assecondamento da parte delle istituzioni pubbliche, di capacità e d'adesione ai bisogni reali della nostra società. Per dare risposte a tutto questo, non ci vogliono duplicati e vecchie strutture. C'è invece necessità di una nuova struttura intermedia tra regione e comuni e, soprattutto, di una classe politica all'altezza delle attuali e nuove sfide. Giuseppe D'Agostino
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Comitato Pro Puglia Unita: un'idea da condividere Mi permetto di ritornare sulla proposta di referendum per l'istituzione della Regione Salento dopo aver letto l'intervento di Carlo Salvemini, che, tra le tante motivazioni del suo no alla nuova Regione, ha lanciato anche la proposta di costituzione del Comitato "Pro-Puglia unita". Dichiaro subito la mia disponibilità a dare il mio modesto apporto al costituendo Comitato nelle forme che si riterrà; allo stato delle cose, pare anche a me sia un passo obbligato. Soprattutto per tentare di ristabilire un equilibrio nell'informazione che sta svolgendo, in particolar modo, l'emittente del presidente dei Comitato promotore del si al referendum. La mia sarà, comunque, un'adesione al Comitato proposto da semplice cittadino, in quanto, da circa quindici anni non ricopro più alcun incarico politico; neanche in quel partito al quale mi sono iscritto due anni fa. E l'ho fatto non senza pochi dubbi, pur avendo vissuto tutte le vicende dell'ex Pci-Pds-Ds. Vicende delle quali non rinnego nulla, né tanto meno mi vergogno di quello straordinario patrimonio culturale, civile e politico, che porto con me; patrimonio che comprende anche tantissimi errori. Come ha ben motivato Salvemini — la costituzione del Comitato è l'unico modo per evitare che la discussione nei consigli comunali si riduca solo al pronunciamento su di un si o su di un no alla nuova Regione. Cosa questa che va evitata facendo della battaglia in corso un'occasione per un grande confronto civile e democratico sulle questioni di merito, sulle questioni vere che sono alla base della proposta della nuova Regione. E' necessario, in primo luogo, mitigare le suggestioni che la valorizzazione di una più marcata affermazione dell'identità culturale e storica di un territorio (e del suo popolo), possa aver ragione su altri aspetti non secondari. Mi riferisco alle condizioni economiche, alle caratteristiche strutturali dell'apparato produttivo, allo stato delle infrastrutture materiali e immateriali, alla qualità del servizio sanitario, tutte voci queste che richiedono di conoscere in anticipo gli effetti che i costi di questi servizi e di queste infrastrutture avrebbero sulla nuova entità amministrativa. Tenendo conto che si stanno scrivendo i decreti sul federalismo con la determinazione dei costi standard dei servizi. Un fattore questo che sarà alla base dei nuovi trasferimenti di risorse. A differenza del Prof. Pirro, non sono certo che la nuova regione sarebbe autosufficiente. E questo aspetto non è cosa marginale. Si discuta quindi seriamente entrando davvero nel merito delle questioni, avendo la consapevolezza che il mondo sta andando in tutt'altra direzione: irrompono sulla scena Paesi con forti economie, quali ad esempio, la Cina, l'India, il Brasile e così via dicendo. Rispetto ai quali perfino un Paese come la Germania, locomotiva dell'economia europea, appare una piccolissima realtà. Figurarsi l'Italia, la cosiddetta Padania, figurarsi la nuova regione Salento. E' passato tanto tempo da quando si diceva, in economia, che "piccolo è bello". Oggi siamo di fronte ad un mondo e ad un'economia globalizzati, per cui è sufficiente premere un tasto per mettere in ginocchio grandi Paesi, spostando ingenti capitali da una parte all'altra del globo. Concludo richiamando l'attenzione su un altro dato: se vogliamo essere la terra privilegiata per i rapporti con i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente, rapporti intesi anche come nuove opportunità economiche, possiamo immaginare che il Salento possa, nella costruzione della base logistica, essere più forte dell'intera Puglia? Mi si convinca del contrario. Colgo l'occasione per sollevare, con estremo garbo, un "piccolo" problema: ho letto che il presidente della Camera di commercio e presidente della Confcommercio, è stato designato quale coordinatore del Comitato di Lecce pro-referendum. Chiedo ad Alfredo Prete se ritiene questa sua legittima scelta sul piano strettamente personale, compatibile con le funzioni che svolge. Specie quella di presidente della Camera di commercio; una struttura che vede al suo interno persone di diverso orientamento, che vede iscritte al Registro delle imprese circa 40 mila aziende. E' proprio sicuro che tutti quei quarantamila titolari di imprese siano a favore della nuova Regione? Ho solo voluto sottoporre all'attenzione del presidente dell'ente camerale un problema di opportunità e di rispetto verso tutta la platea dei soggetti che hanno a che fare con la camera di commercio; un rispetto - a mio giudizio - a cui non si dovrebbe mai venire meno. Gigi PEDONE
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Il "popolo" non c'entra in questa storia Si vanno moltiplicando, in questi giorni gli interventi pro o contro l'istituzione di una Regione Salento. Recentissimo su Quotidiano, lunedì scorso, quello del professor Schiavone, volto a confutare le tesi un po' eretiche di Carlo Salvemini. Schiavone sostiene l'importanza di aderire al movimento "per i1 bene della nostra terra, per rilevanti ragioni storiche, socio-economiche e funzionali". Sono richiamati, ovviamente, i tanti tentativi falliti dal 1946 in poi, mentre si paventa il rischio che i cittadini vengano espropriati della loro sovranità da parte di una sinistra che si confonde con i gruppi di potere che osteggiano il rinnovamento del Salento (in risposta a Salvemini) e, in particolare, da parte della casta politica "minacciata di perdere il controllo della situazione". Si invoca la secessione dalla Puglia barese acchiappatutto che "lassa all'urmu" (asserve e affama) il più arrendevole Salento lasciandogli solo qualche briciola. E siccome "la pazienza civile è giunta al colmo", occorre una autonoma Regione salentina, fai-da-te, allo scopo di poter risolvere da sé gli atavici cronici problemi di questa sempre amabile e bistrattata Iapigia. È urgente procedere per il preventivo referendum popolare che ne sancisca l'autonomia e la separi dalla levantina prepotente Peucezia. Un'azione democratica cui i partiti politici dovrebbero in primis cooperare. La ciliegina conclusiva (che ha il sapore di una favoletta per neonati) è la seguente: "Dopo, i promotori della Regione Salento (Brindisi+Lecce+Taranto) si ritireranno, poiché essi non costituiscono un partito, ma costituiscono un progetto, offerto con civica educazione, allo sviluppo e al bene del nostro territorio». Questa, caro professor Schiavone, se la poteva risparmiare. Davvero crede che chi ha promosso il movimento esponendosi in prima persona con altri galantuomini lo ha fatto semplicemente per un "progetto" anti-barese e anti-pugliese avente lo scopo di difendere, unguibus et rostris, l'eterno vilipeso Salento Uno e Trino? Così, gratis et amore Dei? Suvvia. Una nuova regione comporta, ove il progetto si realizzasse, il potere e i costi insostenibili oggi di ben altre 70 poltrone, apparati amministrativi, funzionari, impiegati, uscieri, auto blu, portaborse e via dicendo. Li si lascerebbe ad altri per generoso altruismo? Non lo vedo per niente credibile. Assai diversi e concreti sono i problemi sollevati da Gigi Pedone in prospettiva di globalizzazione europea e mondiale. E meritano rispetto. Si ha l'impressione che il suddetto "progetto" covi un certo revancismo da parte di una parte politica risentita che, non riuscendo a dettare le regole e a riprendersi il controllo di tutta la Puglia, a causa di un "ragazzaccio terlizzese" che spopola ovunque in tutta Italia, tenta di accreditarsi almeno come domina del Salento Uno e Trino, costituendolo in un ennesimo organismo regionale. Ma tutti possono capire che la situazione economica odierna cozza con questo "progetto" e lo dichiara inopportuno. E poi va detta un'altra cosa. Fuoriclasse della Prima Repubblica, e giganti di onestà e cultura, come Giuseppe Grassi, Giuseppe Codacci Pisanelli, Vito Mario Stampacchia, da un lato, avevano battagliato in sede costituente per lo stesso progetto, senza purtroppo condurlo in porto, mentre dall'altro personalità di straordinaria statura culturale e giuridica, come Nicola Flascassovitti ed Ennio Bonea, se ne erano fatti carico successivamente con dure e puntuali battaglie giornalistiche, regolarmente perdendole. Ovviamente, non avevano le televisioni, ma idee e spessore culturale certo che ce l'avevano. Oggi, invero, anche il popolo che è "sovrano di niente" si fa trascinare in sfide come nel calcio, spesso facendosi male da solo. Soprattutto quando lo si è illuso lungamente, portandolo all'esasperazione. Vittorio ZACCHINO
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Il nuovo patto a tre è più credibile I nostri quotidiani ci hanno portato in casa, nei giorni scorsi, una notizia che ci fa bene: il rilancio su temi e obiettivi concreti del Grande Salento attraverso un rinnovato patto d'azione tra i tre presidenti delle tre Province. Forse è la prima volta perché a quanto è dato sapere, i triumvirati sono stati piuttosto improvvidi, dal più antico formato nella Roma cesarea (Antonio, Cesare, Grasso) a quello odierno pidiellino (Bondi, La Russa, Verdini). Invece quello spontaneamente costituitosi qui nel Grande Salento (Ferrarese, Gabellone, Florido) dai presidenti delle Province di Brindisi, Lecce e Taranto, la Terra d'Otranto disfatta dal fascismo tra il 1923 e il 1927, ci trasmette fiducia e speranza. I temi su cui si sono concertati, con schietto realismo e onestà politica, sono quelli che interessano a tutti noi salentini, da sempre negletti dal 1860 ad oggi, nonostante la passione di decine e decine di meridionalisti ed autonomisti, Liborio Romano, Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini, giusto per fare qualche nome. E sono i collegamenti, i trasporti, il lavoro giovanile e femminile, la modernizzazione del territorio, l'ambiente, l'etica della società civile e della classe dirigente, soprattutto la cultura di governo e la preparazione di quest'ultima. È un triumvirato sinergico e determinato che da oggi non le manda a dire più, ma già si presenta alla tenzone democratica con Bari col cappello in testa, non già per piangere e piatire per qualche spicciolo, ma per una serie di concretezze (pari a 250 milioni di euro) che svecchieranno il territorio del caro Salento Uno e Trino, adeguandolo alle esigenze della modernità, e rendendolo agguerrito e competitivo, come già avviene, in queste ultime stagioni.
Il fatto ci dice un'altra cosa molto
importante: quando vi è compattezza e unità di intenti tra
amministratori che credono nel territorio, al di là del colore e della
parrocchia di appartenenza, cadono i pruriti regionalisti e le
ossessioni separatiste tesi apparentemente a contare di più, mediante
una vagheggiata Regione Salento. Conta il linguaggio delle opere e i
numeri che lo sorreggono, di per sé una forza negoziale poderosa, perché
non fanno sospettare carrozzoni spreca soldi, né rivendicazionismi di
tipo leghista, siccome non nascono contro qualcuno o a sostegno di
qualche altro, non costruiscono telecratiche sovranità popolari. Ma si
ergono a difesa della nostra gente da sempre ingannata e calpestata. E
dunque: meglio fare quadrato e fare sistema intorno ai tre presidenti,
meglio insistere e mobilitarsi per il Salento Uno e Trino, meglio
inseguire obiettivi concreti e raggiungibili, piuttosto che vagheggiare
una improbabile Regione Salento. Vittorio ZACCHINO
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Il Consiglio Comunale di Melissano dice «NO» al referendum MELISSANO - I cittadini di Melissano non saranno chiamati ad esprimere il loro parere sull'istituzione della Regione Salento. Lo ha deciso il consiglio comunale che, con il voto della maggioranza che fa capo al sindaco Roberto Falconieri (favorevoli alla proposta invece i rappresentanti d'opposizione del Pd, della civica di centrodestra «Melissano Cambia» e dell'Italia dei Valori) ha praticamente detto «no» al referendum comunale sulla separazione dalla Regione Puglia dei territori delle province di Brindisi, Lecce e Taranto. La delibera, ovviamente, ha consegnato al dibattito politico strascichi di polemiche. «Per il sindaco Falconieri e per la sua maggioranza - attacca Roberto Tundo, capogruppo di Melissano Cambia - i 7.500 cittadini di Melissano non devono occuparsi della Regione Salento perché per tutti loro decide il sindaco E' questa la democrazia che regna in paese». Non si è fatta attendere la replica del sindaco Roberto Falconieri «Il voto contrario della maggioranza al referendum — ha ribadito il primo cittadino - è formulato in base a forti perplessità basate sul fatto che la proposta per la Regione Salento è priva di una vera e concreta progettualità politica e programmatica. La separazione — conclude Falconieri - ci renderebbe deboli, occorre invece lavorare perché la Puglia sia più unita e più forte".
da. gr.
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Il baricentrismo è solo un alibi dei nostri limiti Regione Salento sì, Regione Salento no. Cresce il dibattito intorno alla possibilità di "spaccare" politicamente in due la Puglia dando seguito a quella unità d'intenti dimostrata negli ultimi anni da Brindisi, Lecce e Taranto. Non è facile cogliere quali sono i benefici, e quali no, di una eventuale scelta in tal senso. É evidente, però, il motivo del nascere di tali esigenze secessioniste: la gestione baricentrica della Regione Puglia. Una situazione che perdura negli anni e che penalizza di fatto i nostri territori. Molto ci sarebbe da dire sulle cause di questa situazione conseguenza, soprattutto, dell'incapacità della classe dirigente ionico-salentina e degli imprenditori che, negli ultimi decenni, hanno fatto il bello ed il cattivo tempo dell'economia di Taranto, Brindisi e Lecce. È da qui, a mio parere, che è necessario partire per riuscire a leggere con la giusta lucidità la realtà attuale e propendere a favore o meno di chi oggi rivendica addirittura un referendum popolare per istituire la nuova Regione. I maggiori finanziamenti su Bari, rispetto alle province ionico-salentine, sono solo il frutto di un'abile azione politica o anche il risultato di una vivacità imprenditoriale diversa? I progetti, infatti, possono essere approvati quando c'è qualcuno che li propone e non certo il contrario. Prendiamo il caso del porto di Taranto. Da anni il Consorzio Distripark nega per statuto l'ingresso ai privati, l'esatto contrario di quanto accade a Bari. Perché, dunque, oggi ci si lamenta del finanziamento all'interporto barese a discapito di quello tarantino? Se noi avessimo aperto all'iniziativa dei grossi imprenditori portuali italiani, probabilmente, anche noi avremmo saputo proporre una idea credibile da sottoporre all'attenzione, ed ai finanziamenti, dell'Unione Europea. Certo sia chiaro, questo non discolpa la Regione Puglia che qui sì, può pianificare lo sviluppo dei porti affinché non si creino doppioni e, soprattutto, si seguano le esigenze del mercato internazionale. Ma non è forse e soprattutto colpa nostra se quelli stessi imprenditori che stanno investendo a Bari non sono venuti a Taranto? Problemi come questi non si risolvono creando una nuova Regione, bensì lavorando sul territorio per una nuova cultura economica e politica. Non bisogna dimenticare, infatti, che una nuova Regione significa anche un nuovo centro di spesa con costi che alla fine paghiamo tutti. Non sarebbe più proficuo, invece, premere sui nostri consiglieri regionali affinché Taranto ottenga ciò che merita nel contesto attuale? Non sarebbe più logico tornare alla politica e lavorare affinché il pubblico apra al privato senza porre veti o condizioni inaccettabili? Ben venga, in ogni caso, un eventuale referendum popolare. È giusto che siano i cittadini ad esprimersi su una decisione che li coinvolge e della quale devono essere protagonisti.
C'è un altro quesito, però, al quale i
tarantini dovranno dare risposta per fare una scelta davvero
consapevole: sono davvero complementari le esigenze di sviluppo delle
province di Brindisi, Lecce e Taranto? Prendiamo un esempio importante:
l'aeroporto di Grottaglie. Il vero "competitor" che non permette
l'approdo dei voli di linea nella città delle ceramiche è proprio la
pista di Brindisi. È proprio per garantire un flusso passeggeri adeguato
a quest'ultima che Aeroporti di Puglia non concede lo sviluppo in tal
senso dell'impianto grottagliese e, di conseguenza, dell'economia
ionica. Un aeroporto quello di Brindisi che, d'altronde, esprime già nel
nome il proprio ruolo strategico nel tacco d'Italia: "Aeroporto del
Grande Salento". Ebbene, la nascita di una nuova Regione, non andrebbe
ulteriormente ad affossare le speranze di chi traguarda l'apertura al
pubblico della pista di Grottaglie? Intorno a questi temi, soprattutto,
bisognerà valutare l'opportunità migliore per Taranto. Nel frattempo,
però, l'ideale sarebbe che chi è stato eletto in Regione con i voti dei
tarantini batta i pugni sul tavolo e riporti Taranto al centro
dell'agenda politica. Giovanni PALUMBO *Commissario Idv Taranto
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
Si rispetti chi esprime dissenso Cari professori Melica e Portaluri, seguo come tanti con interesse i vostri interventi sui mezzi di informazione a proposito della Regione Salento. E apprezzo questa vostra passione ai temi sociali e politici capace di uscire fuori dall'accademia. In passato ho personalmente motivato le mie ragioni di perplessità sulla proposta di separare le province di Lecce, Brindisi e Taranto dalla Puglia. Non è mia intenzione ripetermi e annoiare chi mi legge. Avverto, infatti, il dovere di intervenire nuovamente solo per sottoporre alla vostra attenzione un risvolto che considero delicato per la qualità e la serenità del confronto. Intervenendo sulla pagine del Nuovo Quotidiano in chiusura del mio intervento paventai un rischio: quello di voler assegnare alle assemblee elettive una funzione meramente notarile della volontà del comitato promotore Regione Salento, che sarebbe non quella di esprimersi sul quesito della mozione (volete voi che le province di Lecce, Brindisi e Taranto siano separate dalla Puglia), ma di approvarla a prescindere da ogni opinione in proposito per consentire comunque lo svolgimento del referendum e affidare l'ultima parola alla consultazione popolare. E accaduto proprio questo e non sono convinto che sia trattato di una impostazione corretta. Ora che si è quasi giunti, con vostra comprensibile soddisfazione, a raggiungere il quorum previsto per dare avvio alla procedura auspicata sento forte il bisogno di chiedervi: secondo voi, i consiglieri eletti nelle assemblee comunali hanno o no il diritto pieno di esprimersi contra la proposta di separazione dalla Puglia? Può apparire un quesito ozioso, ormai. Giunti vicinissimi al traguardo potreste giudicarlo privo di senso. In tal caso siate comprensivi di tanta ingenuità, ma a me pare una tema che chiama in causa il rispetto delle istituzioni, l'autonomia delle rappresentanze elettive nello svolgimento del mandato, la tutela del dissenso motivato. Vi rivolgo questa domanda perché quanto è accaduto nelle poche occasioni in cui i consigli comunali hanno bocciato la mozione a me è parso stupefacente. Vi riporto alcune dichiarazioni che il Comitato di cui voi siete illustri componenti ha rilasciato per commentare l'esito sfavorevole della votazione: «È inconcepibile impedire ai cittadini di esprimersi liberamente e direttamente sull'argomento (...) la pretesa di sostituirsi alla volontà popolare rappresenta un tratto stridente, una pagina buia nell'interpretazione della propria funzione nell'interesse collettivo popolare e democratica (...). Non è accettabile che una assise eserciti il diritto di trasformarsi in una sorta di boia della democrazia partecipata». Trovo queste affermazioni inaccettabili. Ho rispetto della posizione del Comitato per la Regione Salento, pur non condividendola, e considero grave che altrettanto rispetto non si manifesti nei confronti di chi, chiamato ad esprimersi su una mozione così delicata, non intende sottrarsi al ruolo di rappresentante dei cittadini nelle istituzioni, non è disposto a rinunciare alla sua capacità di giudizio, senso critico, autonomia politica e culturale. Trovo queste affermazioni sorprendentemente aggressive perché trasformano una legittima iniziativa in una incomprensibile crociata politico-mediatica: o si è con noi o si e contro di noi! Come se la posta in gioco fosse tanto decisiva per la sorte di tutti noi da giustificare toni e argomenti estremi. Non sono un giurista. Ma da semplice cittadino impegnato ho il timore, tra l'altro, che questa impostazione abbia finito per distorcere il dettato costituzionale dell'art. 132 che chiede ai Consigli comunali di esprimersi sulla proposta di istituzione di una nuova regione e non, come si è voluto fare credere, sulla proposta di consultazione popolare. Quasi una manomissione delle parole della costituzione, direbbe Carofiglio. Per averne conferma basta leggere la lettera inviata ai sindaci dal Comitato referendario con la quale si chiede di mettere all'ordine del giorno "la mozione volta ad indire il Referendum" e non come sarebbe stato corretto fare "la mozione volta alla creazione della Regione Salento". Un'ambiguità casuale o voluta? Non bisogna essere autorevoli studiosi del diritto come voi .per rendersi conto dell'enormità di equiparare il voto motivato su una proposta di separazione dalla Regione di appartenenza ad un pronunciamento sulla possibilità di autorizzare un referendum. Che ne penserebbe il più volte citato Livio Paladini di un'interpretazione così originale dell'art. 132? Ecco mi rivolgo a voi perché possiate svuotare di argomenti infondati il confronto e sterilizzare eccessi polemici fuori luogo. Del resto se, come mi pare di capire, si è tagliato il traguardo previsto per chiedere il Referendum alla Cassazione, con una campagna referendaria alla porte questi toni ultimativi non servono a nessuno. Siete consumatori quotidiani di informazione. Siete componenti di un comitato referendario coordinato dal presidente del principale network radiotelesivo del Salento. Siete consapevoli della campagna di propaganda che da mesi viene proposta sugli schermi del gruppo in regime di evidente impar condicio delle posizioni in campo. Io penso, forse sbagliando, che il vostro ruolo in questa vicenda debba andare oltre i qualificati pareri giuridici e costituzionali e spendersi anche nel dare un profilo più rispettoso e tollerante delle posizioni che s'intendono affermare.
Ne va del rispetto della qualità
complessiva dei confronto democratico che di questi tempi è un valore da
preservare senza indugio. Per costruire l'identità di una nuova Regione
non bastano i richiami identitari: ci vogliono anche saldi
principi repubblicani di tolleranza, rispetto, equilibrio. Carlo SALVEMINI
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "NO"
«L'identità non c'è solo spese ulteriori» Gigi Spedicato, docente di Sociologia della comunicazione: il quorum non sposta il suo parere, negativo, sulla Regione Salento. Perché? «Primo: il tema dell'identità salentina è inesistente, nessuno ha descritto in cosa consisterebbe e in cosa si differenzia da quella pugliese. Secondo: non ci sono le basi economiche che tutelino rispetto a una presunta baricentricità, non c'è un divario netto nel trasferimento e il quadro ignora l'evoluzione federalista visto che, diminuendo le risorse, una nuova regione non potrebbe moltiplicarle. Terzo: l'aumento di spesa che deriverebbe dall'attivazione di Consiglio, giunta, struttura amministrativa, e non si potrebbe certo sdoppiare l'apparato della Regione Puglia». La spinta identitaria dal basso assume più forza. «Il Salento invocato come identità, in realtà non è unitario. Né la rinascita culturale del Salento va letta come una rivendicazione d'identità: il Salento ha vissuto una fase straordinaria di riscoperta e rilettura di elementi prevalentemente musicali, ma non abbiamo una letteratura salentina. E invece è la letteratura che- altrove ha legittimato l'idea di identità. Ma qualora ci fosse una rinascita culturale ampia, perché dovrebbe vivere protetta in un recinto istituzionale?». Può nascere come contraltare un movimento del no? «La cosa è resa problematica dall'assoluta inconsistenza delle argomentazioni del sì. Più che altro, dovesse esserci il referendum, credo possa nascere un fronte dell' astensione». La "Bari-centricità" degli equilibri esiste? «No, i meccanismi di spesa sono in gran parte decentrati: penso alla formazione professionale, ai bandi del Fesr a sportello e a tutti i bandi di carattere regionale. Parlare di "Bari-centricità" vuol dire accusare retrospettivamente l'ex governatore Fitto. E comunque i centri di spesa sono distribuiti territorialmente e in base alla capacità di spesa». Il referendum potrà sgombrare il campo da dubbi? «Crea solo le condizioni per una furiosa battaglia legale. L'onorevole Ria ha correttamente spiegato che deve essere tutto il territorio pugliese a esprimersi. C'è un rischio: la politica gode di pessima fama, e l'operazione viene percepita come meramente interna al ceto politico per autoriprodursi».
Intervista a Gigi SPEDICATO
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