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REGIONE SALENTO

NOTIZIE  E  STORIA

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Domenica 5 Settembre 2010

REGIONE SALENTO: Notizie e Storia

 

Regione Salento: un film già visto

Personaggi e interpreti di un identico copione (di Teo PEPE)

 

La Regione Salento è tornata a far parlare di sé. Accade da più di sessant'anni. Quello dell'autonomia salentina è un argomento che, a intervalli non proprio regolari, riemerge dal 1946 a oggi, come un fiume carsico, accendendo ogni volta vivaci dibattiti. Poi, così come è divampato, l'interesse per la "causa" sembra spegnersi, salvo riprendere vigore successivamente, magari a distanza di anni.

Tutto cominciò nell'ottobre 1947, anno in cui il progetto di istituire la Regione Salento naufragò, in modo non del tutto chiaro. In quei giorni l'Assemblea Costituente, dopo averne approvato la nascita nell'apposita sottocommissione presieduta da Umberto Terracini, con un improvviso colpo di scena decise altrimenti e formalizzò, insieme alle altre 19, la nascita della sola Regione Puglia che comprendeva le province di Bari, Brindisi, Taranto, Lecce e Foggia.

La delusione dei salentini fu grande e, anche se la storia non si fa con i "se", in tanti hanno continuato a chiedersi che cosa sarebbe avvenuto se la Puglia anziché essere istituzionalmente una sola, fosse stata, allora, divisa in due.

Ma non solo: dal varo della Costituzione ad oggi il progetto o il sogno di creare una Regione Salento è più volte tornato di attualità, proprio come in questi giorni con il comitato referendario guidato da Paolo Pagliaro.

Anche nel 1996, quattordici anni fa, si accese un forte dibattito sull'argomento. Il nostro giornale pubblicò un inserto di quattro pagine in cui le diverse posizioni venivano messe a confronto e in cui, si cercò di approfondire le circostanze del "giallo" che aveva portato alla cancellazione della regione salentina.

In queste pagine torniamo a proporvi parte di quel lavoro ripubblicando anche le prese di posizione di amministratori ed esponenti politici di allora. Alcuni sono ancora sulla scena e può far riflettere il confronto tra le loro posizioni di oggi e quelle di quattordici anni fa. Personaggi e interpreti di un copione che si ripete ciclicamente nella storia.

La scena è la stessa e la storia si ripete. Perfino le persone, in buona parte, sono sempre quelle, i fautori della mai nata Regione Salento. Né sono nuovi gli slogan e le motivazioni.

Risale al 1996 l'ultima volta in cui le speranze autonomiste sembravano aver ripreso corpo, ma la mobilitazione anche allora non dette alcun frutto e non si riparò al "torto" subito nel 1947 quando la Regione Salento, già pronta sulla carta, era improvvisamente scomparsa.

A sostenerne le ragioni e la nascita, all'interno della seconda sottocommissione dell'Assemblea Costituente (che nel dicembre '46 aveva approvato all'unanimità la proposta) erano stati i nostri rappresentanti, primo tra tutti, il relatore Giuseppe Codacci Pisanelli, noto esponente della Dc. Con lui c'erano gli altri deputati: il socialista Vito Mario Stampacchia, il Guardasigilli liberale Giuseppe Grassi, l'indipendente Luigi Vallone, il democristiano Beniamino De Maria, Vincenzo Cicerone del Blo­co nazionale della Libertà.

Da Taranto, il sindaco del tempo, il comunista Voccoli, già rivendicava per la sua città lo status di capoluogo di regione, anche se Lecce era stata il capoluogo di provincia fino a quando, con il fascismo, prima Taranto (nel 1923) e poi Brindisi (1927) erano state promosse a capoluoghi.

Nell'ottobre del 1947 però, a meno di un anno dalla prima votazione, l'Assemblea Costituente, cancellò senza una motivazione la Regione Salento, istituzionalizzando quelle che vennero definite "le regioni storico-tradizionali", indicate da sempre dalle carte geografiche.

Non venne considerato, però, nemmeno in quel momento, che da sempre l'espressione "le Puglie" stava proprio a indicare tre aree territoriali distinte, per storia, dialetti e caratteristiche economiche: la Daunia, la Puglia barese e la Terra d'Otranto.

Quattordici anni fa il nostro giornale ricostruì, con la consulenza e la partecipazione dello storico Gianni Donno, docente dell'università del Salento, i passaggi chiave di quello che può apparire ancora oggi come un giallo. E che giallo è rimasto, almeno nei particolari. Fu Aldo Moro, che intervenne nella discussione finale, a modificare su mandato della Democrazia cristiana la posizione favorevole sulla regione Salento? Quanto contribuì la posizione centralista del Pci? Quanto e come influirono gli evidenti interessi baresi? Domande non proprio retoriche che non hanno mai avuto una piena risposta.

Teo PEPE


Lo stesso copione 14 anni fa

Regione Salento: quel film già visto

Chi diceva cosa nel '96: Prudenza, entusiasmo, previsioni sulla scelta dell'autonomia

 

Dagli archivi del Quotidiano un inserto pubblicato nel 1996 in occasione del rilancio ciclico della Regione Salento. Impressionante la somiglianza del copione con oggi: stessi dibattiti, stesse parole, spesso stessi personaggi e interpreti.

Questo è l'articolo dedicato ai pareri di alcuni esponenti politici salentini che il Quotidiano pubblicò il 14 dicembre 1996.

***

«Non mi sento di esprimere in questo momento storico un giudizio definitivo sull'opportunità e sull'attualità della Regione Salento», dice il senatore del Pds Giovanni Pellegrino, «stiamo infatti andando verso una forma di stato federale, nel quale non si sa ancora bene quale sarà il ruolo delle regioni o meglio se esse saranno dei centri di programmazione o di gestione. Nel primo caso, se federalismo volesse cioè dire affidare alle regioni un ruolo programmatorio, sicuramente la tendenza sarà quella di creare delle macroregioni, tipo länder. Se invece le regioni continueranno ad essere dei centri di gestione, ovvero dei luoghi di imputazione di funzioni attive, allora v'è il pericolo che nasca un monocentrismo regionale distante dagli amministrati. E allora avrebbe anche senso discutere sull'opportunità di una regione Salento».

Secondo il senatore Vincenzo Manca «dal punto di vista economico, culturale e commerciale l'idea di costituire una regione Salento è sicuramente affascinante: c'è infatti una sorta di cemento che unisce le tre province di Lecce, Brindisi e Taranto. Per ora, però, ritengo che tutto debba rimanere allo stato di riflessione perché il Paese ha bisogno di concentrare le sue energie su altri obiettivi e una richiesta di questo genere potrebbe costituire una sorta di diaspora. Il Paese ha invece la necessità di restare unito. Certo, la cultura salentina è qualcosa a sé stante, ma noi dobbiamo fare i conti con l'interesse generale della nazione, che è costituito dalla ripresa economica e dall'ingresso in Europa. Questi obiettivi non possono essere raggiunti se non restando tutti uniti».

Marcello Cantore, presidente della Provincia di Taranto, spiega: «Credo che in un momento in cui, a livello nazionale, si avverte l'esigenza di andare verso una forma di federalismo che consenta alle istituzioni di rapportarsi con la gente, l'ipotesi di un progetto Salento deve essere valutato molto attentamente. Mi spiego meglio. Innanzitutto va visto se effettivamente l'area jonica ha una specificità spiccata che l'accomuna a quella salentina e non piuttosto ad altre aree, come quella barese. È solo un esempio, naturalmente, ma rende evidente il fatto che qualunque ipotesi di questo genere debba essere sottoposta al vaglio di esperti di varie materie: sociologi, economisti, uomini di cultura e altri ancora. Questo perché il territorio, qualunque esso sia, deve essere rispettato in tutta la sua vocazione e non si devono ripetere gli errori del passato, quando Roma stravolse Taranto facendone un polo siderurgico».

La proposta di una Regione Salento lascia scettico anche Carmine Dipietrangelo, consigliere regionale del Pds: «Riaprire un dibattito di questo genere ora non mi sembra né opportuno né utile, almeno dal punto di vista politico-istituzionale. Certo emotivamente anche io sarei tentato di mettermi alla testa di un movimento per riproporre tale obiettivo. Ma penso che non sarebbe giusto. Credo innanzitutto che il regionalismo geografico ed istituzionale che abbiamo conosciuto in questi anni, mostri già i suoi limiti. Limiti che non si superano dando vita a nuove regioni. Il Salento e l'area jonico-salentina hanno certamente una loro identità nel contesto della Puglia, ma ciò non basta per creare una dimensione politico-istituzionale, soprattutto in un Paese in cui si cerca di costruire uno Stato Federale. Penso che il federalismo sia cosa diversa dall'attuale articolazione regionale dello Stato italiano, ed abbia bisogno di un nuovo assetto istituzionale costruito non solo sulle attuali Regioni, ma anche su Comuni e Provincie entrambe protagoniste di un "sistema" regionale delle autonomie locali».

Nicola Frugis, presidente della Provincia di Brindisi non crede che l'idea di una "regione Salento" sia in linea con i tempi. «Io sono per la massima autonomia delle province», dice, «Già quando furono create le regioni, pensavo che sarebbero state centri di potere, mentre le provincie sono a "misura d'uomo". Bisogna pensare, poi, che le regioni sono venute meno ai compiti di legiferare e programmare. La Regione, inoltre, può programmare lo sviluppo complessivo di un'estesa area geografica, ma non può entrare nel merito di questioni territoriali specifiche. La zona di Bari ha una vocazione commerciale, quella di Lecce è artigianale, ecc. Va studiata quindi una programmazione perché tutte le economie possano coesistere ed integrarsi a vicenda. Occorre quindi andare verso un'autonomia di comuni e province, che devono collaborare con la Regione per creare il federalismo».

Di diverso avviso è l'avvocato Giuseppe Vaglio Massa Stampacchia: «Credo che i motivi che giustifichino un'autonomia salentina siano gli stessi di 50 anni fa. Anzi sono diventati sempre più validi perché le spinte secessioniste possono essere vinte proprio con un maggiore decentramento. La necessità di una regione salentina è d'altro canto determinata da una diversità culturale, di tradizioni etnografiche e di tessuto economico rispetto alle altre due province pugliesi».

Secondo Giacinto Urso, già parlamentare e presidente della Provincia di Lecce, sarà estremamente difficile poter aggiungere alle tante richieste di modifica della Costituzione una rettifica dell'articolo 132. «Perché - dice Urso - di "rettifica" si tratta, considerato che, nel 1946, la Seconda Sottocommissione approvò l'inclusione della Regione Salento. Fu, con abuso di compiti, il Comitato tecnico di redazione dei testi costituzionali a stralciare la menzione Salento e a precludere la votazione in sede di assemblea plenaria. Resta, però, anche oggi il problema. Storicamente il Salento, l'antica Terra d'Otranto è un'entità a sé stante rispetto alla restante Puglia. Tra l'altro, la ricordata omissione costituzionale continua a rendere più penalizzante la nostra collocazione geografica, che ci fa essere, soprattutto Lecce, territorio estremo, né di confine, né di periferia, dove nemmeno si transita, ma si può solo appositamente venire. A sua volta, complice anche il nuovo sistema elettorale con i suoi minicollegi parlamentari, la divaricazione nel contesto della salentinità, è divenuto più marcata. Per giunta, da tempo, alla falla costituzionale non si riesce a supplire con un autonoma, seria volontà politica d'intesa e di raccordo, che, mancando, rende più stentata e senza memoria l'identità del Salento e, come scrive il poeta Bodini, condanna la provincia di Lecce ad essere esule in patria».

Decisamente contrario è il tarantino Luciano Mineo, Pds: «Non condivido assolutamente l'idea di una regione salentina. Il problema vero è quello di realizzare nel più breve tempo possibile una grande riforma dello Stato in senso federalista. Una riforma che valorizzi, più ancora del livello istituzionale delle regioni, quello delle province e dei comuni. Partendo dalla riforma in senso federalista occorre sviluppare una progettualità, peraltro non nuova, che vada oltre i confini delle singole province di Taranto, Brindisi e Lecce. Soprattutto in materia di trasporti, di viabilità, di programmazione delle infrastrutture e del territorio, di università e di ambiente, è sempre più necessario pensare ed operare in termini di area jonico-salentina. E in questo senso che vanno superati ritardi davvero storici che riguardano tutte e tre le province. Perdere tempo dietro obiettivi che, come la Regione salentina, non stanno né in cielo né in terra comporterebbe esclusivamente un ulteriore ritardo nella progettualità necessaria e nella soluzione dei grandi problemi di un'area di grande importanza strategica per l'intera Puglia».

Una posizione solo apparentemente diversa è quella di Lorenzo Ria, presidente della Provincia di Lecce che spiega: «Le recenti incredibili scelte regionali (come quella sulla formazione professionale che ha paralizzato un comparto essenziale per lo sviluppo e l'occupazione in settori innovativi e qualificati) e le prese di posizione tracotanti (quella sull'interporto a servizio dell'area jonico-salentina, che ha privilegiato la logica di appartenenza a discapito della logica tout court e dello sviluppo integrato del territorio) fanno ripensare con rimpianto al dibattito di 50 anni fa in assemblea costituente sulla Regione Salento. Credo che nessun salentino, e nessun pugliese, a 26 anni dalla costituzione della Regione Puglia, si possa dire soddisfatto delle esperienze di regionalismo sinora fatte. Un centralismo senza idee e incapace di scelte, che ha penalizzato il sud pugliese e che ha coinvolto anche il nord. Anche a livello regionale si è creata e si perpetua una pletorica burocrazia politica, che opprime le istanze degli enti locali e delle periferie ed allontana i cittadini dalle istituzioni. La soluzione? Non credo sia nel ritorno all'utopia della Regione Salento. Credo, invece, che occorra pensare ad un progetto di vera aggregazione e di autentica unificazione delle varietà e molteplicità presenti nel territorio regionale».

 

 

 da La Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 7 Settembre 2010 (di Vito Antonio LEUZZI)

REGIONE SALENTO: Notizie e Storia

 

Nel 1946-47 fu proposta la sua istituzione, insieme a quella della regione Daunia. Perchè fu bocciata.

Regione Salento, il no della Costituente

 

Nell'animato dibattito di questi giorni sollevato dalle proposte del movimento referendario «Regione Salento», che ha dato luogo ad una densa «polvere di localismo» - come ha sostenuto in una recentissima intervista su questo giornale l'assessore regionale Guglielmo Minervini -, sono stati richiamati anche alcuni aspetti del dibattito alla Costituente svoltosi tra il 1946 ed il 1947, sulla proposta di istituzione della Regione Salento, che vale la pena di approfondire.

In quella importante stagione politica, alcuni deputati pugliesi della provincia di Lecce e di Foggia formularono richieste istitutive non solo della regione Salento ma anche di quella della Daunia. Le proposte e le discussioni di sessantatré anni fa - si chiamarono i comuni a pronunciarsi e si organizzarono convegni a Bari e in altri centri della regione - ebbero come fase conclusiva il dibattito nell'Assemblea Costituente tra settembre ed ottobre del 1947. Le decisioni definitive assunte dai costituenti possono chiarire le motivazioni che indussero la classe dirigente - non solo pugliese, ma nazionale - a respingere l'ondata di localismi che metteva in discussione l'istituto stesso della Regione, ritardando l'approvazione della Carta Costituzionale.

Nella seduta del 29 ottobre 1947, sotto la presidenza di Umberto Terracini, dopo un lungo e animato confronto, l'Assemblea votò l'articolo della Costituzione Italiana che conteneva l'elenco delle venti Regioni (nel testo definitivo art.131) con 221 voti a favore e 88 contrari.

Prima della votazione del testo definitivo, che sostituiva elenchi formulati precedentemente, si sprigionò una diffusa polemica tra i promotori delle diverse richieste di allargamento del numero delle regioni, che non furono accolte o che furono depennate all'ultimo momento. Tra le richieste c'era anche l'istituzione della Regione Salento. Già nella fase precedente non erano state prese in considerazione l'istituzione della regione Daunia da staccare dalla Puglia e quella del Sannio da ricavare in gran parte dalla Campania, assieme ad alcune analoghe richieste avanzate per il Centro e per il Nord dell'Italia.

Diversi deputati salentini eletti alla Costituente, tra cui il noto giurista Giuseppe Codacci Pisanelli, democratico cristiano, e l'avvocato Vito Mario Stampacchia, socialista, sostennero sino in fondo con diverse argomentazioni la Regione del Salento, trovando consensi in altri deputati della provincia di Lecce (tra cui i liberali Giuseppe Grassi e Antonio Vallone, i democristiani Beniamino De Maria e Antonio Gabrieli), ma anche una ferma opposizione in altri costituenti (in particolare l'on. Ruggero Grieco del Partito comunista eletto nella circoscrizione Lecce, Brindisi e Taranto); nonché una sostanziale presa di distanza degli altri sei deputati democristiani legati alla realtà di Brindisi e Taranto, che preferirono seguire le indicazioni nazionali dei loro partiti, assieme a due deputati eletti nelle liste monarchico-qualunquiste.

La Democrazia cristiana, sin dagli inizi, con l'on. Attilio Piccioni a nome del gruppo, si oppose con diverse argomentazioni di principio e di ordine generale alle diverse proposte di ampliare il numero delle regioni o addirittura - come emergeva dalle richieste di alcuni deputati «salentini» e «dauni» - di frantumare la Puglia in tre nuclei regionali (l'on.

Vito Antonio LEUZZI

 

 

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Sabato 23 Ottobre 2010  (di M. G. Fas.)

REGIONE SALENTO: Notizie e Storia

 

Nell'auditorium del museo dibattito intenso tra favorevoli e contrari

Regione Salento? Tesi a confronto

Un incontro per approfondire le ragioni della contrapposizione o dell'adesione alla proposta di istituire la Regione Salento. Questo il tema trattato ieri sera presso l'auditorium del Museo "Sigismondo Castromediano" di Lecce.

"L'Ande chiede: Regione Salento?" era la domanda cardine del dialogo tra professori universitari, uomini di cultura, politici e giornalisti, raccolti intorno al tavolo organizzato dall'Associazione nazionale donne elettrici, presieduta da Maria Serracca Guerrieri. A questa domanda si sono aggiunti i quesiti formulati dal direttore di Quotidiano, Claudio Scamardella, in veste di moderatore.

Gli ospiti: l'editore e presidente del movimento Regione Salento Paolo Pagliaro, i docenti dell'Università del Salento Luigi Melica, Pierluigi Portaluri e Anna Lucia De Nitto, il regista Edoardo Winspeare e il deputato dell'Udc Lorenzo Ria. Tre favorevoli e tre contrari. Tesi difese con intensità e passione in un dibattito caratterizzato dal grande equilibrio.

I contrari. «Occorre leggere il concetto di identità a partire dal processo storico. Dobbiamo risalire alle ragioni ecomomiche e sociali che hanno portato negli anni '20 alla disgregazione della Terra d'Otranto — ha spiegato la professoressa De Nitto, direttore del Dipartimento di Studi Storici dal Medioevo all'Età contemporanea —: partendo da lì e dai successivi tentativi di istituirla capiamo che la proposta della Regione Salento nasce storicamente debole, non nasce come un'idea condivisa e sostenuta con argomenti convincenti». Posizione contraria quella di Lorenzo Ria: «Esiste davvero una spinta popolare e un sentimento diffuso non solo a Lecce, ma anche a Brindisi e a Taranto verso la separazione? No credo proprio. In questo territorio non c'è mai stata la volontà di dividersi dal resto della Puglia, tant'è che quando era possibile farlo con le Disposizioni finali della Costituzione non è avvenuto. Del resto, gli indicatori economici dimostrano che il Salento non è ai margini della Puglia, tutt'altro. Per questo è una proposta sbagliata, demagocica oltre che con possibilità pari a zero di essere realizzata». Scettico anche Winspeare. «Il mio lavoro si è concentrato molto sul tema dell'identità — ha dichiarato il regista — nel corso degli ultimi anni si è sdoganato il dialetto salentino, c'è stato il boom della"pizzica, ma sono tutti fenomeni recenti. Credo che un'identità si possa conservare mantenendo gli stessi confini. I muri e le barriere non mi piacciono».

 A favore della Regione Salento, invece, i professori Portaluri e Melica e il promotore del movimento, Paolo Pagliaro: «Abbiamo dalla nostra parte la storia, la cultura, l'identità - la tesi di Pagliaro —. Se 60 anni fa fosse andata avanti l'istituzione della Regione  Salento, l'autostrada non si sarebbe fermata a Bari, porti e aeroporti si sarebbero sviluppati in maniera diversa e non secondo una concezione "baricentrica". Per la Regione il Salento è solo una cartolina illustrata, ma quando si parla  di investimenti economici ci sono  sempre altre aree che hanno priorità». Il professore Portaluri ha sostenuto la necessità di «guardare avanti, di alzare lo sguardo verso l'orizzonte degli eventi e di capire che il futuro, nel mondo globalizzato, è il rafforzamento dell'autodeterminazione delle comunità. La Regione Salento non è il rinchiudersi in angusti confini, al contrario è apertura verso il mondo con la propria identità». Il professor Luigi Melica non ha dubbi: «Il Salento è fortemente penalizzato sul piano infrastrutturale perché dimenticato da gestioni centralistiche e "baricentriche" della Regione. Penso allo stato penoso della Ferrovia del Sud Est o al fatto che ancora non esiste alcun collegamento diretto dall' aeroporto di Brindisi a Lecce. Portare qui i centri politici decisionali significa tutelare meglio il territorio. E la procedura che abbiamo indicato per raggiungere questo obiettivo, attraverso il referendum popolare, è la più corretta e democratica». Platea divisa ma attentissima. Il confronto, questo è sicuro, non si ferma qui.

M.G.Fas.

 

 

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Mercoledì 17 Novembre 2010  (di Pier Luigi PORTALURI)

REGIONE SALENTO: Notizie e Storia

 

Caro assessore, la regione Salento nasce... dai risultati

Nel gergo dei giuristi inglesi ed americani si chiama disclosure: un dovere di correttezza impone di riconoscere l'esistenza di rapporti non immediatamente percepibili fra le parti di un determinato affare. Qui è un po' così.

Marida Dentamaro - che ieri ha scritto su questo giornale un bellissimo pezzo contrario alla Regione Salento - è, per quei pochi che non lo sapessero, una colta e raffinata docente di Diritto amministrativo nell'Università di Bari. Da lei e dal comune maestro di un tempo — il compianto Enrico Dalfino — ho appreso le basi della disciplina che oggi ho l'onore d'insegnare nell'Ateneo salentino.

Marida (giovanissima ricercatrice) a lezione ci spiegava perché e come ogni Ente pubblico — come le Regioni, le Province, le Usl etc. - abbia sempre un disegno organizzativo. Serve per svolgere la rispettiva funzione nel modo migliore. Ma non era - Marida ci avvertiva subito - qualcosa di immutabile nel tempo: un assetto che poteva andar bene in un certo periodo ed in un determinato contesto socio-economico, poteva dopo rivelarsi del tutto inadeguato.

Quando "qualcuno" degli studenti chiese (lo ricordo benissimo...) come si faceva a comprendere quando un determinato disegno organizzativo era appunto divenuto inadeguato, Marida rispose lapidariamente: lo si capisce dai risultati, cioè dall'insoddisfazione della gente!

Quell'episodio mi è tornato in mente quando l'avventurata vicenda della Regione Salento è iniziata, e ha acceso subito le passioni di tante persone, favorevoli o contrarie al progetto. Non poteva essere un caso. Su questa iniziativa — c'era da aspettarselo — si sono scaricate le aspettative di tutti gli insoddisfatti dell'attuale disegno organizzativo costituzionale, che vede un lungo e disomogeneo territorio dell'Italia meridionale ricompreso in un'unica Regione.

L'idea di modificare questa situazione è sembrata allora a molti la prima cosa da farsi, riorganizzando il territorio pugliese in due aree politico-amministrative, la Regione Puglia e la Regione Salento. Certo, non è come modificare l'organizzazione sul territorio delle Usl, che in qualche lustro nella sola Provincia di Lecce sono passate ad essere da tredici a due ed ora ad una. Qui vengono in ballo questioni più grosse: i ceppi linguistici (Marida ieri li ha ricordati), le relazioni preferenziali sul piano socio-economico e culturale e così via. Tutto quello, insomma, che — come diceva Isaiah Berlin — fa di un tedesco un tedesco, di un italiano un italiano, e così via.

Se proviamo però a raffreddare solo un po' l'aspetto identitario, possiamo dare più spazio al ragionamento. E fare una serie di considerazioni «laiche». Si parte sempre da lì, dal contrasto dolente fra la decisione astratta che fu presa in sede costituente (no alla Regione Salento) e le dure, concretissime repliche della Storia: che ancora oggi si chiamano, da noi, isolamento per arretratezza delle infrastrutture.

Quando dovevo raggiungere Bari per assistere alle lezioni di Enrico e Marida, avevo davanti a me una scelta: o il sedicente «rapido» che riusciva a portarmi a destinazione in meno di tre ore (un record, davvero...); oppure fare il coraggioso: prendere la macchina e sfidare la sorte, telefonando a casa appena arrivato incolume in Facoltà dopo cento chilometri a corsia praticamente unica. Ora va un po' meglio in assoluto (era difficile peggiorare...), ma il gap con Bari, pronta all'alta velocità, sembra essere invariato o aumentato.

Conosco l'obiezione: l'istituzione della Regione Salento porrebbe rimedio a questa situazione generale? Il tempo dei millenarismi e delle attese messianiche è finito, e nessuno dispone di rimedi portentosi. Ma un moderno ripensamento di quel disegno organizzativo a me pare foriero di benefici. Non si tratta di scimmiottare rudezze leghistiche, anzi l'esatto contrario! Nessuna risibile voglia di secessione, ma invece di "spirito di frontiera": riagganciare e consolidare, cioè, le traiettorie di sviluppo pugliesi e italiane, dalle quali il Salento è rimasto per molto tempo emarginato. Non ha molta rilevanza, quindi, la quota parte di risorse che la Regione Puglia ha destinato, ai privati residenti nelle province di Lecce, Brindisi e Taranto. Conta molto di più invece, l'entità delle risorse che la Regione ha destinato alla realizzazione di opere pubbliche strategiche in queste nostre province. Non più lontani, insomma, ma più vicini, e in minor tempo. Non una macchina-Regione Puglia con ruote che la impacciano girando a velocità differenti, ma due realtà regionali forti, fra loro ben collegate e coese, accomunate da tante e tante identità comuni.

Marida parlava ieri di alleanze per competere. Spero tanto che il suo auspicio si verifichi. Ci ritroveremo, ancora una volta, a lottare insieme.

Pier Luigi PORTALURI

 

 

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Mercoledì 1 Dicembre 2010  (di Francesco G. GIOFFREDI)

REGIONE SALENTO: Notizie e Storia

 

Comitato Regione Salento: c'è il quorum referendum

 

La soglia critica è stata varcata, il pallottoliere segna - all'incirca - 626mila abitanti, e il referendum avrebbe imboccato la curva decisiva: la comunicazione arriva dal Movimento Regione Salento, che ieri ha incassato il placet di altri tre Comuni dell'area jonico-salentina, in tutto 45 su 146.

Anche i Consigli comunali di Gallipoli, San Donaci, Alezio hanno approvato ieri la mozione che chiede di indire il referendum consultivo per la nascita della Regione Salento. Il che, spiega il Comitato promotore, sarebbe bastevole ad accendere la miccia del procedimento autonomista: l'articolo 132 della Costitituzione spiega che in senso referendario deve far richiesta un numero di Consigli comunali tale da rappresentare almeno un terzo della popolazione interessata. Nel caso jonico-salentino il fatturato complessivo è di 1,8 milioni di abitanti, il che rende necessaria una "base di legittimazione" di almeno 600mila abitanti: in sostanza, il gradino scollinato ieri. In serata però arriva la occia fredda da Brindisi: il Consiglio Comunale ha optato per il no. La disputa in punta di fioretto giuridico è scoppiettante. Scettici e contrari eccepiscono anzitutto il contenuto della mozione sottoposta alle Assise comunale a legger bene l'articolo 132, il via lira dovrebbe riguardare il sì alla Regione Salento, e non solo alla consultazione popolare. Ma tant'è: il 20 dicembre il Movimento depositerà il faldone alla Corte di Cassazione, l'organo giurisdizionale dinanzi al quale occorre superare il primo sbarramento autorizzativo. Ogni perplessità giuridica, assicuranodal Movimento, è stata fugata già alla vigilia. Poi, il percorso è comunque irto di passaggi: la costituzione di una nuova Regione deve trovare sostanza normatiin una legge costituzionale (legge di rango superiore che in Parlamento richiepiù passaggi e una maggioranza blindata e qualificata). Solo dopo può e deve sequestrare la scena il referendum, he comunque dovrà mettere in carniere il sì del 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto.

Già, ma chi vota? Su  quest'ultimo rovello si aggrovigliano i batti e ribatti. I pro ritengono debbano accostarsi alle urne referendarie solo   le "popolazioni interessate", come da articolo 132 della Costitituzione - norma   di rango superiore e prevalente. I contro   cavano fuori dal cilindro la legge 352 - del 1970 ("Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo) che all'articolo 42  recita all'incirca così: occorre richiesta di referendum corredata da deliberazioni di tutti i Consigli provinciali e comunali delle Province e dei Comuni  di cui si propone il distacco, nonché - ecco il punto - "di tanti Consigli che rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della regione dalla quale è proposto il distacco delle province o comuni predetti". In sostanza, dovrebbero esprimersi anche le popolazioni del Barese e del Foggiano. Non solo: l'eventuale referendum, incalza la legge, dev'essere esteso poi a tutta la Regione. Per replicare, il Movimento promotore spiattella una pronuncia della Corte costituzionale del 2004 secondo cui spetterebbe solo alla popolazione interessata promuovere la consultazione.

Un bel garbuglio, nel quale il dato in ghiacciaia è l'elenco di chi ritiene sia cosa saggia il referendum: Vernole, Calimera, Veglie, Castri di Lecce, Miggiano, Francavilla Fontana, Erchie, Maruggio, Avetrana, Monteparano, Racale, Scorrano, Poggiardo, San Pietro in Lama, Guagnano, Oria, Caprarica di Lecce, Novoli, Otranto, Sogliano Cavour, Collepasso, Santa Cesarea Terme, Presicce, Ortelle, Aradeo, Tuglie, Carpignano Salentino, Trepuzzi, Gagliano del Capo, San Vito dei Normanni, Taranto, Galatina, Latiano, Arnesano, Manduria, Torchiarolo, Supersano, San Michele Salentino, Lequile, San Pietro Vernotico, Torre Santa Susanna Surbo, Gallipoli, San Donaci, Alezio. Oltre il guscio giuridico, ci sarebbe pure la polpa del merito: cioè il dibattito su identità, baricentrismo, radici, infrastrutture, risorse, costi della politica, territorialità. Il confronto ora è nel vivo.
 

Francesco G. GIOFFREDI

 

 

da La Gazzetta del Mezzogiorno

 

«Regione Salento raggiunto il quorim»

 

«Il quorum necessario per l'indizione del referendum è raggiunto»: è quanto ha affermato Paolo Pagliaro, presidente del Movimento Regione Salento. «Si tratta di una giornata storica - ha aggiunto Pagliaro - da oggi i cittadini del Salento possono "dare del tu al loro futuro". Da oggi la gente si riappropria della facoltà di scegliere la direzione. Da oggi e per la prima volta nella mia vita, come promotore di questa iniziativa, mi sento davvero fabbro del mio destino».

«I consigli comunali che rappresentano più di un terzo della popolazione di Lecce, Brindisi e Taranto (oltre 600.000 cittadini) - ha proseguito Pagliaro - si sono espressi favorevolmente rispetto all'ordine del giorno per l'indizione del referendum per l'istituzione della Regione Salento. Lo dico senza retorica: è un grande segnale politico».

«La sfida adesso ha concluso Pagliaro - è aumentare il quorum entro il 18 dicembre, arrivando a ottenere il maggior numero di consigli comunali che rappresentino l'intera terra jonico-salentina. Non una prova di forza, ma un coraggioso esercizio di coerenza da parte dei consiglieri».

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Giovedì 2  Dicembre 2010

REGIONE SALENTO: Notizie e Storia

 

Ria: richiesta di referendum illegittima

Errico e Buccoliero nel fronte del sì

 

Il raggiungimento del quorum annunciato dal Comitato per il referendum sulla Regione Salento (sono circa 50 i Consigli comunali, per oltre 600mila abitanti, su 146 che hanno votato ordini del giorno per la consultazione popolare) rilancia il dibattito sull'iniziativa e riapre le polemiche. «Non capisco l'inopportuno entusiasmo dei promotori della Regione Salento, che esultano per aver raggiunto la soglia di 600mila abitanti per richiedere il referendum. Siamo di fronte ad un clamoroso abbaglio».

Lo dichiara Lorenzo Ria, deputato dell'Unione di Centro, già in precedenza critico verso le procedure indicate dal comitato promotore, presieduto da Paolo Pagliaro.

«La richiesta di referendum per la creazione di una nuova Regione - continua Ria - per essere legittima, deve essere fatta da tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, cioè dell'intera Puglia; siccome la nostra Regione conta oltre 4 milioni di abitanti, si deve raggiungere almeno quota 1.400.000 abitanti. Apprendo inoltre dai giornali che l'iter indicato dal Comitato è quello giusto, perché sottoposto al vaglio della Corte di Cassazione in precedenza. Se fosse vero che la Cassazione ha espresso un parere su un quesito posto dal Comitato, invito i promotori a pubblicarlo. Se così non è, come credo, è chiaro che stanno vendendo solo fumo». Ma al di là dei numeri, conclude Ria, «va evidenziato anche il dato politico: solo 45 comuni su 146 hanno detto sì al referendum, i due terzi dei quali sono in provincia di Lecce. Vogliamo costringere le altre due province, evidentemente sfavorevoli, ad un distacco forzato? Questo atteggiamento è l'opposto del coinvolgimento popolare tanto invocato dal Comitato pro Regione Salento».

Di tutt'altro avviso il consigliere regionale dei Moderati e Popolari, Antonio Buccoliero: «È un grande risultato il raggiungimento del quorum, al di là delle posizioni a favore o contrarie all'istituzione della Regione Salento perché consente di dare voce e di far decidere il popolo su un'importante iniziativa, una richiesta che parte dal basso e che incontra consensi nella comunità». E a proposito di consensi, dopo il no del Consiglio comunale di Brindisi al referendum, è di ieri l'adesione all'iniziativa dell'ex presidente della provincia di Brindisi, Michele Errico.

 

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