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REGIONE SALENTO
NOTIZIE E
STORIA |
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Domenica 5 Settembre 2010 |
REGIONE SALENTO: Notizie e Storia
Regione Salento: un film già visto
Personaggi e
interpreti di un identico copione
(di Teo PEPE)
La Regione Salento è tornata a
far parlare di sé. Accade da più di sessant'anni. Quello dell'autonomia
salentina è un argomento che, a intervalli non proprio regolari, riemerge
dal 1946 a oggi, come un fiume carsico, accendendo ogni volta vivaci
dibattiti. Poi, così come è divampato, l'interesse per la "causa" sembra
spegnersi, salvo riprendere vigore successivamente, magari a distanza di
anni.
Tutto cominciò nell'ottobre
1947, anno in cui il progetto di istituire la Regione Salento naufragò, in
modo non del tutto chiaro. In quei giorni l'Assemblea Costituente, dopo
averne approvato la nascita nell'apposita sottocommissione presieduta da
Umberto Terracini, con un improvviso colpo di scena decise altrimenti e
formalizzò, insieme alle altre 19, la nascita della sola Regione Puglia che
comprendeva le province di Bari, Brindisi, Taranto, Lecce e Foggia.
La delusione dei salentini fu
grande e, anche se la storia non si fa con i "se", in tanti hanno continuato
a chiedersi che cosa sarebbe avvenuto se la Puglia anziché essere
istituzionalmente una sola, fosse stata, allora, divisa in due.
Ma non solo: dal varo della
Costituzione ad oggi il progetto o il sogno di creare una Regione Salento è
più volte tornato di attualità, proprio come in questi giorni con il
comitato referendario guidato da Paolo Pagliaro.
Anche nel 1996, quattordici
anni fa, si accese un forte dibattito sull'argomento. Il nostro giornale
pubblicò un inserto di quattro pagine in cui le diverse posizioni venivano
messe a confronto e in cui, si cercò di approfondire le circostanze del
"giallo" che aveva portato alla cancellazione della regione salentina.
In queste pagine torniamo a
proporvi parte di quel lavoro ripubblicando anche le prese di posizione di
amministratori ed esponenti politici di allora. Alcuni sono ancora sulla
scena e può far riflettere il confronto tra le loro posizioni di oggi e
quelle di quattordici anni fa. Personaggi e interpreti di un copione che si
ripete ciclicamente nella storia.
La scena è la stessa e la
storia si ripete. Perfino le persone, in buona parte, sono sempre quelle, i
fautori della mai nata Regione Salento. Né sono nuovi gli slogan e le
motivazioni.
Risale al 1996 l'ultima volta
in cui le speranze autonomiste sembravano aver ripreso corpo, ma la
mobilitazione anche allora non dette alcun frutto e non si riparò al "torto"
subito nel 1947 quando la Regione Salento, già pronta sulla carta, era
improvvisamente scomparsa.
A sostenerne le ragioni e la
nascita, all'interno della seconda sottocommissione dell'Assemblea
Costituente (che nel dicembre '46 aveva approvato all'unanimità la proposta)
erano stati i nostri rappresentanti, primo tra tutti, il relatore Giuseppe
Codacci Pisanelli, noto esponente della Dc. Con lui c'erano gli altri
deputati: il socialista Vito Mario Stampacchia, il Guardasigilli liberale
Giuseppe Grassi, l'indipendente Luigi Vallone, il democristiano Beniamino De
Maria, Vincenzo Cicerone del Bloco nazionale della Libertà.
Da Taranto, il sindaco del
tempo, il comunista Voccoli, già rivendicava per la sua città lo status di
capoluogo di regione, anche se Lecce era stata il capoluogo di provincia
fino a quando, con il fascismo, prima Taranto (nel 1923) e poi Brindisi
(1927) erano state promosse a capoluoghi.
Nell'ottobre del 1947 però, a
meno di un anno dalla prima votazione, l'Assemblea Costituente, cancellò
senza una motivazione la Regione Salento, istituzionalizzando quelle che
vennero definite "le regioni storico-tradizionali", indicate da sempre dalle
carte geografiche.
Non venne considerato, però,
nemmeno in quel momento, che da sempre l'espressione "le Puglie" stava
proprio a indicare tre aree territoriali distinte, per storia, dialetti e
caratteristiche economiche: la Daunia, la Puglia barese e la Terra
d'Otranto.
Quattordici anni fa il nostro
giornale ricostruì, con la consulenza e la partecipazione dello storico
Gianni Donno, docente dell'università del Salento, i passaggi chiave di
quello che può apparire ancora oggi come un giallo. E che giallo è rimasto,
almeno nei particolari. Fu Aldo Moro, che intervenne nella discussione
finale, a modificare su mandato della Democrazia cristiana la posizione
favorevole sulla regione Salento? Quanto contribuì la posizione centralista
del Pci? Quanto e come influirono gli evidenti interessi baresi? Domande non
proprio retoriche che non hanno mai avuto una piena risposta.
Teo PEPE
Lo stesso copione 14 anni fa
Regione Salento:
quel film già visto
Chi diceva cosa nel '96: Prudenza,
entusiasmo, previsioni sulla scelta dell'autonomia
Dagli archivi del Quotidiano un inserto
pubblicato nel 1996 in occasione del rilancio ciclico della Regione Salento.
Impressionante la somiglianza del copione con oggi: stessi dibattiti, stesse
parole, spesso stessi personaggi e interpreti.
Questo è l'articolo dedicato ai pareri di
alcuni esponenti politici salentini che il Quotidiano pubblicò il 14
dicembre 1996.
***
«Non mi sento di esprimere in
questo momento storico un giudizio definitivo sull'opportunità e
sull'attualità della Regione Salento», dice il senatore del Pds Giovanni
Pellegrino, «stiamo infatti andando verso una forma di stato federale,
nel quale non si sa ancora bene quale sarà il ruolo delle regioni o meglio
se esse saranno dei centri di programmazione o di gestione. Nel primo caso,
se federalismo volesse cioè dire affidare alle regioni un ruolo
programmatorio, sicuramente la tendenza sarà quella di creare delle
macroregioni, tipo länder. Se invece le regioni continueranno ad essere dei
centri di gestione, ovvero dei luoghi di imputazione di funzioni attive,
allora v'è il pericolo che nasca un monocentrismo regionale distante dagli
amministrati. E allora avrebbe anche senso discutere sull'opportunità di una
regione Salento».
Secondo il senatore Vincenzo
Manca «dal punto di vista economico, culturale e commerciale l'idea di
costituire una regione Salento è sicuramente affascinante: c'è infatti una
sorta di cemento che unisce le tre province di Lecce, Brindisi e Taranto.
Per ora, però, ritengo che tutto debba rimanere allo stato di riflessione
perché il Paese ha bisogno di concentrare le sue energie su altri obiettivi
e una richiesta di questo genere potrebbe costituire una sorta di diaspora.
Il Paese ha invece la necessità di restare unito. Certo, la cultura
salentina è qualcosa a sé stante, ma noi dobbiamo fare i conti con
l'interesse generale della nazione, che è costituito dalla ripresa economica
e dall'ingresso in Europa. Questi obiettivi non possono essere raggiunti se
non restando tutti uniti».
Marcello Cantore,
presidente della Provincia di Taranto, spiega: «Credo che in un momento in
cui, a livello nazionale, si avverte l'esigenza di andare verso una forma di
federalismo che consenta alle istituzioni di rapportarsi con la gente,
l'ipotesi di un progetto Salento deve essere valutato molto attentamente. Mi
spiego meglio. Innanzitutto va visto se effettivamente l'area jonica ha una
specificità spiccata che l'accomuna a quella salentina e non piuttosto ad
altre aree, come quella barese. È solo un esempio, naturalmente, ma rende
evidente il fatto che qualunque ipotesi di questo genere debba essere
sottoposta al vaglio di esperti di varie materie: sociologi, economisti,
uomini di cultura e altri ancora. Questo perché il territorio, qualunque
esso sia, deve essere rispettato in tutta la sua vocazione e non si devono
ripetere gli errori del passato, quando Roma stravolse Taranto facendone un
polo siderurgico».
La proposta di una Regione
Salento lascia scettico anche Carmine Dipietrangelo, consigliere
regionale del Pds: «Riaprire un dibattito di questo genere ora non mi sembra
né opportuno né utile, almeno dal punto di vista politico-istituzionale.
Certo emotivamente anche io sarei tentato di mettermi alla testa di un
movimento per riproporre tale obiettivo. Ma penso che non sarebbe giusto.
Credo innanzitutto che il regionalismo geografico ed istituzionale che
abbiamo conosciuto in questi anni, mostri già i suoi limiti. Limiti che non
si superano dando vita a nuove regioni. Il Salento e l'area jonico-salentina
hanno certamente una loro identità nel contesto della Puglia, ma ciò non
basta per creare una dimensione politico-istituzionale, soprattutto in un
Paese in cui si cerca di costruire uno Stato Federale. Penso che il
federalismo sia cosa diversa dall'attuale articolazione regionale dello
Stato italiano, ed abbia bisogno di un nuovo assetto istituzionale costruito
non solo sulle attuali Regioni, ma anche su Comuni e Provincie entrambe
protagoniste di un "sistema" regionale delle autonomie locali».
Nicola Frugis,
presidente della Provincia di Brindisi non crede che l'idea di una "regione
Salento" sia in linea con i tempi. «Io sono per la massima autonomia delle
province», dice, «Già quando furono create le regioni, pensavo che sarebbero
state centri di potere, mentre le provincie sono a "misura d'uomo". Bisogna
pensare, poi, che le regioni sono venute meno ai compiti di legiferare e
programmare. La Regione, inoltre, può programmare lo sviluppo complessivo di
un'estesa area geografica, ma non può entrare nel merito di questioni
territoriali specifiche. La zona di Bari ha una vocazione commerciale,
quella di Lecce è artigianale, ecc. Va studiata quindi una programmazione
perché tutte le economie possano coesistere ed integrarsi a vicenda. Occorre
quindi andare verso un'autonomia di comuni e province, che devono
collaborare con la Regione per creare il federalismo».
Di diverso avviso è l'avvocato
Giuseppe Vaglio Massa Stampacchia: «Credo che i motivi che
giustifichino un'autonomia salentina siano gli stessi di 50 anni fa. Anzi
sono diventati sempre più validi perché le spinte secessioniste possono
essere vinte proprio con un maggiore decentramento. La necessità di una
regione salentina è d'altro canto determinata da una diversità culturale, di
tradizioni etnografiche e di tessuto economico rispetto alle altre due
province pugliesi».
Secondo Giacinto Urso,
già parlamentare e presidente della Provincia di Lecce, sarà estremamente
difficile poter aggiungere alle tante richieste di modifica della
Costituzione una rettifica dell'articolo 132. «Perché - dice Urso - di
"rettifica" si tratta, considerato che, nel 1946, la Seconda
Sottocommissione approvò l'inclusione della Regione Salento. Fu, con abuso
di compiti, il Comitato tecnico di redazione dei testi costituzionali a
stralciare la menzione Salento e a precludere la votazione in sede di
assemblea plenaria. Resta, però, anche oggi il problema. Storicamente il
Salento, l'antica Terra d'Otranto è un'entità a sé stante rispetto alla
restante Puglia. Tra l'altro, la ricordata omissione costituzionale continua
a rendere più penalizzante la nostra collocazione geografica, che ci fa
essere, soprattutto Lecce, territorio estremo, né di confine, né di
periferia, dove nemmeno si transita, ma si può solo appositamente venire. A
sua volta, complice anche il nuovo sistema elettorale con i suoi minicollegi
parlamentari, la divaricazione nel contesto della salentinità, è divenuto
più marcata. Per giunta, da tempo, alla falla costituzionale non si riesce a
supplire con un autonoma, seria volontà politica d'intesa e di raccordo,
che, mancando, rende più stentata e senza memoria l'identità del Salento e,
come scrive il poeta Bodini, condanna la provincia di Lecce ad essere esule
in patria».
Decisamente contrario è il
tarantino Luciano Mineo, Pds: «Non condivido assolutamente l'idea di
una regione salentina. Il problema vero è quello di realizzare nel più breve
tempo possibile una grande riforma dello Stato in senso federalista. Una
riforma che valorizzi, più ancora del livello istituzionale delle regioni,
quello delle province e dei comuni. Partendo dalla riforma in senso
federalista occorre sviluppare una progettualità, peraltro non nuova, che
vada oltre i confini delle singole province di Taranto, Brindisi e Lecce.
Soprattutto in materia di trasporti, di viabilità, di programmazione delle
infrastrutture e del territorio, di università e di ambiente, è sempre più
necessario pensare ed operare in termini di area jonico-salentina. E in
questo senso che vanno superati ritardi davvero storici che riguardano tutte
e tre le province. Perdere tempo dietro obiettivi che, come la Regione
salentina, non stanno né in cielo né in terra comporterebbe esclusivamente
un ulteriore ritardo nella progettualità necessaria e nella soluzione dei
grandi problemi di un'area di grande importanza strategica per l'intera
Puglia».
Una posizione solo
apparentemente diversa è quella di Lorenzo Ria, presidente della
Provincia di Lecce che spiega: «Le recenti incredibili scelte regionali
(come quella sulla formazione professionale che ha paralizzato un comparto
essenziale per lo sviluppo e l'occupazione in settori innovativi e
qualificati) e le prese di posizione tracotanti (quella sull'interporto a
servizio dell'area jonico-salentina, che ha privilegiato la logica di
appartenenza a discapito della logica tout court e dello sviluppo integrato
del territorio) fanno ripensare con rimpianto al dibattito di 50 anni fa in
assemblea costituente sulla Regione Salento. Credo che nessun salentino, e
nessun pugliese, a 26 anni dalla costituzione della Regione Puglia, si possa
dire soddisfatto delle esperienze di regionalismo sinora fatte. Un
centralismo senza idee e incapace di scelte, che ha penalizzato il sud
pugliese e che ha coinvolto anche il nord. Anche a livello regionale si è
creata e si perpetua una pletorica burocrazia politica, che opprime le
istanze degli enti locali e delle periferie ed allontana i cittadini dalle
istituzioni. La soluzione? Non credo sia nel ritorno all'utopia della
Regione Salento. Credo, invece, che occorra pensare ad un progetto di vera
aggregazione e di autentica unificazione delle varietà e molteplicità
presenti nel territorio regionale».
da
La Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 7 Settembre 2010 (di Vito
Antonio LEUZZI) |
REGIONE SALENTO: Notizie e Storia
Nel 1946-47 fu proposta la sua
istituzione, insieme a quella della regione Daunia. Perchè fu bocciata.
Regione
Salento, il no della Costituente
Nell'animato dibattito di
questi giorni sollevato dalle proposte del movimento referendario
«Regione Salento», che ha dato luogo ad una densa «polvere di localismo»
- come ha sostenuto in una recentissima intervista su questo giornale
l'assessore regionale Guglielmo Minervini -, sono stati richiamati anche
alcuni aspetti del dibattito alla Costituente svoltosi tra il 1946 ed il
1947, sulla proposta di istituzione della Regione Salento, che vale la
pena di approfondire.
In quella importante
stagione politica, alcuni deputati pugliesi della provincia di Lecce e
di Foggia formularono richieste istitutive non solo della regione
Salento ma anche di quella della Daunia. Le proposte e le discussioni di
sessantatré anni fa - si chiamarono i comuni a pronunciarsi e si
organizzarono convegni a Bari e in altri centri della regione - ebbero
come fase conclusiva il dibattito nell'Assemblea Costituente tra
settembre ed ottobre del 1947. Le decisioni definitive assunte dai
costituenti possono chiarire le motivazioni che indussero la classe
dirigente - non solo pugliese, ma nazionale - a respingere l'ondata di
localismi che metteva in discussione l'istituto stesso della Regione,
ritardando l'approvazione della Carta Costituzionale.
Nella seduta del 29 ottobre
1947, sotto la presidenza di Umberto Terracini, dopo un lungo e animato
confronto, l'Assemblea votò l'articolo della Costituzione Italiana che
conteneva l'elenco delle venti Regioni (nel testo definitivo art.131)
con 221 voti a favore e 88 contrari.
Prima della votazione del
testo definitivo, che sostituiva elenchi formulati precedentemente, si
sprigionò una diffusa polemica tra i promotori delle diverse richieste
di allargamento del numero delle regioni, che non furono accolte o che
furono depennate all'ultimo momento. Tra le richieste c'era anche
l'istituzione della Regione Salento. Già nella fase precedente non erano
state prese in considerazione l'istituzione della regione Daunia da
staccare dalla Puglia e quella del Sannio da ricavare in gran parte
dalla Campania, assieme ad alcune analoghe richieste avanzate per il
Centro e per il Nord dell'Italia.
Diversi deputati salentini
eletti alla Costituente, tra cui il noto giurista Giuseppe Codacci
Pisanelli, democratico cristiano, e l'avvocato Vito Mario Stampacchia,
socialista, sostennero sino in fondo con diverse argomentazioni la
Regione del Salento, trovando consensi in altri deputati della provincia
di Lecce (tra cui i liberali Giuseppe Grassi e Antonio Vallone, i
democristiani Beniamino De Maria e Antonio Gabrieli), ma anche una ferma
opposizione in altri costituenti (in particolare l'on. Ruggero Grieco
del Partito comunista eletto nella circoscrizione Lecce, Brindisi e
Taranto); nonché una sostanziale presa di distanza degli altri sei
deputati democristiani legati alla realtà di Brindisi e Taranto, che
preferirono seguire le indicazioni nazionali dei loro partiti, assieme a
due deputati eletti nelle liste monarchico-qualunquiste.
La Democrazia cristiana,
sin dagli inizi, con l'on. Attilio Piccioni a nome del gruppo, si oppose
con diverse argomentazioni di principio e di ordine generale alle
diverse proposte di ampliare il numero delle regioni o addirittura -
come emergeva dalle richieste di alcuni deputati «salentini» e «dauni» -
di frantumare la Puglia in tre nuclei regionali (l'on.
Vito Antonio LEUZZI
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Sabato 23 Ottobre 2010 (di
M. G. Fas.) |
REGIONE SALENTO: Notizie e Storia
Nell'auditorium del museo dibattito
intenso tra favorevoli e contrari
Regione Salento?
Tesi a confronto
Un incontro per
approfondire le ragioni della contrapposizione o dell'adesione alla
proposta di istituire la Regione Salento. Questo il tema trattato ieri
sera presso l'auditorium del Museo "Sigismondo Castromediano" di Lecce.
"L'Ande chiede: Regione
Salento?" era la domanda cardine del dialogo tra professori
universitari, uomini di cultura, politici e giornalisti, raccolti
intorno al tavolo organizzato dall'Associazione nazionale donne
elettrici, presieduta da Maria Serracca Guerrieri. A questa domanda si
sono aggiunti i quesiti formulati dal direttore di Quotidiano, Claudio
Scamardella, in veste di moderatore.
Gli ospiti: l'editore e
presidente del movimento Regione Salento Paolo Pagliaro, i docenti dell'Università
del Salento Luigi Melica, Pierluigi Portaluri e Anna Lucia De Nitto, il
regista Edoardo Winspeare e il deputato dell'Udc Lorenzo Ria. Tre
favorevoli e tre contrari. Tesi difese con intensità e passione in un
dibattito caratterizzato dal grande equilibrio.
I contrari. «Occorre
leggere il concetto di identità a partire dal processo storico. Dobbiamo
risalire alle ragioni ecomomiche e sociali che hanno portato negli anni
'20 alla disgregazione della Terra d'Otranto — ha spiegato la
professoressa De Nitto, direttore del Dipartimento di Studi Storici dal
Medioevo all'Età contemporanea —: partendo da lì e dai successivi
tentativi di istituirla capiamo che la proposta della Regione Salento
nasce storicamente debole, non nasce come un'idea condivisa e sostenuta
con argomenti convincenti». Posizione contraria quella di Lorenzo Ria:
«Esiste davvero una spinta popolare e un sentimento diffuso non solo a
Lecce, ma anche a Brindisi e a Taranto verso la separazione? No credo
proprio. In questo territorio non c'è mai stata la volontà di dividersi
dal resto della Puglia, tant'è che quando era possibile farlo con le
Disposizioni finali della Costituzione non è avvenuto. Del resto, gli
indicatori economici dimostrano che il Salento non è ai margini della
Puglia, tutt'altro. Per questo è una proposta sbagliata, demagocica
oltre che con possibilità pari a zero di essere realizzata». Scettico
anche Winspeare. «Il mio lavoro si è concentrato molto sul tema
dell'identità — ha dichiarato il regista — nel corso degli ultimi anni
si è sdoganato il dialetto salentino, c'è stato il boom della"pizzica,
ma sono tutti fenomeni recenti. Credo che un'identità si possa
conservare mantenendo gli stessi confini. I muri e le barriere non mi
piacciono».
A favore della
Regione Salento, invece, i professori Portaluri e Melica e il promotore
del movimento, Paolo Pagliaro: «Abbiamo dalla nostra parte la storia, la
cultura, l'identità - la tesi di Pagliaro —. Se 60 anni fa fosse andata
avanti l'istituzione della Regione Salento, l'autostrada non si
sarebbe fermata a Bari, porti e aeroporti si sarebbero sviluppati in
maniera diversa e non secondo una concezione "baricentrica". Per la
Regione il Salento è solo una cartolina illustrata, ma quando si parla
di investimenti economici ci sono sempre altre aree che hanno
priorità». Il professore Portaluri ha sostenuto la necessità di
«guardare avanti, di alzare lo sguardo verso l'orizzonte degli eventi e
di capire che il futuro, nel mondo globalizzato, è il rafforzamento
dell'autodeterminazione delle comunità. La Regione Salento non è il
rinchiudersi in angusti confini, al contrario è apertura verso il mondo
con la propria identità». Il professor Luigi Melica non ha dubbi: «Il
Salento è fortemente penalizzato sul piano infrastrutturale perché
dimenticato da gestioni centralistiche e "baricentriche" della Regione.
Penso allo stato penoso della Ferrovia del Sud Est o al fatto che ancora
non esiste alcun collegamento diretto dall' aeroporto di Brindisi a
Lecce. Portare qui i centri politici decisionali significa tutelare
meglio il territorio. E la procedura che abbiamo indicato per
raggiungere questo obiettivo, attraverso il referendum popolare, è la
più corretta e democratica». Platea divisa ma attentissima. Il
confronto, questo è sicuro, non si ferma qui.
M.G.Fas.
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Mercoledì 17 Novembre 2010 (di
Pier Luigi PORTALURI) |
REGIONE SALENTO: Notizie e Storia
Caro assessore,
la regione Salento nasce... dai risultati
Nel gergo dei giuristi
inglesi ed americani si chiama disclosure: un dovere di
correttezza impone di riconoscere l'esistenza di rapporti non
immediatamente percepibili fra le parti di un determinato affare. Qui è
un po' così.
Marida Dentamaro - che ieri
ha scritto su questo giornale un bellissimo pezzo contrario alla Regione
Salento - è, per quei pochi che non lo sapessero, una colta e raffinata
docente di Diritto amministrativo nell'Università di Bari. Da lei e dal
comune maestro di un tempo — il compianto Enrico Dalfino — ho appreso le
basi della disciplina che oggi ho l'onore d'insegnare nell'Ateneo
salentino.
Marida (giovanissima
ricercatrice) a lezione ci spiegava perché e come ogni Ente pubblico —
come le Regioni, le Province, le Usl etc. - abbia sempre un disegno
organizzativo. Serve per svolgere la rispettiva funzione nel modo
migliore. Ma non era - Marida ci avvertiva subito - qualcosa di
immutabile nel tempo: un assetto che poteva andar bene in un certo
periodo ed in un determinato contesto socio-economico, poteva dopo
rivelarsi del tutto inadeguato.
Quando "qualcuno" degli
studenti chiese (lo ricordo benissimo...) come si faceva a comprendere
quando un determinato disegno organizzativo era appunto divenuto
inadeguato, Marida rispose lapidariamente: lo si capisce dai risultati,
cioè dall'insoddisfazione della gente!
Quell'episodio mi è tornato
in mente quando l'avventurata vicenda della Regione Salento è iniziata,
e ha acceso subito le passioni di tante persone, favorevoli o contrarie
al progetto. Non poteva essere un caso. Su questa iniziativa — c'era da
aspettarselo — si sono scaricate le aspettative di tutti gli
insoddisfatti dell'attuale disegno organizzativo costituzionale, che
vede un lungo e disomogeneo territorio dell'Italia meridionale
ricompreso in un'unica Regione.
L'idea di modificare questa
situazione è sembrata allora a molti la prima cosa da farsi,
riorganizzando il territorio pugliese in due aree
politico-amministrative, la Regione Puglia e la Regione Salento. Certo,
non è come modificare l'organizzazione sul territorio delle Usl, che in
qualche lustro nella sola Provincia di Lecce sono passate ad essere da
tredici a due ed ora ad una. Qui vengono in ballo questioni più grosse:
i ceppi linguistici (Marida ieri li ha ricordati), le relazioni
preferenziali sul piano socio-economico e culturale e così via. Tutto
quello, insomma, che — come diceva Isaiah Berlin — fa di un tedesco un
tedesco, di un italiano un italiano, e così via.
Se proviamo però a
raffreddare solo un po' l'aspetto identitario, possiamo dare più spazio
al ragionamento. E fare una serie di considerazioni «laiche». Si parte
sempre da lì, dal contrasto dolente fra la decisione astratta che fu
presa in sede costituente (no alla Regione Salento) e le dure,
concretissime repliche della Storia: che ancora oggi si chiamano, da
noi, isolamento per arretratezza delle infrastrutture.
Quando dovevo raggiungere
Bari per assistere alle lezioni di Enrico e Marida, avevo davanti a me
una scelta: o il sedicente «rapido» che riusciva a portarmi a
destinazione in meno di tre ore (un record, davvero...); oppure fare il
coraggioso: prendere la macchina e sfidare la sorte, telefonando a casa
appena arrivato incolume in Facoltà dopo cento chilometri a corsia
praticamente unica. Ora va un po' meglio in assoluto (era difficile
peggiorare...), ma il gap con Bari, pronta all'alta velocità, sembra
essere invariato o aumentato.
Conosco l'obiezione:
l'istituzione della Regione Salento porrebbe rimedio a questa situazione
generale? Il tempo dei millenarismi e delle attese messianiche è finito,
e nessuno dispone di rimedi portentosi. Ma un moderno ripensamento di
quel disegno organizzativo a me pare foriero di benefici. Non si tratta
di scimmiottare rudezze leghistiche, anzi l'esatto contrario! Nessuna
risibile voglia di secessione, ma invece di "spirito di frontiera":
riagganciare e consolidare, cioè, le traiettorie di sviluppo pugliesi e
italiane, dalle quali il Salento è rimasto per molto tempo emarginato.
Non ha molta rilevanza, quindi, la quota parte di risorse che la Regione
Puglia ha destinato, ai privati residenti nelle province di Lecce,
Brindisi e Taranto. Conta molto di più invece, l'entità delle risorse
che la Regione ha destinato alla realizzazione di opere pubbliche
strategiche in queste nostre province. Non più lontani, insomma, ma più
vicini, e in minor tempo. Non una macchina-Regione Puglia con ruote che
la impacciano girando a velocità differenti, ma due realtà regionali
forti, fra loro ben collegate e coese, accomunate da tante e tante
identità comuni.
Marida parlava ieri di
alleanze per competere. Spero tanto che il suo auspicio si verifichi. Ci
ritroveremo, ancora una volta, a lottare insieme.
Pier Luigi PORTALURI
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Mercoledì 1 Dicembre 2010 (di
Francesco G. GIOFFREDI) |
REGIONE SALENTO: Notizie e Storia
Comitato Regione
Salento: c'è il quorum referendum
La soglia critica è stata
varcata, il pallottoliere segna - all'incirca - 626mila abitanti, e il
referendum avrebbe imboccato la curva decisiva: la comunicazione arriva
dal Movimento Regione Salento, che ieri ha incassato il placet di altri
tre Comuni dell'area jonico-salentina, in tutto 45 su 146.
Anche i Consigli comunali
di Gallipoli, San Donaci, Alezio hanno approvato ieri la mozione che
chiede di indire il referendum consultivo per la nascita della Regione
Salento. Il che, spiega il Comitato promotore, sarebbe bastevole ad
accendere la miccia del procedimento autonomista: l'articolo 132 della
Costitituzione spiega che in senso referendario deve far richiesta un
numero di Consigli comunali tale da rappresentare almeno un terzo della
popolazione interessata. Nel caso jonico-salentino il fatturato
complessivo è di 1,8 milioni di abitanti, il che rende necessaria una
"base di legittimazione" di almeno 600mila abitanti: in sostanza, il
gradino scollinato ieri. In serata però arriva la occia fredda da
Brindisi: il Consiglio Comunale ha optato per il no. La disputa in punta
di fioretto giuridico è scoppiettante. Scettici e contrari eccepiscono
anzitutto il contenuto della mozione sottoposta alle Assise comunale a
legger bene l'articolo 132, il via lira dovrebbe riguardare il sì alla
Regione Salento, e non solo alla consultazione popolare. Ma tant'è: il
20 dicembre il Movimento depositerà il faldone alla Corte di Cassazione,
l'organo giurisdizionale dinanzi al quale occorre superare il primo
sbarramento autorizzativo. Ogni perplessità giuridica, assicuranodal
Movimento, è stata fugata già alla vigilia. Poi, il percorso è comunque
irto di passaggi: la costituzione di una nuova Regione deve trovare
sostanza normatiin una legge costituzionale (legge di rango superiore
che in Parlamento richiepiù passaggi e una maggioranza blindata e
qualificata). Solo dopo può e deve sequestrare la scena il referendum,
he comunque dovrà mettere in carniere il sì del 50 per cento più uno
degli aventi diritto al voto.
Già, ma chi vota? Su
quest'ultimo rovello si aggrovigliano i batti e ribatti. I pro ritengono
debbano accostarsi alle urne referendarie solo le
"popolazioni interessate", come da articolo 132 della Costitituzione -
norma di rango superiore e prevalente. I contro
cavano fuori dal cilindro la legge 352 - del 1970 ("Norme sui referendum
previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo)
che all'articolo 42 recita all'incirca così: occorre richiesta di
referendum corredata da deliberazioni di tutti i Consigli provinciali e
comunali delle Province e dei Comuni di cui si propone il
distacco, nonché - ecco il punto - "di tanti Consigli che rappresentino
almeno un terzo della restante popolazione della regione dalla quale è
proposto il distacco delle province o comuni predetti". In sostanza,
dovrebbero esprimersi anche le popolazioni del Barese e del Foggiano.
Non solo: l'eventuale referendum, incalza la legge, dev'essere esteso
poi a tutta la Regione. Per replicare, il Movimento promotore spiattella
una pronuncia della Corte costituzionale del 2004 secondo cui
spetterebbe solo alla popolazione interessata promuovere la
consultazione.
Un bel garbuglio, nel quale
il dato in ghiacciaia è l'elenco di chi ritiene sia cosa saggia il
referendum: Vernole, Calimera, Veglie, Castri di Lecce, Miggiano,
Francavilla Fontana, Erchie, Maruggio, Avetrana, Monteparano, Racale,
Scorrano, Poggiardo, San Pietro in Lama, Guagnano, Oria, Caprarica di
Lecce, Novoli, Otranto, Sogliano Cavour, Collepasso, Santa Cesarea
Terme, Presicce, Ortelle, Aradeo, Tuglie, Carpignano Salentino, Trepuzzi,
Gagliano del Capo, San Vito dei Normanni, Taranto, Galatina, Latiano,
Arnesano, Manduria, Torchiarolo, Supersano, San Michele Salentino,
Lequile, San Pietro Vernotico, Torre Santa Susanna Surbo, Gallipoli, San
Donaci, Alezio. Oltre il guscio giuridico, ci sarebbe pure la polpa del
merito: cioè il dibattito su identità, baricentrismo, radici,
infrastrutture, risorse, costi della politica, territorialità. Il
confronto ora è nel vivo.
Francesco G. GIOFFREDI
da La Gazzetta del Mezzogiorno
«Regione Salento
raggiunto il quorim»
«Il quorum necessario per
l'indizione del referendum è raggiunto»: è quanto ha affermato Paolo
Pagliaro, presidente del Movimento Regione Salento. «Si tratta di una
giornata storica - ha aggiunto Pagliaro - da oggi i cittadini del
Salento possono "dare del tu al loro futuro". Da oggi la gente si
riappropria della facoltà di scegliere la direzione. Da oggi e per la
prima volta nella mia vita, come promotore di questa iniziativa, mi
sento davvero fabbro del mio destino».
«I consigli comunali che
rappresentano più di un terzo della popolazione di Lecce, Brindisi e
Taranto (oltre 600.000 cittadini) - ha proseguito Pagliaro - si sono
espressi favorevolmente rispetto all'ordine del giorno per l'indizione
del referendum per l'istituzione della Regione Salento. Lo dico senza
retorica: è un grande segnale politico».
«La sfida adesso ha
concluso Pagliaro - è aumentare il quorum entro il 18 dicembre,
arrivando a ottenere il maggior numero di consigli comunali che
rappresentino l'intera terra jonico-salentina. Non una prova di forza,
ma un coraggioso esercizio di coerenza da parte dei consiglieri».
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Giovedì 2 Dicembre 2010 |
REGIONE SALENTO: Notizie e Storia
Ria: richiesta
di referendum illegittima
Errico e
Buccoliero nel fronte del sì
Il raggiungimento del
quorum annunciato dal Comitato per il referendum sulla Regione Salento
(sono circa 50 i Consigli comunali, per oltre 600mila abitanti, su 146
che hanno votato ordini del giorno per la consultazione popolare)
rilancia il dibattito sull'iniziativa e riapre le polemiche. «Non
capisco l'inopportuno entusiasmo dei promotori della Regione Salento,
che esultano per aver raggiunto la soglia di 600mila abitanti per
richiedere il referendum. Siamo di fronte ad un clamoroso abbaglio».
Lo dichiara Lorenzo Ria,
deputato dell'Unione di Centro, già in precedenza critico verso le
procedure indicate dal comitato promotore, presieduto da Paolo Pagliaro.
«La richiesta di referendum
per la creazione di una nuova Regione - continua Ria - per essere
legittima, deve essere fatta da tanti Consigli comunali che
rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, cioè
dell'intera Puglia; siccome la nostra Regione conta oltre 4 milioni di
abitanti, si deve raggiungere almeno quota 1.400.000 abitanti. Apprendo
inoltre dai giornali che l'iter indicato dal Comitato è quello giusto,
perché sottoposto al vaglio della Corte di Cassazione in precedenza. Se
fosse vero che la Cassazione ha espresso un parere su un quesito posto
dal Comitato, invito i promotori a pubblicarlo. Se così non è, come
credo, è chiaro che stanno vendendo solo fumo». Ma al di là dei numeri,
conclude Ria, «va evidenziato anche il dato politico: solo 45 comuni su
146 hanno detto sì al referendum, i due terzi dei quali sono in
provincia di Lecce. Vogliamo costringere le altre due province,
evidentemente sfavorevoli, ad un distacco forzato? Questo atteggiamento
è l'opposto del coinvolgimento popolare tanto invocato dal Comitato pro
Regione Salento».
Di tutt'altro avviso il
consigliere regionale dei Moderati e Popolari, Antonio Buccoliero: «È un
grande risultato il raggiungimento del quorum, al di là delle posizioni
a favore o contrarie all'istituzione della Regione Salento perché
consente di dare voce e di far decidere il popolo su un'importante
iniziativa, una richiesta che parte dal basso e che incontra consensi
nella comunità». E a proposito di consensi, dopo il no del Consiglio
comunale di Brindisi al referendum, è di ieri l'adesione all'iniziativa
dell'ex presidente della provincia di Brindisi, Michele Errico.
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