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REGIONE SALENTO
LE RAGIONI DEL "SI" |
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dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Mercoledì 18 Agosto 2010 (di
Veronica MERICO) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Idea giusta ma da
strappare ai salotti
Da qualche mese assistiamo,
attraverso i mezzi di comunicazione, ad una massiccia campagna che invita i
consumatori a scegliere e a privilegiare i prodotti e le aziende del nostro
territorio. Iniziativa lodevole, anche se a forte contenuto commerciale,
visti i protagonisti proponenti e sottoscrittori.
Per i valori sociali e popolari che ci
contraddistinguono e in coerente continuità con le battaglie portate avanti,
avremmo preferito che questa campagna fosse rivolta anche ai piccoli
imprenditori, quelli anonimi, senza voce che combattono per non estirpare le
vigne o gli oliveti, che hanno combattuto durante questa stagione estiva da
soli e con i propri mezzi l'erosione delle nostre splendide spiagge; che
credono nel loro lavoro e soprattutto lo fanno animati da una passione
infinita per la nostra terra, senza nulla togliere ai principali
"nomi" della nostra economia che con enormi sforzi sono riusciti a
ritagliarsi una fetta di mercato, ma che rispetto ai primi hanno raggiunto
posizioni più "comode". Ci colpisce positivamente questo "riscoperto"
sentimento di salentinità che si manifesta e concretizza nella volontà, da
parte degli stessi attori di cui sopra, di lanciare una campagna per
l'istituzione della Regione Salento.
Si comprenderà la sorpresa di chi, come me,
da tempo ormai, attraverso la rete, ma anche scendendo in campo nelle ultime
competizioni elettorali sotto un simbolo che si chiama Salento Libero
Regione, porta avanti, con enormi sacrifici, insieme con tanti altri signor
nessuno, una delle tante battaglie storiche dell'ideatore del nostro
movimento e presidente onorario, Mario de Cristofaro. Sorpresa perché mai,
in nessuna occasione, dalle conferenze sull'argomento devoluzione ai
seminari sugli effetti della globalizzazione, abbiamo avuto il piacere di
conoscere le posizioni anche di uno solo dei promotori dell'iniziativa
referendaria per la Regione Salento.
Sia chiaro: ben vengano tutte le iniziative
che hanno a cuore la crescita e il miglioramento del nostro territorio, ma
la Regione Salento così come la intendiamo noi non è mera esigenza
economica. E piuttosto una "battaglia" che scalda l'anima e il cuore, è una
passione per questa terra, troppo a lungo ridotta al silenzio, fatta di
giovani uomini e donne pronti a dare il meglio per riscattarla: non solo
imprenditori, professionisti, ma anche e soprattutto gente comune, persone
in carne e ossa che la mattina si alzano per andare a lavorare (i più
fortunati) e durante la giornata si trovano a combattere con tutte le
contraddizioni che il nostro territorio riserva, che credono nella sua
bellezza, nelle sue potenzialità e nella cultura che esprime.
La nostra è stata un'idea a lungo osteggiata,
tacciata di utopia: proprio questa diversa visione contraddistingue il
nostro movimento, un'esigenza che nasce dal popolo e non nei salotti del
potere precostituito. L'intento non è quello di ritagliarsi una fetta di
potere: siamo un movimento culturale, sociale e popolare, e il
coinvolgimento delle nuove generazioni ne è una prova tangibile. Siamo
pronti a dare il nostro contributo, qualora ci sia la volontà di avviare
cambiamenti reali, anche a costo, se necessano, di scardinare posizioni
politiche comode e consolidate; pronti a costituire un partito politico se
per far valere le nostre ragioni dovremo far leva sui numeri; pronti ad
allearci con chi, come noi, crede che le utopie sono realizzabili, perché
figlie di un'esigenza sociale, convinti che "il modo migliore per realizzare
un sogno è svegliarsi".
Veronica MERICO
coordinatrice Salento Libero Regione
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Giovedì 26 Agosto 2010 (di
Vittorio RAELI * ) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Regione Salento: i
verdetti della Storia
Chi si è recato ai Musei Vaticani ed ha
scelto l'itinerario che porta alla Cappella Sistina avrà notato che nella
Galleria delle carte geografiche, situata all' inizio del percorso, due,
sono le carte che raffigurano la Puglia: quella del Salento e quella della
Capitanata.
Già questo basterebbe per evidenziare come
sin dai tempi della antichità il Salento abbia costituito una realtà
economica e culturale, della quale la geografia non poteva che prendere
atto.
Spetta senz'altro agli storici ed agli
antropologi sottolineare gli aspetti che fanno del Salento un'area non
soltanto geografica, ma culturale e sociale. Il compito degli studiosi delle
istituzioni è, in primo luogo, quello di recuperare la memoria storica.
Ciò detto, il progetto del Salento come
Regione durò nel breve arco di tempo che va dal 17 dicembre 1946 sino al 29
ottobre 1947.
Fu ad opera di Giuseppe Codacci Pisanelli,
nato a Tricase ed eletto all'Assemblea costituente, che fu approvata nella
seconda sottocommissione della Commissione per la Costituzione (Commissione
dei 75), la proposta di istituire il Salento come Regione. Alcune delle
motivazioni di quella proposta sono senz'altro superate dallo sviluppo della
economia salentina, ma indubbiamente rimane valido, ancora oggi, quanto
osservava l'on. Codacci Pisanelli: "L'aspirazione del Salento a costituirsi
come regione autonoma è assai antica. Una richiesta in tal senso fu avanzata
sin dal 1860, all'epoca, cioè, dell'unificazione d'Italia. Gli abitanti
della zona hanno sempre tenuto a chiamarsi Salentini; "Salentine" furono
chiamate le ferrovie costruite nella zona da una società all'inizio del
secolo. L'aspirazione del Salento a costituirsi in Regione è stata sempre
sostenuta senza chiasso o violente manifestazioni esteriori, ma con fermezza
e decisione, perché la popolazione locale è stata sempre amante dell'ordine
e ha un innato rispetto dell'autorità costituita. Gli abitanti del luogo
sono convinti che la loro aspirazione non possa nuocere all'unità del Paese,
raggiunta dopo tante fatiche e sanguinose lotte, a cui gli stessi Salentini
hanno partecipato, e che essi quindi volgiono che ad ogni costo sia
mantenuta".
L'illustre uomo politico evidenziava,
inoltre, come "nella Capitanata, nella terra di Bari e nel Salento esistano
notevoli differenze di struttura economica", aggiungendo che "in queste tre
zone si hanno varie tonalità nel dialetto, il che sta a provare una diversa
origine etnica delle popolazioni locali" e, inoltre, che "fra i diversi
motivi che consigliano di addivenire alla costituzione della Regione del
Salento, non bisogna dimenticare questo che, con il distacco di tale zona
dal resto della Puglia, non si avrebbe più una sola Regione di così
eccessiva lunghezza com'è l'attuale regione pugliese. Né va dimenticato che,
se la città di Brindisi dovesse continuare a fare parte di una stessa
Regione con centro la città di Bari, il porto di Brindisi, che è uno dei più
sicuri sul litorale adriatico, sicuramente non verrebbe sfruttato". Quanto
sono lungimiranti queste parole ogni salentino si può rendere conto. Fatto
sta che, come dicevamo, nella seduta del 17 dicembre 1946 la proposta di
istituire la "Regione del Salento" venne approvata, mentre furono respinte
le analoghe proposte di istituire la regione emiliano-appenninica e la
regione Daunia, comprendente la zona del Tavoliere. Il "sogno", però, durava
poco, in quanto già il 1 ° febbraio 1947 la Commissione dei 75, in seduta
plenaria, approvava un ordine del giorno con cui sospendeva ogni decisione
in merito alla istituzione delle nuove regioni, in attesa di accertamenti
presso gli organi locali delle popolazioni interessate. Nel passaggio del
progetto di Costituzione dalla Commissione alla Assemblea costituente il
riferimento al Salento, nell'elenco delle regioni, fu cancellato ad opera
del Comitato di redazione, (chiamato anche "Comitato dei 18"). Restano
scarse tracce della attività di questo organo, per alcuni il "vero organo
motore della Costituente" , dato che non fu fatta alcuna verbalizzazione
delle riunioni, per cui non è dato comprendere le ragioni che spinsero i
componenti del Comitato di redazione a eliminare il Salento dall'elenco
delle Regioni.
Di certo, secondo testimonianze dirette, si
fanno risalire lo stesso schema della Costituzione e la raccolta delle
disposizioni generali ad una riunione informale tra il Presidente Ruini ed
alcuni tra i rappresentanti politici più significativi, come l'on. Aldo
Moro. E questo sembrerebbe, dunque, avvalorare quanto affermato dall'on.
Mario Vito Stampacchia, il quale sostenne in assemblea che la decisione di
cancellare la "Regione del Salento" sia stata presa "...ad opera di quattro
o cinque che si sono visti nel pomeriggio del 27 luglio di quest'anno".
Ciò provocò, comunque, la reazione dell'on.
Codacci Pisanelli, il quale affermava, nella seduta del 29 ottobre 1947, che
"in ogni modo, il Comitato di redazione doveva limitarsi a coordinare, e
coordinare, non equivale a modificare. Qui sono state soppresse alcune
regioni che erano state incluse dopo accurata discussione e dopo votazioni.
Sono state soppresse, senza che al Comitato di redazione fossero stati dati
questi poteri. Ritengo perciò che l'articolo 123 debba essere presentato
all'Assemblea nella formulazione adottata nel progetto di Costituzione e non
nella attuale formulazione".
Ma, la proposta di ripristinare la
formulazione adottata nel progetto di Costituzione diversa da quella
recepita dal Comitato di coordinamento non passò anche per l'atteggiamento
ufficiale del Gruppo Democratico Cristiano, rappresentato dalle parole
dell'on. Moro. "Noi non intendiamo con questa votazione precludere la
possibilità che in avvenire, ad opera delle Assemblee legislative, dopo
studi seri ed attenti sulla realtà economica, politica, geografica, sociale
delle regioni interessate, dopo più attenta e più seria consultazione delle
popolazioni interessate, si giunga ad un diverso assetto delle
circoscrizioni regionali. Ma se volessimo anticipare questo momento, mentre
siamo sollecitati dall'urgenza di terminare i nostri lavori, noi
correremmo il rischio di non creare un serio assetto regionale in Italia,
determinando piuttosto delle circoscrizioni le quali obbediscano a criteri
di opportunità contingente".
Poiché il cammino verso il referendum
consultivo - che rappresenta l'obiettivo principale del Comitato promotore -
non sarà certo facile è bene, dunque, tenere presente sin d'ora la lezione
che si trae dalla vicenda dei lavori preparatori della Costituzione per
impedire che abbiano più a verificarsi degli autentici " colpi di mano" in
danno delle popolazioni salentine; affinchè, cioè, non si ripeta quanto
avvenne con la cancellazione della "Regione del Salento" dall'elenco delle
regioni che di lì a poco sarebbero state istituite con l'approvazione della
Costituzione attualmente in vigore.
Vittorio RAELI
*Consigliere della Corte dei Conti
Lettera
del dott. Pietro Calcagnile - Venerdì 27 Agosto 2010 |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Occasione storica
per la nascita della regione Salento
La pubblica amministrazione (Comune,
Province, Regioni e Ministeri ) crea posti di lavoro.
Non è un caso che la Lega insiste per
trasferire al Nord alcuni Ministeri: alcune televisioni di Stato si trovano
già al Nord nonché tutte le private più importanti.
Anche se la spesa della pubblica
amministrazione grava sui cittadini è lapalissiano che crea posti di lavoro.
Il Regno di Napoli dopo l’Unità d’Italia non si è più ripreso perché aveva
perso la sua ricchezza principale: i Ministeri.
Da quel momento l'economia del Sud fu
completamente distrutta e si è ripresa soltanto cento anni dopo negli anni
60-70-80 perché l’Agricoltura veniva assistita dallo Stato Italiano prima e
dalla Comunità Economica Europea poi.
Adesso che l'Agricoltura è stata abbandonata
dallo Stato Italiano e dalla Comunità Europea a causa di una classe politica
incapace di guardare ai problemi reali del Mezzogiorno, un po di posti di
lavoro in più non guasterebbero con la nascita della Regione Salento.
Abbiamo bisogno di una Università del Salento
completa di tutti i corsi di laurea, compreso Medicina, Agraria e
Architettura: la ricchezza che qui si produce non deve essere sperperata ai
quattro venti.
Dobbiamo ampliare il nostro turismo perché
solo così possiamo far conoscere i nostri prodotti.
Ma soprattutto abbiamo bisogno di una cultura
della solidarietà affinché la ricchezza sia distribuita più equamente fra
tutte le classi sociali e in tutte le Regioni italiane.
I poteri forti si stanno mangiando l’Italia:
i ricchi diventano sempre più ricchi e ci vogliono togliere pure i diritti
acquisiti.
Nessuno osa criticarli perché abbiamo un
Parlamento nominato dai poteri forti e non dai cittadini ma soprattutto
perché i ricchi sono proprietari di giornali che condizionano la vita
politica italiana.
L'occasione è storica per la nascita della
Regione Salento: se perdiamo questo treno resteremo a piedi per sempre.
Veglie, 26 Agosto 2010
dott. Pietro Calcagnile
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Sabato 28 Agosto 2010 (di Annalisa
NESCA) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
MIGGIANO: Approvata in Consiglio Comunale
la proposta da presentare in Parlamento. Ma l'opposizione non è d'accordo
Regione Salento:
arriva il primo sì al referendum
Il movimento per l'istituzione della Regione
Salento mette in cassa il primo sì ufficiale. Raccolto, dunque, l'appello
lanciato a tutti i Comuni delle Province di Lecce, Brindisi e Taranto per
l'approvazione di un referendum per la modificazione territoriale della
Regione, che consenta di presentare in Parlamento la proposta per la
costituzione di un nuovo ente regionale. Il sì giunge dal consiglio comunale
di Miggiano, prima cittadina leccese ad aver affrontato, ieri in seduta
monotematica, la questione approvando la proposta della consultazione
popolare da presentare alla Corte di Cassazione. Indubbio il valore che una
Regione può portare al territorio salentino, a volte troppo distante da Bari
e poco coinvolto, nonostante i numerosi rappresentanti della classe politica
delle tre province interessate. Il sindaco di Miggiano Giovanni Damiano e il
vicesindaco Antonio Del Vino hanno espresso la ferma volontà di approvare la
proposta considerandola meritevole di attenzione e concretizzazione per quei
benefici che l'intero territorio potrebbe trarne, dal turismo all'ambiente,
ai trasporti, all'ambito socio-sanitario. La proposta è stata votata solo
dalla maggioranza. L'opposizione, guidata dall'avvocato Maurizio Cafiero, ha
sottolineato le ombre del progetto "Regione Salento".
«L'idea di un'istituzione più vicina alla
popolazione del Salento può essere ottima - ha spiegato Cafiero -, ma questa
sembra più un ipotesi pseudosecessionista. E necessario informare i
cittadini non solo sui vantaggi ma anche sui costi, che saranno davvero
onerosi, soprattutto in questo periodo di crisi. Quali le reali conseguenze
e quale l'impatto sulla realtà di questo territorio? Prima di partire con
una proposta del genere è fondamentale capire in quale direzione si sta
andando. Si parla di eliminare le Province, di abbattere i costi, di far
funzionare meglio e le Unioni dei Comuni e di creare macrocomuni con
funzioni allargate. La costituzione di una nuova Regione graverebbe
pesantemente sulle tasche dei salentini».
Annalisa NESCA
da
La Gazzetta del Mezzogiorno di Domenica 29 Agosto 2010 |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Il Comune di
Miggiano dice «sì» al Comitato promotore
Miggiano dice «sì» alla Regione Salento. Il
consiglio comunale ha approva l'ordine del giorno della formale adesione
all'iniziativa proposta dal Comitato promotore per il sì all'istituzione
della Regione Salento, volto all'indizione dell'apposito referendum, ex
articolo 132, comma 1, della Costituzione.
Miggiano risulta, così, il primo Comune delle
tre province interessate a formalizzare un impegno, per quanto non
vincolante, rivolto a mettere in moto l'intera macchina che dia alla volontà
popolare la parola definitiva sulla questione che da settimane focalizza il
dibattito politico-culturale.
Il sindaco Giovanni Damiano esprime
apprezzamento per l'esito della seduta e si dice soddisfatto «perché, al di
là delle rispettabili singole posizioni di ciascuno, il discorso possa
essere affidato al popolo sovrano, nel rispetto dei principi democratici».
Un appello in tal senso è stato rivolto, nei
giorni scorsi, da Adriano Napoli, responsabile regionale di Destra di base,
nell'ambito dell'adesione ufficiale alla proposta della Regione Salento.
«Cominciamo a testimoniare l'autenticità del
nostro impegno per il Salento aderendo tutti ad una battaglia sociale e
politica già in atto» ha detto Napoli, il quale, tuttavia, ha tenuto a
precisare che «la Regione Salento non deve essere sinonimo di meri interessi
personali o politici mascherati da una battaglia sociale, facendo leva
sull'orgoglio salentino e sulla buona fede di migliaia di persone. Prima di
parlare di Regione Salento, dunque - ha rimarcato - parliamo di amore per la
nostra terra e di rispetto per la dignità della nostra gente, da sempre
considerata «figlia di un dio minore».
da
La Gazzetta del Mezzogiorno di Domenica 29 Agosto 2010 |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Pankiewicz contro il presidente Vendola
«Non è un progetto
secessionista»
«La Regione Salento non è un progetto
secessionista. Le dichiarazioni del presidente della Regione sono
sbalorditive».
Wojtek Pankiewicz, consigliere comunale del
Centro moderato, replica alle dichiarazioni di Nichi Vendola, anche se tiene
a premettere ed a precisare di tenere, prima di ogni cosa, all'Unità
d'Italia.
«Sbalorditive sono le dichiarazioni che
Vendola ha rilasciato, spinto chiaramente da interessi di potere - sostiene
Pankiewicz - Come si fa a dire che l'idea di Regione Salento è un'idea
leghista? Se così fosse, allora tutte le Regioni già esistenti sono
leghiste. Allora è leghista anche la nostra Costituzione, fondata sul
principio, dell'autonomia locale. Sono giuste le considerazioni che Vendola
fa sul Salento - chiarisce - ma conducono esattamente alla conclusione
opposta e cioè che è opportuna e necessaria la Regione Salento. Vendola che
è un raffinato uomo di cultura dovrebbe sapere che perfino nei musei
Vaticani, nella Galleria delle carte geografiche, situata nei pressi della
Cappella Sistina le due carte che raffigurano la Puglia sono quella
del Salento e quella della Capitanata» manda a dire a Vendola.
«Purtoppo questa volta il potente Niki da
Terlizzi, aspirante premier, è stato proprio deludente» conclude Pankiewicz.
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Lunedì 30 Agosto 2010 (di Domenico
BIANCO *) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Bisogno diffuso.
Decida il popolo
L'intervento dell'onorevole Lorenzo Ria,
pubblicato ieri su Quotidiano, in merito al dibattito sull'istituzione della
Regione Salento, desta non poche perplessità. Vogliamo dirlo nel modo più
pacato ma anche fermo: il Movimento Regione Salento invita Ria e tutti i
rappresentanti eletti a non contrastare un'iniziativa referendaria che parte
dal basso. Vanno rispettate e apprezzate tutte le opinioni nel merito della
proposta, ma per favore: la politica non prevarichi la legittima possibilità
del popolo di esprimersi e decidere su questioni così sentite. Insomma, giù
le mani dall'ipotesi di dare la parola ai cittadini. In un contesto, poi, in
cui i parlamentari vengono nominati e, non eletti, questo invito poi vale
doppio.
Nello specifico, nei contenuti del nostro
Movimento, c'è tanto dell'operato di Lorenzo Ria quale, presidente della
Provincia di Lecce. Se oggi riteniamo il Salento un valore aggiunto rispetto
alla Puglia, gran parte del merito è anche suo. Ma proprio il suo lavoro che
egli definisce lungo ed alacre nella direzione di un rilancio e di un
ritrovato fermento sociale di questo territorio sembrerebbe supportare
positivamente le ragioni della costituzione della nuova regione.
Oggi però, lo diciamo senza intenti polemici,
la spinta verso la Regione Salento, deriva anche da un vuoto da colmare
rispetto alla scarsa tutela del territorio operata dai nostri rappresentanti
in Parlamento. Forse proprio perché nominati e:non eletti. Ci permettiamo
quindi di sollecitare un maggiore impegno da parte della nostra deputazione
in Parlamento nel portare avanti le istanze del territorio, soprattutto per
quanto riguarda le infrastrutture ed i trasporti.
Infatti il progetto della istituzione della
Regione Salento nasce, oltre che per le forti motivazioni culturali, anche e
soprattutto per tutelare e difendere il nostro territorio su temi come l'
autostrada che si ferma a Bari, la stazione di testa a Bari, l'invasione dei
nostri campi con pannelli fotovoltaici e pale eoliche, - lo scempio per la
ferrovia nella Valle della Cupa, e per scongiurare che l'Alta velocità si
fermi a Bari, escludendo totalmente le province di Brindisi, Lecce e
Taranto.
E su questo, se proprio non vuole impegnarsi
per la Regione Salento, chiediamo a Ria (ma anche gli altri parlamentari) di
attivarsi, rivendicando maggiore attenzione da parte della regione Puglia e
del governo centrale, per questo territorio e una più equa ripartizione
delle risorse per evitare che si totalizzi quel 60-70 per cento di risorse
che la politica baricentrica della regione Puglia trattiene a Bari,
lasciando una parte residuale alle altre province.
Domenico BIANCO
* coordinatore provinciale Brindisi
Movimento Regione Salento
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Martedì 31 Agosto 2010 (di Luigi
MELICA) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Regione Salento: il
percorso corretto
La tesi che avevo espresso in un articolo sul
Quotidiano, secondo la quale la legge costituzionale istitutiva di una nuova
Regione può derogare l'iter previsto dall'articolo 132 della Costituzione,
criticata dall'onorevole Lorenzo Ria nell'intervento sul Quotidiano di
domenica ("Regione Salento, dieci motivi per dire no"), non discende dalla
storia costituzionale e, quindi, da una mia non precisa conoscenza delle
disposizioni transitorie della Costituzione, come sembrerebbe emergere dalle
affermazioni del deputato.
Essa scaturisce dall'applicazione delle
regole basilari che presiedono la teoria delle fonti, ovvero, dai rapporti
che intercorrono tra Costituzione e leggi costituzionali. È noto che in base
all'articolo 138 della Costituzione, la Costituzione può essere modificata
solo attraverso un procedimento aggravato che prevede un doppia
deliberazione di entrambe le Camere adottata a non meno di tre mesi l'una
dall'altra, richiedendosi, nella seconda deliberazione, la maggioranza
assoluta dei componenti le Camere. È anche noto che la creazione di nuove
Regioni si deve realizzare attraverso legge costituzionale, ossia attraverso
un procedimento formalmente uguale a quello previsto per modificare la Carta
(l'articolo 138, appunto).
È infine ancora più noto che non tutto il
testo della Costituzione possa modificarsi o derogarsi, in quanto esistono
limiti assolutamente insormontabili espressamente previsti (ad esempio il
divieto di modificare la forma repubblicana, articolo 139) e limiti
inespressi (quali i principi supremi della Costituzione contenuti nei suoi
primi 12 articoli). Ebbene, proprio a proposito dei limiti alla revisione
costituzionale, uno dei più illustri costituzionalisti contemporanei, il
compianto Livio Paladin, già Presidente della Corte costituzionale, nel suo
celebre manuale "Le fonti del diritto italiano", nel qualificare come una
"scappatoia" la tesi secondo la quale il legislatore potrebbe adottare una
legge costituzionale per eliminare il divieto di revisione della forma
repubblicana e poi, sempre attraverso legge costituzionale, reintrodurre la
monarchia, affermava testualmente: "A quella stregua, il limite derivante
dall'articolo 139 non vincolerebbe le leggi di revisione costituzionale più
di quanto importi l'art. 132, sul procedimento aggravato da seguire per la
fusione di Regioni esistenti o per la creazione di nuove Regioni:
procedimento che suole considerarsi modificabile nei singoli casi, derogando
alla disciplina costituzionale e poi rinnovando l'elenco delle Regioni
contenuto nell'articolo 131, appunto perché la Costituzione si guarda bene
dal precludere qualsivoglia revisione del procedimento stesso".
In altre parole, mentre è implicito che anche
con un doppio procedimento di revisione costituzionale non si possa tornare
alla monarchia, il procedimento previsto dall'articolo 132 è ovviamente
derogabile proprio perché si deve intervenire con legge costituzionale e
quindi seguire il procedimento previsto dall'articolo 138. Questa regola,
altro non rappresenta se non la differenza che più in generale esiste tra
abrogazione di una norma - anche costituzionale - e deroga della stessa a
vantaggio di un'ipotesi specifica, nonché l'applicazione della basilare
regola della successione delle leggi nel tempo aventi pari grado.
D'altra parte i presentatori del disegno di
legge costituzionale per la creazione della Regione Romagna - n. 642 del 10
maggio 2006 di iniziativa del deputato Raisi, nonché il ddl costituzionale
n. 176 presentato dall'onorevole Pini il 29 aprile 2008 - come accennavo nel
mio articolo apparso sul Quotidiano, si propongono di istituire tale Regione
ai sensi dell'articolo 132, ma derogandone l'iter, in quanto (probabilmente)
lo ritengono illegittimamente attuato dalla legge n. 352 del 1970 la quale
abilita al voto referendario anche i cittadini dell'Emilia e non solo quelli
della Romagna, così attribuendo ai primi un diritto di veto alla istituzione
della nuova Regione.
E se l'onorevole Ria avesse ancora dei dubbi,
può leggere l'articolo 1 del ddl Pini sopra citato che recita: "E' istituita
in deroga all' art .132 la Regione Romagna". Pini appartiene alla Lega Nord,
le cui idee solitamente contrastano con le mie, ma, ancora una volta, devo
ammettere che l'entourage leghista è molto preparato. All'amico Lorenzo Ria
queste precisazioni le avevo fornite verbalmente incontrandolo di recente,
ma, evidentemente, non è stato sufficiente.
Quindi, ribadisco, se per caso si decidesse
di presentare un disegno di legge costituzionale senza seguire I' iter
previsto dall'articolo 132, nulla osterebbe come già avevo scritto:
tuttavia, lo riterrei inopportuno in quanto si eviterebbe il pronunciamento
popolare. Il punto è proprio questo. Ma perché, mi chiedo, si vuole a tutti
costi impedire che il popolo salentino si pronunci attraverso un referendum
la cui natura è peraltro consultiva? Perché chi è contrario all'istituzione
della Regione Salento, come Ria, non si adopera per far indire il referendum
per poi far prevalere le ragioni del "no" attraverso la sua
straordinaria esperienza politica e vis oratoria? Sono peraltro convinto che
un argomento usato in un altro articolo apparso sempre sul Quotidiano da un
senatore, sempre dell'Udc, Totò Ruggeri, avente ad oggetto l'istituzione di
una macro-provincia in alternativa alla Regione Salento, ben potrebbe essere
esposto nella campagna referendaria in alternativa alla nuova Regione, e,
quindi, per un voto contrario alla sua istituzione. Ma ostracizzare a priori
un referendum, peraltro di natura consultiva, proprio non lo comprendo. Il
mio mestiere, però, è quello di professore e non di politico.
Luigi MELICA
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Mercoledì 1 Settembre 2010 |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Le cifre del Comitato promotore sulle
adesioni al progetto
«Da 120 sindaci il
primo sì al referendum»
Centoventi sindaci delle province di Lecce,
Brindisi e Taranto sono favorevoli al referendum per istituire in Puglia la
Regione Salento. E' quanto fa sapere il Movimento Regione Salento in un
comunicato. Il Movimento, presieduto dall'imprenditore leccese Paolo
Pagliaro e costituitosi lo scorso 5 Agosto, ha inviato a tutti i 146 comuni
delle tre province una proposta di ordine del giorno che chiede la
convocazione di un referendum tra le popolazioni interessate, così come
stabilito dall'articolo 132 della Costituzione. «Basterà che si pronuncino a
favore i consigli comunali che rappresentano almeno un terzo dei circa un
milione e ottocentomila abitanti delle tre province», ricorda Pagliaro.
«Finora a rispondere all'appello del
Movimento sono stati 131 sindaci, che si sono espressi pubblicamente
sull'argomento», è scritto in una nota del Comitato promotore.
«Nel dettaglio: 77 sindaci su 131 si sono
detti favorevoli al progetto di istituzione della Regione Salento, 29
sono possibilisti, ossia favorevoli ma con qualche riserva, 25 hanno detto
invece no alla nuova regione».
«Quattordici dei 25 sindaci che si sono
dichiarati contrari al progetto autonomista, si sono detti comunque
favorevoli alla richiesta di referendum», è scritto ancora nella nota del
Comitato promotore.
Intanto il consigliere regionale salentino
Antonio Buccoliero, presidente regionale del Movimento Moderati e Popolari
chiede a Vendola l'istituzione di un assessorato al Salento e maggiore
attenzione nei fatti per la relativa area geografica. Allo stesso tempo
contesta la presa di posizione che il presidente Vendola ha rivolto al
progetto di Regione Salento, accusando i promotori di leghismo.
«Appare alquanto anomalo che il presidente
Vendola, che ha fatto delle primarie e dell'espressione popolare il suo
massimo punto di forza, dimostri una forte riluttanza di fronte alla
possibilità di istituire una consultazione referendaria sulla costituzione
della Regione Salento. Il popolo e la sua sacrosanta volontà non vanno usati
ad intermittenza, a seconda del proprio personale interesse o piacere»,
evidenzia Buccoliero.
da
La Gazzetta del Mezzogiorno di Mercoledì 1 Settembre 2010 |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Il Movimento fa il punto della situazione
«Regione Salento,
120 Comuni chiedono di fare il referendum»
Regione Salento, aumenta il numero degli
amministratori che chiedono il referendum. In particolare, 120 sindaci delle
province di Lecce, Brindisi e Taranto vogliono il referendum sulla Regione
Salento, secondo quanto indica lo stesso Movimento Regione Salento.
Il Movimento, presieduto dall'imprenditore
Paolo Pagliaro e costituitosi lo scorso 5 agosto, ha inviato a tutti i 146
Comuni delle tre province una proposta di ordine del giorno che chiede la
convocazione di un referendum tra le popolazioni interessate, così come
stabilito dall'articolo 132 della Costituzione. «Basterà che si pronuncino a
favore i consigli comunali che rappresentano almeno un terzo dei circa un
milione e ottocentomila abitanti delle tre province» ricordano dal Comitato.
«Finora hanno risposto all'appello 131 sindaci, che si sono espressi
pubblicamente sull'argomento - precisano dal Comitato - Nel dettaglio, 77
sindaci si sono detti favorevoli al progetto di istituzione della Regione
Salento; 29 sono possibilisti, ossia favorevoli ma con qualche riserva; 25,
invece, hanno detto "no" alla nuova regione. Di questi ultimi, però, 14, pur
essendo contrari al progetto autonomista, si sono detti comunque favorevoli
alla richiesta di referendum». E' da ricordare che il primo Comune ad
approvare l'ordine del giorno è stato quello di Miggiano, nel corso del
consiglio comunale convocato ad hoc lo scorso 27 agosto.
Nel frattempo, Alfredo Codacci Pisanelli,
figlio del parlamentare che per primo pensò alla Regione Salento, invita a
rivolgersi all'onorevole Giulio Andreotti per sapere «perchè, nel 1946, è
stata depennata la Regione Salento ed è nata la Regione Puglia e che cosa è
successo durante i lavori della Costituente».
E proseguono le prese di posizione dei
politici. Tra gli altri, secondo Antonio Buccoliero, consigliere regionale
dei Moderati popolari «appare alquanto anomalo che il presidente della
Regione Puglia Vendola, il quale ha fatto delle primarie e dell'espressione
popolare il suo massimo punto di forza, dimostri una forte riluttanza di
fronte alla possibilità di istituire una consultazione referendaria sulla
costituzione della Regione Salento. Suona stonato come Vendola, il quale non
ha mai perso occasione di cavalcare l'onda riformista, forte di un appoggio
popolare, che gli ha consentito, in passato, di fronteggiare e sbaragliare
avversari della sua stessa parte politica, dimostri oggi un atteggiamento
chiaramente retrogrado e oscurantista di fronte alla possibilità, offerta ai
cittadini delle province di Lecce, Brindisi e Taranto, di esprimere il
proprio parere sulla possibilità di costituire una Regione Salento. Che
quest'opportunità vada a cozzare con gli interessi del Governatore e di una
sua crescita politica su scala nazionale? - si chiede Buccoliero - O egli
ritiene, forse, che i salentini abbiano l'anello al naso e non siano in
grado di esprimere una volontà, che guardi al loro futuro e a quello dei
loro figli?».
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Giovedì 2 Settembre 2010 (di
Fernando SAMMARCO) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Radici e ragioni
sono nella storia
Marco Vipsanio Agrippa, gran generale e fine
stratega di Ottaviano, nel redigere la cartografia dell'Italia augustea
elencò la nostra terra come "Regio II (Regio secunda) Apulia et Calabria",
subito dopo la "Regio I - Latium et Campania" e prima della "Regio III -
Lucania et Bruttii" (oggi Basilicata e Calabria).
Le macroregioni romane servirono ad uno
strutturato dimensionamento del territorio per un maggiore controllo
attraverso una fitta rete di municipia.
Si potrebbe osservare, che, storicamente, non
fu operato, in quel tempo, un radicale stravolgimento degli assetti
territorialistici che avevano, in gran parte, determinato l'intera
geopolitica dell'Italia preromana, tenendo conto che le aree conglobate
erano appartenute a federazioni tribali che ne detenevano il possesso da
qualche secolo.
Le origini storiche della nostra parte di
regione, il Salento, sono, nel periodo antico, accomunate con quelle della
Puglia centrale e settentrionale per le comuni radici dovute a rimpasti
etnici di autoctoni con le popolazioni illiriche che sopraggiunsero in
questi luoghi sin dal X secolo a. C.
Il Salento fu indubbiamente caratterizzato da
una maggiore acculturazione di tipo ellenistico per i suoi più intensi
contatti con il mondo greco e magno-greco, ma, a parte le spoliazioni e le
deportazioni di massa del periodo romano, il territorio non fu mai
scorporato da quella che una volta era chiamata Japudìa (terra degli Japudi
o Jàpígi). Vi furono federazioni diverse ma coese, almeno fino all'avvento
di Roma. Nell'alto medioevo, si verificò una vera divisione territoriale,
sia dal profilo geografico, sia da quello culturale, politico e linguistico.
La Marca Longobardorum , che nella sua fase più ampia, tagliò fuori dalla
propria giurisdizione il Salento, che rimase sotto il dominio bizantino
pressoché fino al Mille, segnò l'irreversibile differenziazione dei due
territori.
L'idioma apulo fu forgiato con elementi
linguistici apportati dai nuovi conquistatori e il Sallentino, invece,
continuò nella sua espressione mista di messapico, latino e greco. Era nata,
di fatto, una nuova regione, anche se il cosiddetto Limitone dei Greci
(l'ultimo possedimento bizantino nel Salento) ne restrinse la sua stessa
territorialità. L'istituzione della Terra d'Otranto, quale sub-regione
storico-geografica della Puglia, nonché un'antica circoscrizione del Regno
di Sicilia, prima, e del Regno di Napoli, poi, costituita in giustizierato e
divenuta, in seguito, provincia del Regno delle due Sicilie, ne legittimò,
in un certo senso, le sue peculiari origini. Le iniziative di questi ultimi
anni per una giusta riappropriazione dell'identità culturale e politica di
quello che è orami riconosciuto da tutti come Grande Salento sono note a
tutti, anche se non hanno raggiunto il risultato sperato.
Adesso, però, si fa sentire più che mai, il
bisogno di autodeterminazione di un intero popolo salentino che rivendica
un'autonomia politica, culturale ed amministrativa. Il percorso non sarà
facile: si tratterà di compattare le varie voci e le diverse esigenze
territoriali delle tre provincie, ma un felice esito potrà arridere a coloro
che lo intraprenderanno. Arthas il Grande, dynastes di tutta la Sallentina,
ne indicò la via a tutte le fratrie messapiche 24 secoli fa. Onoreremmo il
suo ricordo a fare altrettanto. Salento Unito, quindi, all'insegna di una
nuova consapevolezza che non si riveli unicamente un nuovo "arrondissement"
asetticamente costituito, ma una nuova terra che miri a grandi traguardi.
Qualcuno ha scritto che, così facendo,
potrebbe spuntare all'orizzonte un ulteriore isolamento. Niente di più
improbabile, se la nascente Regione Salento si ponesse al centro di
un'illuminata politica etnico-culturale, che potrebbe essere foriera di
grandi traguardi mediante interessanti contatti, convegni e stimolanti
confronti con le altre realtà territoriali transfrontaliere. Immaginate il
Salento non come terra di confine dell'Europa ma come fulcro d'irradiazione
della cultura europea nel Mediterraneo. È pur vero che molto c'è da fare,
per lo più nell'ampio raggio della visibilità aziendale. La necessità di un
nuovo marchio unitario che rappresenti l'intera penisola salentina è una
questione che di recente ha avuto un notevole disaccordo, non propriamente
fra i suoi abitanti, quanto fra i manager delle piccole e medie industrie
delle nostre zone che hanno voluto fare un distinguo dei vari prodotti
commerciali, secondo l'area di provenienza. Alla Bit di Milano sono sorti
non pochi dubbi.
L'eccellente iniziativa di tre presidenti
provinciali che qualche anno fa portò al varo l'intesa che aveva per scopo
quello di valorizzare un'idea molto più ampia dal nome Grande Salento aveva
avuto il pregio di unificare le istanze delle tre territorialità della
penisola salentina. Fino a quel punto sembrava che i proponimenti, stabiliti
univocamente, marciassero verso il giusto cammino fin quando a qualcuno, sia
esso brindisino o tarantino, non è sorto il dubbio che una tale visione,
imposta un po' dall'alto della rappresentatività politica, non avesse
nuociuto alla visibilità delle provincie del nord del Salento, offuscate
dall'ormai universalmente riconosciuta "Salentodamare". Era quindi
necessario correggere il tiro e presentare simboli e loghi che
evidenziassero una diversa vocazione dell'offerta aziendale. Nascevano,
quindi, la tarantina "Terra Jonica" e, poco dopo, la brindisina "Filia Solis"
(Figlia del sole), come se il resto della bellissima penisola non fosse
baciata parimenti dallo stesso sole.
Il pasticcio è questo: ognuno vuole tirare
acqua al proprio mulino. Se tutti noi amiamo l'idea del Grande Salento,
dobbiamo allora favorire l'unificazione dei marchi e dare all'esterno
l'impressione di unità territoriale. Sarebbe una buona partenza per una più
solida configurazione di una nascente Regione Salento. Il tranello in cui
quasi tutti cadiamo è che siamo portati a considerare il Salento solo la
Provincia di Lecce e non l'insieme delle tre. Il Salento è unico
geograficamente, storicamente e linguisticamente. Ed anche se l'idioma
tarantino fa pensare a diversi natali, bisogna considerare che la Taras
spartana fu, poi, salda alleata dei Messapi nelle guerre contro Annibale e
la stessa Roma, dimostrando un alto valore di lealtà e condivisione.
Fernando SAMMARCO
da
La Gazzetta del Mezzogiorno di Giovedì 2 Settembre 2010 |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Adriana Poli Bortone:
«Regione Salento, sì al referendum»
«La Regione Salento? Una strada da
percorrere. E il referendum è la forma massima di democrazia partecipata».
A scendere in campo è la presidente nazionale
di Io Sud, Adriana Poli Bortone, la quale si dice dunque favorevole a
percorrere la strada della Regione Salento, «che non intacca minimamente
l'unità d'Italia e continua a sviluppare, nella forma delineata dal
professor Melica, quel progetto di Grande Salento nel quale abbiamo creduto
allorchè i tre sindaci di Lecce, Brindisi e Taranto si misero insieme per
avviare iniziative comuni».
La senatrice Poli Bortone è promotrice, con
il gruppo di Io Sud, di un ordine del giorno a Palazzo Carafa proprio sulla
Regione Salento.
«Questo tema - aggiunge - è indubbiamente
attuale e lo è ridiventato in seguito all'attuazione del federalismo.
L'esaltazione delle autonome identità locali è un tema a cui nessuno può
sottrarsi o farne una questione di appartenenza, di schieramenti o di
posizione preconcette. Oltretutto - continua - la forma referendaria,
soprattutto in termini di referendum propositivo, è la forma di
consultazione più democratica che si possa immaginare, per cui saranno i
pugliesi a decidere autonomamente senza nessun tipo di imposizione
dall'alto».
A intervenire è anche il movimento Regione
Salento. «Ben venga l'adesione delle forze politiche - viene sottolineato -
che condividono lo spirito del movimento Regione Salento, che vuole essere
trasversale, equidistante ed indipendente dai partiti e che, più di tutto,
ambisce a rappresentare il volere dei cittadini». Si ritiene, però, che «a
promuovere e sostenere le iniziative proprie del Movimento sia il comitato
referendario che, in coerenza alle previsioni costituzionali e alla
normativa vigente, possa essere utile e prodromico alla costituzione della
Regione Salento, evitando che la politica dei veti incrociati possa in
qualche modo impedire l'indizione del referendum».
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Sabato 4 Settembre 2010 (di
Roberto TUNDO *) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
E' giusto avvicinare
l'ente al territorio
Alla fine degli anni Sessanta, quando furono
istituite le Regioni, il Movimento sociale italiano condusse una dura
campagna politica contro la paventata frammentazione dello Stato. A parere
del Msi, le Regioni avrebbero allontanato il cittadino da Roma e, anziché
agevolare la partecipazione, si sarebbero frapposte fra lo Stato e la
comunità.
Inoltre, sostenevano i missini, le Regioni si
sarebbero trasformate in apparati burocratici che sarebbero vissuti con il
fine dell'autoconservazione, piuttosto che per lo sviluppo del territorio.
Anche se sintetizzata in poche righe, quella
posizione del Msi rispecchia ancora oggi una faccia della realtà delle
Regioni italiane, specie quelle del Meridione, realtà a cui non sfugge la
Puglia. Parlare male della burocrazia regionale pugliese è fin troppo
facile, anche se si è consapevoli che, generalizzando, non si rende
giustizia a quanti - non sono pochi, ma nemmeno tanti - si dedicano al
proprio lavoro con senso di responsabilità. L'apparato di via Capruzzi con i
lunghi tempi di attesa, con le alchimie tecnico-amministrative ha ormai
soffocato l'esperienza di una unica Regione per quattro milioni di abitanti.
Più di quattrocento chilometri di distanza, fra andata e ritorno, separano
gli amministratori ed i cittadini di un paese del Sud-Salento da Bari e
spesso "andare a Bari" è il modo più veloce per risolvere un problema del
proprio territorio.
Il colloquio con un funzionario regionale,
infatti, si rivela ancora come il mezzo più idoneo per superare quegli
ostacoli burocratici che a volte sembrano creati apposta per aumentare le
difficoltà e per rendere incomprensibili i propri diritti. La soluzione a
tanti problemi difficilmente potrebbe venire dalla semplice modernizzazione
della Regione Puglia: testi unici, delegiferazione, snellimento delle
procedure burocratiche sono obiettivi perseguibili che migliorerebbero la
qualità della Pubblica amministrazione, ma non risolverebbero la complessità
dei problemi che sono strutturali alla diversificazione delle "Puglie".
Negli atti della Regione Puglia spesso si fa
riferimento ad aree geografiche distinte; il flusso dei finanziamenti della
Comunità Europea, a partire dai Programmi Operativi Plurifondo, è stato
indirizzato verso le tre aree: Capitanata, Barese e Jonico-Salentina. Lo
stesso, solo per continuare a fare qualche esempio, fu fatto per la
individuazione del Sistema idrico integrato. Ne discende che una struttura
più snella, più vicina al territorio saprebbe rispondere meglio alle
esigenze e ai bisogni dei cittadini.
Oggi che al centro dell'agenda politica c'è
l'attuazione del federalismo, che si manifesta in un ampliamento dei poteri
e delle funzioni degli Enti locali, Regioni in primis, non è inopportuno
riscoprire le ragioni storiche, politiche e culturali che rendono attuale la
nascita della Regione Salento. L'antica provincia di Terra d'Otranto
comprendeva i territori di Lecce, Brindisi e Taranto: la stessa area
territoriale indicata per l'istituzione della Regione Salento; una Regione
che non dovrebbe nascere ex novo, ma che trarrebbe forza da una certa
continuità storico territoriale.
La "grande provincia" di Terra d'Otranto, con
Lecce capoluogo, fu scomposta durante il periodo fascista, che istituì nel
1923 e nel 1927 le province di Taranto prima e di Brindisi, dopo. Ma non si
tratta solo di riprendere i confini che appartenevano alla nostra terra fin
dal Regno delle Due Sicilie. C'è anche una identità politica che fino a
venti anni fa si manifestava, per l'elezione dei deputati, nella
circoscrizione di Lecce-Brindisi-Taranto.
C'è, infine, una salentinità culturale che,
secondo Donato Valli, «è il complesso di tutte quelle attività in cui si
manifesta in maniera originale e tipica il modo di essere, di pensare, di
vivere di quella parte della Puglia che coincide con l'antica Terra
d'Otranto».
Roberto TUNDO
* coordinamento regionale
del Popolo della Libertà
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Domenica 5 Settembre 2010 (di
Paolo PAGLIARO) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Sentimento popolare
Sono trascorsi poco più di due mesi da quando
Quotidiano ospitò un mio intervento dal titolo "Giusto puntare sulla Regione
del Salento". Eppure sembra che siano passati 20 anni per come il dibattito
è andato avanti, raccogliendo l'adesione di tanti cittadini e interessando
larghi strati della pubblica opinione.
Un dibattito che ha colto la centralità del
problema di una "questione salentina". La salentinità non può continuare ad
essere solo un sentimento forte, ma si deve tradurre in qualcosa di
concreto, serio e sentito. Ci siamo arrivati in maniera graduale. Ma
soprattutto, ci tengo a dirlo, non ci sono arrivato da solo. Le
sollecitazioni sono arrivate dalla gente, a più riprese. Migliaia di persone
di ogni tipo e colore politico, con in prima fila centinaia di colleghi
imprenditori, che credono nel sogno di un risveglio delle coscienze. Un
risveglio che consiste nella partecipazione, nell'inforcare in prima persona
gli strumenti da lavoro e battere il ferro per plasmarlo, rovesciando i
tanti tavoli convocati per scaldare sedie, senza mai scaldare i cuori.
A mia memoria, non ricordo una fase di
dibattito così sentita e disinteressata. Ai nostri interventi ne sono
seguiti tanti altri, da parte di opinionisti ed esponenti del mondo
politico. Fra favorevoli e contrari, con tutti i distinguo e i diversi
accenti posti, un dato è positivo ed inequivocabile: il movimento e l'idea
dimostrano una certificata trasversalità e distanza da interessi politici.
Perché si tratta di un'inedita trasversalità anche interna agli stessi
partiti. Per noi questo è un grande risultato. Perché certifica che la
questione è forte e sentita.
Non ci sentiamo affatto soli, perché
coinvolgeremo i cittadini in questa battaglia. A fare resistenza ci sono
alcune posizioni consolidate sia sotto il profilo economico che sotto il
profilo politico. È dunque il momento di rispondere a qualche
considerazione.
1) I promotori dell'iniziativa hanno
ambizioni personali, vogliono farsi "pubblicità". Se avessimo
ambizioni personali, se volessimo farci pubblicità, come se fossimo un
prodotto in vendita, potremmo seguire mille altre strade. Sarebbero tutte
meno impervie. Chi ci conosce bene, chi ci è amico, ci dice: "Chi ve lo fa
fare? Vi mettete contro tanti poteri forti". Abbiamo ricevuto troppi
stimoli, e questi stimoli, per la prima volta, ci hanno acceso un'emozione
forte. Dal punto di vista personale, non abbiamo davvero nulla da
guadagnare. Abbiamo scoperto, giorno dopo giorno, che esiste un nuovo modo
di essere felici: sognare ad occhi aperti un futuro migliore, combattere per
ciò che si ama e in cui si crede. Dunque, un invito: via i pregiudizi sulle
persone, i retropensieri, le dietrologie. Parliamo del merito e del metodo
della proposta.
2) "Regione Salento, idea leghista".
Non ci appartiene dal punto di vista del linguaggio nessun "ismo". Abbiamo
sposato un approccio pacato e razionale. Non condividiamo l'approccio
politico della Lega Nord: siamo orgogliosamente italiani, conosciamo ed
apprezziamo il nostro inno nazionale, Roma è la nostra Capitale. Siamo per
l'unità nazionale. Non ci appartiene la cultura della secessione. Anzi,
vogliamo costruire un dialogo più forte e diretto col Governo e con
l'Europa. Ma soprattutto non riteniamo che altri territori rappresentino una
zavorra per lo sviluppo complessivo del Paese. Seguendo lo schema di questo
attacco demagogico, ogni Regione sarebbe, per definizione, leghista. I muri,
le barriere, sono strumenti che stanno alzando i conservatori, non certo
noi. Perché il loro intento è diverso: vogliono l'autoconservazione della
casta.
3) La Regione Salento è "superata dagli
eventi". Per noi il tema è attuale perché la prospettiva di sviluppo
degli ultimi decenni non ha fornito al territorio le infrastrutture per
fruire delle opportunità che il Mediterraneo e l'est Europa offrono. E
dunque se la nostra proposta è "vecchia", la politica degli ultimi quarant'anni
è inerte, immobile, paradossale, priva di orgoglio, a-prospettica. Se gli
investimenti dedicati al porto di Bari, all'aeroporto di Bari e alla rete
viaria e ferroviaria di Bari fossero stati equamente distribuiti nel resto
delle Puglie oggi il tema non si porrebbe. L'Alta Velocità ferroviaria si
fermerà a Bari. Non esiste una strada degna di questo nome che colleghi
Lecce a Taranto. E potrei continuare all'infinito. La Regione Salento è
dunque visione del futuro ed al tempo stesso elemento di rivendicazione.
4) Meglio una "macro-provincia" o una
"provincia autonoma". Per noi la provincia autonoma sarebbe una
soluzione insufficiente. Anche qualora dovesse essere realizzabile. Perché a
questa obiezione bisogna innanzitutto rispondere ricordando che una
provincia autonoma necessita a monte di una Regione a Statuto Speciale.
Argomento complessivamente superato dal federalismo. Sono (e presto lo
saranno ancor di più) le Regioni ad avere poteri e risorse. La Regione
Salento è l'unica risposta efficiente e coraggiosa per colmare il nostro
gap. Del resto lo scarso potere delle Province costituisce il motivo degli
esigui risultati conseguiti dal cosiddetto Grande Salento. E questo dato ad
aver spinto i presidenti Gabellone, Ferrarese e Florido a sostenere questa
battaglia.
5) Con la Regione Salento
aumenterebbero i costi della politica. Siamo fermamente convinti che
una Regione che nasca in questo particolare momento storico, avrà, a
differenza di quelle nate nel contesto degli anni '70, un modello gestionale
della spesa corrente virtuoso, a partire dal suo Statuto. Un modello che, se
ben gestito, sarà probabilmente preso a modello da altre regioni d'Italia.
Il contenimento della spesa e la riduzione deglie sprechi saranno nel dna
della Regione Salento. È lontana anni luce dalle nostre intenzioni l'idea di
dar vita ad un "carrozzone amministrativo". Vogliamo piuttosto un ente
efficiente e responsabile, prossimo al cittadino geograficamente e
politicamente. Chi conosce questo territorio, solo per fare un esempio,
avrebbe mai autorizzato interminabili (oscene) distese di pannelli
fotovoltaici e pale eoliche nelle nostre campagne? Ad incidere in maniera
determinante (per circa il 50%) sugli stipendi dei consiglieri
regionali salentini sono le trasferte a Bari. Così come questi costi
incidono per le trasferte di funzionari, dirigenti e dipendenti. Per non
parlare dei costi indiretti che i cittadini e gli amministratori locali del
Salento sono costretti ad affrontare per recarsi a Bari al fine di
perfezionare i più svariati iter amministrativi.
6) La "Regione Salento" sarebbe
piccola. In realtà, conti alla mano, sarebbe l'undicesima regione
d'Italia su ventuno per numero di abitanti, 1.800.000, ovvero più di
Sardegna, Liguria, Marche, Abruzzo. Friuli, Trentino, Umbria, Basilicata,
Molise, Valle d'Aosta. Ma colgo l'occasione per rispondere anche a chi dice
che il nostro sarebbe un Movimento "di pochi": li invito a visitare il sito
"regionesalento.eu" per a contezza della quantità e della qualità delle
adesioni.
7) La scelta del capoluogo creerà
frizioni. Io penso che sarà il buonsenso a determinare la scelta. Ho
delle idee su questo punto ma ci sono mille ragioni per rimadare questa
discussione a dopo il raggiungimento del più importante e prioritario
obiettivo che è la istituzione della nuova Regione. Potrebbe essere questa
una difficoltà. Ci potrebbero essere altre difficotà. D'accordo. Ma davanti
alle difficoltà non ci si devi mare. Non vi è progresso senza sacrificio.
8) La Regione Salento "non si può fare
". Credo che sia necessario superare l'indifferenza, l'apatia, quel
"nonsipuotismo", quella convinzione che non si può fare, che ha spesso
nuociuto alla crescita del nostro territorio e ne ha impedito il progresso.
Serve un grande impegno, un mix di fosforo e olio di gomito. Con queste
premesse i risultati, anche quelli più ambiziosi e tortuosi, si ottengono.
Il Movimento Regione Salento - Comitato
Promotore del Referendum per il Sì, che vuole essere trasversale,
equidistante ed indipendente dai partiti, ambisce a rappresentare il volere
dei cittadini. Saranno loro a decidere, ed i nostri pareri servono solo ad
alimentare il dibattito. Il referendum è il più alto elemento della
democrazia italiana. Rileggiamo l'articolo 132, titolo V, della
Costituzione. Chi non lo vuole è anti-democratico, e vuole attuare la vera
secessione: quella fra potenti e semplici cittadini. I sindaci hanno
dimostrato questa grande sensibilità, e la quasi totalità dei 146 Sindaci
dei Comuni del leccese, del brindisino e del tarantino si sono espressi a
favore del referendum. Ed anche i leader pugliesi degli schieramenti, che
hanno partecipato al dibattito, sono certo che vorranno affidare ai
cittadini l'ultima parola. Senza veti. E senza paura.
Paolo PAGLIARO
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Lunedì 6 Settembre 2010 (di Luigi
MELICA) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
La tesi di Ria
smentita dai fatti
Solo poche righe per mettere fine, si spera,
ad uno scambio di opinioni di respiro giuridico-costituzionale tra me e
l'onorevole Lorenzo Ria. Ricordo ai lettori che si fossero persi le
precedenti "puntate" che il deputato Ria, in un lungo intervento su
Quotidiano, nel rimarcare le ragioni del "no" alla Regione Salento, ha
contestato anche la correttezza del percorso individuato.
Ha affermato, cioè, che una legge
costituzionale che istituisse la Regione Salento senza rispettare l'iter
previsto dall'articolo 132 della Costituzione (e quindi, la richiesta di
referendum, l'indizione dello stesso, ecc.) sarebbe contraria allo stesso
testo costituzionale. Da ciò ne trae che il mio plauso al movimento
referendario per non aver chiesto ai parlamentari salentini di presentare
una proposta in tal senso, tentando, invece, la più complessa via
referendaria, sarebbe giuridicamente immotivato.
In un successivo articolo, sempre sul
Quotidiano di Puglia, avevo cercato di far comprendere a Lorenzo Ria che la
disciplina sui rapporti tra fonti del diritto non dice questo, citando
- senza che ve ne fosse bisogno - anche un'illustre dottrina (Livio Paladin).
Ma, evidentemente, non è servito. Lo stesso deputato, nuovamente intervenuto
sulle colonne del giornale, venerdì scorso, ha reiterato il suo giudizio
circa l'erroneità della mia tesi, sostenendo che i progetti di legge
costituzionale pendenti alla Camera e volti ad istituire la Regione Romagna
(che io avevo citato come esempio) saranno sicuramente dichiarati
inammissibili in quanto lesivi dell'articolo 132; i loro presentatori,
infatti, avrebbero dovuto modificare tramite revisione costituzionale lo
stesso articolo 132 prima di istituire la nuova Regione. A parere del
deputato Ria, dunque, la Costituzione non può essere derogata da una legge
costituzionale, ragion per cui, lo stesso parlamentare, afferma, forte delle
"sue reminiscenze di semplice operatore del diritto" che le mie
argomentazioni rileverebbero "un'anomalia notevole nell'interpretazione del
dettato costituzionale". Fulcro di questa sua granitica convinzione è
l'affermazione — riporto testualmente — secondo la quale "(...) una proposta
di legge costituzionale in deroga alla Costituzione non può essere presa a
base di un ragionamento logico giuridico".
Non se la prende, l'onorevole Ria, se nel
replicare a quanto di cui sopra, mi limito ad osservare che le sue
reminiscenze giuridiche saranno solide in altre branche del diritto ma sono
alquanto labili nel diritto costituzionale. Senza dilungarmi, anche per non
tediare ulteriormente i lettori, ricordo che sono almeno 11 le leggi
costituzionali emanate dal Parlamento che contengono deroghe al dettato
costituzionale e molte di queste hanno portata ben più significativa
rispetto al procedimento regolato per la creazione di nuove Regioni. Sono
ovviamente disponibile - quando la sua attività parlamentare glielo
consentirà - ad incontrare l'onorevole Ria e a mostrargliele tutte, una per
una.
Sulle ulteriori questioni che Ria solleva,
preferisco rinviare ad un eventuale incontro la spiegazione su come
intendiamo tecnicamente procedere. Per evitare di annoiare i lettori e,
soprattutto, per lasciare spazio agli interessantissimi contributi sul Sì e
sul No alla Regione Salento che questo giornale ospita quotidianamente: una
discussione, questa, che se in piccolissima parte possa essere stata
alimentata anche dal mio contribuito, mi riempierebbe di gioia tenuto conto
del contesto politico degli ultimi tempi, così povero di contenuti.
Un'ultima notazione per i lettori dell'ultima ora: "ad iniziare, non sono
certo stato io".
Luigi MELICA
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Mercoledì 8 Settembre 2010 (di
Alessandro CANDIDO) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
La consultazione
popolare è un'opportunità
L'iter che la Costituzione prevede per
costituire una nuova Regione è contenuto nell'articolo 132, comma 1, cui
si aggiunge la legge attuativa numero 352 del 1970, che considero per
molti aspetti (ne parlerò più avanti) di dubbia costituzionalità.
Quest'ultima ha disciplinato le fasi
procedimentali del deposito della richiesta, dell'accertamento della
legittimità dell'iniziativa, di indizione e svolgimento del referendum,
della successiva iniziativa legislativa governativa e della
promulgazione della legge costituzionale che dispone la variazione
territoriale.
A scanso di equivoci, ricordo sin da
subito che ad oggi non c'è stato alcun procedimento teso a creare una
nuova Regione seguendo il dettato dell'articolo 132, comma 1. Tale norma
non ha trovato applicazione nemmeno per la Regione Molise, che si è
formata tramite distacco dagli Abruzzi nel 1963, dato che in quel caso è
stata utilizzata una diversa procedura, consentita - entro certi
termini, oramai trascorsi - dall'XI disposizione transitoria e finale
della Costituzione.
In alternativa alla procedura prevista
dall'articolo 132, si potrebbe dar vita alla Regione Salento anche
attraverso un'apposita legge costituzionale che deroghi espressamente
alla norma in commento (è quello che si è tentato di fare proponendo
l'istituzione della Regione Romagna). Su questo aspetto, che non è il
caso di riprendere ulteriormente, si è recentemente soffermato il
professor Luigi Melica, replicando giustamente ad alcune osservazioni
svolte dall'onorevole Lorenzo Ria.
Ma torniamo all'articolo 132, dove emerge
che per costituire una nuova Regione occorre seguire un iter di tipo
aggravato, che si caratterizza per la coesistenza di diversi
presupposti: anzitutto è necessaria una legge costituzionale, vale a
dire una particolare legge approvata sì dal Parlamento, ma attraverso
una procedura più complessa rispetto a quella richiesta per le leggi
ordinarie. Difatti, quando viene in rilievo una legge costituzionale,
servono due deliberazioni di entrambe le Camere e la seconda votazione
deve concludersi con almeno la maggioranza assoluta. Con riguardo alla
creazione di nuove Regioni, il requisito richiesto in seconda
deliberazione è stato elevato (dall'articolo 46 della legge- n. 352 del
1970) addirittura ai 2/3 dei componenti ciascuna Camera, previsione
questa a mio parere incostituzionale.
In secondo luogo, la norma in esame
stabilisce che la costituenda Regione debba essere composta da almeno un
milione di abitanti e, da questo punto di vista, non vi sarebbe alcun
ostacolo, dato che il Grande Salento vanta un milione e ottocentomila
abitanti, dunque ben più di tante altre Regioni italiane. In dottrina si
discute poi se il limite minimo del milione di abitanti imposto per la
nuova Regione debba applicarsi anche a quella che subisce la
decurtazione territoriale: ma, anche in questo caso, non sussisterebbe
alcun tipo di problema, dato che le Province di Bari e Foggia
conterebbero assieme quasi due milioni e trecentomila abitanti.
Ulteriore requisito richiesto dalla
Costituzione è dato dalla necessità della delibera di tanti Consigli
comunali che rappresentino almeno un terzo della popolazione complessiva
compresa nel territorio coinvolto. Allo stato attuale, il Comitato
promotore per il sì al referendum ha avanzato ai 146 Comuni delle
Province di Lecce, Brindisi e Taranto la richiesta di mettere all'ordine
del giorno la mozione volta a indire il referendum consultivo tra le
popolazioni interessate al progetto di nuova Regione. Ed è questo lo
stadio in cui ci troviamo oggi.
Dopodiché, nel caso in cui il predetto
requisito sia soddisfatto, la proposta dovrà essere approvata con
referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse. E qui verrà in
rilievo un problema non di poco conto, su cui è opportuno spendere due
parole: leggendo l'articolo 44 della legge n. 352 del 1970, sembra che,
con riferimento all'ipotesi della creazione di una nuova Regione, il
referendum non debba essere limitato soltanto alle popolazioni
direttamente interessate alla variazione territoriale (per intenderci, i
territori di Lecce, Brindisi e Taranto), ma debba invece essere esteso
all'intero territorio regionale (dunque, anche ai territori di Bari e
Foggia). Anche questa, per la verità, è una previsione che mi pare di
più che dubbia legittimità costituzionale, poiché frustra in modo
eccessivo il diritto di autodeterminazione delle autonomie locali
coinvolte nel procedimento in questione.
Tra l'altro, occorre segnalare
un'importante pronuncia della Corte costituzionale (la sentenza numero
334 del 2004), anche se riguardante l'ipotesi del distacco di un Comune
dal territorio regionale: in quel caso, il giudice delle leggi ha
affermato la necessità di coinvolgere nel referendum soltanto la
popolazione interessata al distacco, l'unica dotata di «legittimazione a
promuovere la consultazione referendaria». Stando così le cose, lo
stesso tipo di interpretazione dovrebbe valere per il caso della
creazione di una nuova Regione.
Resta da fare un'ultima considerazione:
alcuni si sono a priori schierati contro l'eventualità di dar vita alla
Regione Salento. A me sembra che, più che i politici favorevoli o
contrari, sia necessario sentire il parere delle popolazioni interessate
ed è soltanto un bene, non importa se pro o contro, che il corpo
elettorale possa avvalersi di quel formidabile strumento di democrazia
diretta che è il referendum. È questa, a prescindere dall'esito
referendario, un'opportunità da non sprecare.
Alessandro CANDIDO
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Giovedì 9 Settembre 2010 (di
Giovanni PESCE) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
La nostra terra
sarebbe diversa se autogovernata
Le ragioni per il "sì" al referendum e
per il conseguente processo di creazione della Regione Salento vanno
vagliate anzitutto partendo da dati storici, ancor prima che politici.
Porre la questione nel 2010 sembrerebbe un vezzo di alcuni, ma così non
è. Da una parte, va ricordato che il Salento ha fatto parte per secoli
della circoscrizione denominata Terra d'Otranto, e che è nel linguaggio
comune il riferimento alla "penisola salentina" come luogo geografico
distinto dal resto della Puglia.
Dall'altra, non può essere dimenticato
(ed immagino che tutti ne siano qui consapevoli) che l'Assemblea
costituente nel 1947 stava per votare(si veda Codacci Pisanelli) la
creazione della Regione Salento, oltre che della Regione Puglia (nel
testo definitivo dell'articolo 22 proposto dalla commissione). È inutile
dire che l'opposizione venne da Bari, ed è vano sostenere il contrario.
Anche qui, la storia insegna. Ancora prima dell'Assemblea costituente, e
cioè durante il fascismo, fu Araldo di Crollalanza a boicottare i Comuni
salentini che avevano presentato una petizione in tal senso.
Nel 1947/48, un più ampio accordo tra la
Dc ed il Pci (i cui termini non sono ben noti, ma al quale certamente
non fu estraneo Moro) antepose gli interessi baresi a quelli salentini.
E così si mise per decenni la parole fine al progetto regionale
salentino, che neppure ebbe esito -per un soffio - allorquando, e siamo
nel 1970, venne data attuazione al sistema regionale previsto dalla
Costituzione.
La parola d'ordine fu quindi: nessuna
autonomia al Salento. Ma non per questo l'idea venne meno, come
dimostrano le altre iniziative messe in capo da allora sino ad oggi. E
se un'idea non si abbandona vuol dire che essa, è radicata nella
comunità che la ripropone, con tenacia, come attestano oggi i promotori
del referendum, e perciò va sostenuta posto che non è né antistorica né
contraria ai nostri interessi.
E qui mi limito a porre una domanda: se
fosse stata creata la Regione Salento si sarebbe dato il via libera a
progetti scellerati di devastazione territoriale ed ambientale, oltre
che forieri di danno alla salute, come il petrolchimico di Brindisi o l'Italsider
di Taranto i cui problemi oggi devono però essere risolti in sede
locale? E inoltre: se è vero (e lo è) che si sente il bisogno di una più
chiara individuazione della responsabilità politica di certe scelte,
allora la scelta della delimitazione territoriale facilita certamente
tale (democratico) momento, e ciò per evitare il facile scaricabarile
cui in Italia siamo abituati.
Ma altre ragioni possono essere elencate.
La "cecità federale" dell'ordinamento europeo, per effetto della quale,
l'Europa vedeva gli Stati, ma non le articolazioni territoriali
enucleantisi al loro interno, può essere superata definitivamente solo
dando voce alle entità sub-statali, garantendone la partecipazione ai
processi comunitari di decisione e la tutela giurisdizionale per la
lesione delle competenze (con correlativa assunzione di responsabilità).
Non a caso, il Trattato di Maastricht
prevede:
1) l'introduzione del principio dì
sussidiarietà (articolo A, comma 2 - articolo 1, comma 2, del testo
consolidato -, che prefigura "la creazione di un'Unione sempre più
stretta dei popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese il più
vicino possibile ai cittadini");
2) l'istituzio ne del Comitato delle
Regioni, di cui sono chiamati a far parte "i rappresentanti delle
collettività regionali e locali";
3) l'apertura del Consiglio dei Ministri
ad esponenti delle entità sub-statali.
Sicché, anche dando credito alle versione
più moderate del dibattito sulle sorti dell'Europa, non v'è dubbio che
se le Regioni diventeranno il terzo piano dell'architettura comunitaria,
a maggior ragione si impone una scelta nel senso voluto dai promotori
della Regione Salento.
Le norme comunitarie, del resto, incidono
profondamente sull'autonomia regionale, condizionandone il modo di
esercizio o determinandone la dimensione, e l'unico rimedio per tutelare
una data comunità territoriale è la partecipazione alla cosiddetta "fase
ascendente" del processo di integrazione europea.
L'adesione ad un ambizioso progetto
politico - per definizione utopico - si basa necessariamente sulla
speranza della sua realizzazione. L'unione di competenze specifiche di
quanti si stanno prodigando per tale progetto - si spera le più
trasversali possibili - renderà a mio avviso la speranza più concreta.
Giovanni PESCE
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Venerdì 10 Settembre 2010 (di
Salvatore SPEDICATO) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Il governo
"baricentrico" è una realtà
La varietà e la ricchezza di riflessioni,
meritoriamente pubblicate da Quotidiano in ordine al "progetto" della
Regione Salento, potrebbero rendere scarsamente utili successive
considerazioni. Tuttavia, se è consentito, vorrei dire la mia in
proposito, supportata da lunga esperienza in ambiti istituzionali e non,
che mi porta a credere oggi come ieri che il "baricentrismo" non è una
favola.
Pertanto, esprimersi in favore di una
proposta di autonomia regionale non significa, come qualcuno immagina,
tendenza alla chiusura localistica, rivendicazione arcaica e
scissionistica, propensione all'isolamento (siamo già in una penisola) e
a nostalgici ripiegamenti. E' pacifico che il mondo cambia velocemente
ma è altrettanto certa che evoluzione non equivale a omologia. L'armonia
è l'unità del molteplice-vario, il confronto e le dinamiche culturali,
sociali ed economiche si alimentano delle diversità, che per legame
musaico raggiungono l'unità.
Un percorso sulla spinta di una forte
identità antropologica e culturale non equivale, dunque, a staticità e
immobilismo ma ad apertura adeguata a singolari esigenze e aspirazioni.
Chi cerca di glissare sui valori radicali caratterizzanti la "salentinità"
ritenendoli pressoché insignificanti rispetto all'istanza autonomistica
di cui trattasi, potrebbe trovarsi — ove già non si trovi — nella
desolante condizione che il poeta russo, Josif Brodskij, già profugo in
Occidente, ha descritto in questa breve poesia:
"Tutto bene? / Chiese il missile al
missile / sorvolando la valle / Come posso saperlo? / Non ho niente
davanti / non ho niente alle spalle".
Sapere far di conto è importante, essere
prammatici e giuridicamente attrezzati è necessario. La cultura
dell'empirismo utilitaristico ha le sue buone ragioni. Ma far dipendere
il pro e il contro riguardo all'auspicio per la Regione del Salento
dall'economia, dalle considerazioni di ordine procedurale e burocratico,
ai "sognatori" come chi scrive sembra più o meno superfluo. C'è,
infatti, qualcosa che è da ritenere basilare, prioritariamente pressante
e di per sé sufficiente a convalidare il significato dell'aspirazione
autonomistica di un'area geografica come la salentina, ed è
semplicemente ciò che tutti sanno: la sua spiccata connotazione
antropologica, storica, culturale, riconosciuta ovunque e da chiunque,
non solamente dai nostri studiosi di valore nazionale come Marti e
Valli.
Per fugare il sospetto di campanilismo,
in convegni nazionali, chi scrive ha utilizzato talvolta, per esempio,
riguardo alla "diversità salentina", brani esemplari sia dello storico
della letteratura italiana che fu docente dell'Università di Bari, Mario
Sansone, sia di Carlo Belli, animatore di convegni di studio sulla Magna
Grecia e teorico del primo Astrattismo.
Sì, per rivendicare giustamente
l'autonomia di cui si parla poteva bastare e basta la "cultura", proprio
la parola mancante nella motivazione morotea di "rinvio", così come
puntualmente riportata in Quotidiano del 26 agosto scorso da Vittorio
Raeli. E' ragionevole ritenere che l'onorevole Moro, così attento e
profondo studioso quale era, non a caso non ebbe a toccare il tasto
"cultura", di per sé qualificante la regione salentina, rispetto al
resto della Puglia(delle Puglie), nel suo argomentare circa la
possibilità di non escludere che "in avvenire, ad opera delle assemblee
legislative, dagli studi seri ed attenti sulla realtà economica,
geografica, sociale delle regioni interessate...si giunga ad un diverso
assetto delle circoscrizioni regionali".
Già gli antichi romani, per non dire dei
greci, erano ben consapevoli del vitale significato dei valori religiosi
e culturali tanto che si guardavano bene dal contrastare miti, e riti
dei popoli sottomessi. Sapevano, i vincitori, che la loro "salvezza"
dipendeva dal "rispetto dei templi e degli dei dei vinti".
Qui ed ora, evidentemente, non si tratta
poi tanto di "fare poesia", ma di ribadire la necessità della
rivendicazione autonomista di cui concretamente abbisogna il Salento,
con le sue impellenti ragioni innanzitutto culturali e ideali, nella
prospettiva di spinte propulsive sociali ed economiche nell'unità
nazionale.
Salvatore SPEDICATO
da
La Gazzetta del Mezzogiorno di Venerdì 10 Settembre 2010 |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Il Movimento
replica all'editore Cazzato: «Noi non puntiamo alle candidature»
«La nostra stella polare non è una
qualche candidatura». Giovanni Rizzo, coordinatore cittadino del
Movimento Regione Salento, replica così a Fabio Cazzato, presidente del
gruppo editoriale Canale 8.
«Dire che “sarebbe più onesto affermare
con chiarezza che il Movimento non vuole creare una nuova Regione, ma
ritagliarsi uno spazio politico per una nuova classe dirigente”-
sottolinea Rizzo - vuol dire liquidare la nostra vicenda umana e
politica con la tipica superficialità microborghese, che è uno dei mali
di una generazione viziata e non abituata a combattere per idee e
valori. Oltre a questo tratto snobistico, l’intervento di Cazzato
contiene una forzatura, che sa di processo alle intenzioni.
“In sostanza la proposta nasce dalla
presunta inefficacia dei politici locali eletti...”: chi ha mai detto
questo? Non è il primo tentativo di creare intorno al Movimento dei
nemici, quasi si volesse imbeccare un esercito a inforcare le armi
contro di noi».
Questo tentativo - secondo Rizzo - che
«puzza di strumentalità, non appare casuale. Da certi ambienti tentano
di attribuirci sentimenti anti-vendoliani che non ci appartengono. Da
altri tentano di farci apparire come quelli che additano Fitto e
Mantovano come incapaci di tutelare il territorio».
«Mi sembra - aggiunge il coordinatore di
Lecce del Movimento - che stiano cercando di accerchiarci. Ma possiamo
tranquillizzare tutti, non ci riusciranno. La politica per noi è un
interlocutore importante, ma non è nè il nostro padrone nè tantomeno la
nostra meta. Interpretiamo un sentimento. Sappiamo che può apparire
strano e inedito che la nostra stella polare non sia una qualche
candidatura. Questo è un motivo in più per andare avanti».
«Vogliamo riempire di contenuti l’agenda
della politica, questo sì - sottolinea Rizzo - Qualcuno dice che
vogliamo “invadere il campo”? No, giammai. Ma abbiamo il diritto-dovere,
come cittadini, di “calpestare gli orticelli”. Non ci candidiamo, tanto
per fare chiarezza, ma non per questo non possiamo partecipare,
dibattere, stimolare. Sui costi della politica, in presunto aumento,
presto daremo risposte puntuali all’impegno del professor Stefano Adamo,
entrando nel merito di quello che abbiamo annunciato come un modello di
Regione moderno, virtuoso e lontano da sprechi e privilegi».
Infine, riguardo alla presunta «povertà
di Lecce, Brindisi e Taranto», il coordinatore di Lecce del Movimento
invita Cazzato «a studiare la reale situazione economica che, come dice
il professor Pirro, ci rende autosufficienti, specie in ottica
federalista. Le entrate tributarie delle tre province rappresentano il
43 per cento del totale pugliese, incassando come contropartita appena
il 30 per cento degli investimenti».
da
La Gazzetta del Mezzogiorno di Sabato 11 Settembre 2010 |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Il presidente
Pagliaro: «Il Movimento non è un partito e non parteciperemo ad alcuna
competizione elettorale»
«Il Movimento non è un partito». Paolo
Pagliaro, presidente del Movimento Regione Salento, ha concluso l’altro
giorno al President la prima riunione organizzativa, per mettere a punto
l’organizzazione interna e lanciare messaggi alla classe politica e
all’opinione pubblica.
La riunione, alla quale hanno preso parte
oltre duecento persone, si è aperta con l’inno di Mameli, per ribadire
che nel Movimento non albergano idee secessioniste o fermenti leghisti.
Pagliaro, dunque, ha ribadito come il
Movimento non sia un partito ed ha spiegato chiaramente come non ci
siano secondi fini e non si intenda partecipare ad alcuna campagna
elettorale.
«Ben venga l’adesione delle forze
politiche - ha aggiunto - che condividono lo spirito del Movimento
Regione Salento, che però vuole essere trasversale, equidistante e
indipendente dai partiti e che, più di tutto, ambisce a rappresentare il
volere dei cittadini».
«Forse certa politica - ha spiegato
Pagliaro - sta vivendo questa mobilitazione come un’invasione di campo.
Questo non può che rallegrarci, convinti come siamo che i cittadini
abbiano tutto il diritto di impegnarsi lavorando sul proprio futuro. Le
scelte strategiche per il modello di sviluppo di cui Lecce, Brindisi e
Taranto debbono dotarsi, devono essere l’agenda della politica: per cui
i nostri rappresentanti ascoltino invece di tentare di incollare
etichette alle nostre teste».
Il presidente Pagliaro ha poi
sottolineato che l’unico obiettivo del Movimento è solo quello di
giungere ad un referendum, «per sentire direttamente i cittadini e per
decidere una volta per tutte se questa è una questione desueta,
anacronistica, superata dai tempi, velleitaria o se invece è una cosa
che la gente vuole veramente». Il Movimento Regione Salento pensa che
questa risposta si possa dare con lo strumento del referendum, «che è il
massimo dell’espressione popolare e della democrazia partecipata».
Basterà che si pronuncino a favore i consigli comunali che rappresentano
almeno un terzo dei circa un milione e 800mila abitanti delle tre
province.
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Sabato 11 Settembre 2010 (di
Giovanni RIZZO *) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Dare la parola
al popolo sovrano
La Regione Salento è un attacco
all'attuale amministrazione Vendola, un delirio ultrà contro Bari, una
macchina elettorale al servizio di inconfessati o partitici interessi?
Sentiamo giudizi di ogni genere, tutti
però tesi a definire il Movimento Regione Salento in negativo, non per
la sostanza e le proposte. Ebbene, forse è il momento di rovesciare
quest'ottica.
Le tre province di Taranto, Lecce e
Brindisi occupano un territorio geograficamente e morfologicamente
omogeneo, socialmente ed economicamente. La Messapia e la Magna Grecia
delle origini sono luminosi punti di riferimento storico e culturale. Si
influenzarono a vicenda, furono abbastanza fiere da non riuscire mai a
vincersi definitivamente l'un l'altra. Del resto, all'epoca, c'è stata
forse più rivalità tra Taranto e le altre colonie greche di Lucania e
Calabria.
Nel secolo scorso l'unità amministrativa
della provincia di Terra d'Otranto (che rifletteva quella omogeneità di
cui dicevo) fu frazionata nelle tre attuali province. Perché? Perché le
rispettive aspirazioni e dimensioni economico-amministrative e
demografiche erano diventate tali, da renderlo necessario per il miglior
sviluppo del territorio. C'era una classe dirigente locale che ambiva
agli strumenti di autogoverno.
Dopo il 1945, furono ricreate le Regioni
ma solo come ambiti geografici (solo nel 1970-71 che si arrivò a dare
loro poteri e organi autonomi); e fu allora che la Regione Salento, pur
chiesta e prevista, naufragò per un gioco complesso di imboscate
nell'Assemblea Costituente e di rivalità territoriali anche tra le tre
province. Si fecero anche allora dei referendum attorno a svariati
progetti.
Nel corso degli anni, l'autonomia degli
enti-Regione è cresciuta, sono arrivati i fondi europei (talvolta male o
poco impiegati). Nel frattempo le forze economiche più influenti e
determinanti dell'intera Puglia non potevano che confrontarsi con la
Regione esistente, e così pure con le forze politiche di quel livello:
sono nati inevitabili quanto ovvii snodi e agganci di potere e di
interesse.
Fino a poco tempo fa, l'accentramento o
meglio ancora lo stanziamento a Bari di tutte le "forze e progetti che
contano" sembrava irremovibile. Negli ultimi anni, però, nonostante gli
ostacoli (casuali o voluti) di cui ci lamentiamo, le tre province del
Sud-Puglia hanno conosciuto uno sviluppo incalzante ed esaltante, che ha
fatto crescere nei cittadini - rispetto al precedente malcontento
negativo per il preteso baricentrismo - una coscienza positiva, una
voglia di fare e di crescere ulteriormente.
In ogni famiglia i figli nascono,
crescono, si emancipano e camminano con le proprie forze, dando vita a
nuovi organismi familiari. Non diversamente, come abbiamo visto, accade
per le aggregazioni umane più vaste. Così sta accadendo per le tre
province pugliesi: e il nostro Movimento intende infatti non tanto
dividerle - in negativo - dalla Puglia, quanto piuttosto unirle - in
positivo - tra loro a livello amministrativo e strutturale, come oggi
non sono. Oggi esse devono attraversare una doppia frontiera: interna e
nazionale. Devono prima essere portate a Bari, poi accolte dalla Regione
Puglia con le mutevoli fortune e alleanze del momento, poi essere
portate a livello nazionale a livello - tra l'altro - di Conferenza
Stato-Regioni e Conferenza Unificata. E non ci occupiamo del livello
europeo, visto che le Regioni hanno ormai anche lì i loro uffici.
Ecco perché le aspirazioni, le richieste
e le esigenze delle tre province vanno naturalmente verso un organismo
regionale che le interpreti e le favorisca con pieno e diretto diritto
di rappresentanza. La situazione è matura per curare in proprio e
incrementare ulteriormente il nostro sviluppo, anche per un altro
motivo. Il federalismo incombente prevede la soppressione del Senato
(fine del bicameralismo perfetto) e l'istituzione della Camera delle
Autonomie, dove siederanno le Regioni con rappresentanti (dicono i vari
progetti) non eletti dal popolo, ma nominati dai Consigli Regionali.
Ebbene, noi crediamo che viste le
dimensioni e le necessità del nostro sviluppo, le tre province debbano
essere presenti con una propria Regione e quindi propri rappresentanti
anche a livello nazionale. Fino a ieri il dibattito sulla Regione
Salento restava episodico e frammentario, una pittoresca e bizzarra
pretesa. Passare dal dibattito all'organizzazione è un passo necessario
quanto complesso, che sta muovendo i suoi primi passi come ha dimostrato
l'incontro di ieri a Lecce cui seguiranno quelli nelle altre province.
Speriamo che, contrariamente agli inviti
di qualcuno, non si tenti di fermare la proposta referendaria nelle
stanze degli amministratori comunali, evitando persino di mettere
all'ordine del giorno l'argomento. I cittadini devono poter esprimersi
con quello che è l'unico referendum propositivo della nostra
legislazione, nel senso che propone di istituire, non di abrogare.
Le tre province sono mature per diventare
Regione soprattutto perché sono cresciute, perché sentono il bisogno di
autogovernarsi e di curare in prima persona il loro sviluppo, di muovere
i loro passi sedendo direttamente nei consessi e negli organismi
nazionali e internazionali. Lo sentono i cittadini; non possono non dar
loro ascolto le forze politiche e sociali, i rappresentanti elettivi
negli enti locali, i parlamentari, gli uomini di governo.
Giovanni RIZZO
*Coordinatore Lecce
Movimento Regione Salento
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Lunedì 13 Settembre 2010 (di
Luigi CORVAGLIA) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
L'orgoglio di
una identità mortificata
Mario Sansone, che da critico letterario
era uso a guardare in profondità e che da oriundo proveniente della non
lontana piana dauna poteva vedere Bari con occhi non nativi, ebbe a dire
che questa è città "senza ironia e senza malinconia". Una efficace,
fredda, rasoiata descrittiva. Da oriundo salentino, non riuscirei a
trovare maggiore sovrapponibilità fra questa fendente condensazione
semantica e quanto, fino alla lettura di questa definizione, percepivo
senza sapere esprimere.
Un'epifania. Ecco. Questo volevo dire
tutte le volte che farneticavo, sotto sguardi sempre più perplessi, di
una seriosità ilare che copula con una tristezza rabbiosa. Lo so, non si
capisce. Appunto. Sguardo profondo e occhi non nativi servono a vedere,
non a descrivere. Sansone mi è venuto in soccorso. Fatto è che questa
definizione, nel suo essere il preciso negativo della fotografia della
città che nelle Puglie è il contraltare storico del capoluogo regionale,
cioè Lecce, mi permette di riflettere sulle differenze profonde tra i
territori di cui le due città sono riferimenti storici e amministrativi.
Lecce la sapevo descrivere molto bene
anche prima di conoscere il giudizio di Sansone su Bari. La città
salentina è luogo di straripante ironia e sottile malinconia. E'
riflettendo su questo che diviene immediatamente comprensibile, al di là
di lingue e campanili, al di là di ripicche storiche e calcistiche, di
orgogli snobistici e fierezze mercantili, la lontananza incolmabile fra
Puglia e Salento. Non di distanza culturale trattasi, bensì di
contrapposizione psicologica.
Il Salento, con le sue mollezze
ispaniche, i suoi centri arabi, le sue coste greche, la sua lingua
sicula è più vicina a Siracusa o Malaga che a Bari. La terra di Bari,
operosa come nessuna nel Meridione d'Italia, con le sue bianche
cattedrali romaniche, dure, nordiche, squadrate, che si specchiano nelle
vetrine levantine sul mare si affaccia. Il Salento ne è circondato.
E' la differenza che esiste fra attività
e passività. Dice il barese che, se Parigi avesse il mare, sarebbe una
piccola Bari. Il mare è centrale nell'immaginario barese. "Mare, vidi e
fusci" , dice il salentino, che, più contadino che marinaro, ne diffida
(e aggiunge "taverna, vidi e trasi"). Eppure il tramonto sul lungomare
di Bari, dietro i tetti e i campanili della città vecchia è una
cartolina di rara bellezza che si guarda distrattamente. I tramonti del
Salento no, non sono sfondo della vita, sono la vita.
Il Salento è allegro come una samba e,
come una samba, lascia un retrogusto di tristezza. E' malinconico come
un funerale greco e festoso come un funerale a New Orleans. Il Salento è
il paese "così sgradito da doversi amare" di Vittorio Bodini. Un
ossimoro fatto terra, sole, mare e vento. Tommaso Fiore disse che i
pugliesi sono "un popolo di formiche". Non conosceva i salentini, popolo
di cicale. Così, mentre un altro intellettuale operante in città, lo
scrittore Gianrico Carofiglio, può dire che "a Bari la modernità è
arrivata quasi di sorpresa", noi possiamo dire che i salentini non si
farebbero mai sorprendere. Come cecchini appostati fra gli ulivi enormi
e contorti, la modernità la fermerebbero al confine settentrionale della
linea messapica. Bari guarda avanti, Lecce indietro. Si guarda ai
passati fasti nobiliari come alle tradizioni contadine, ci si arrocca,
si scalano torri d'avorio, ci si auto-ghettizza in un magnifico
isolamento a metà fra "mal d'Africa" e provinciale spocchiosità.
Ecco perché i tifosi del Bari hanno
commesso un autogol involontario quando, durante un recente derby
calcistico, hanno presentato uno striscione, nelle intenzioni molto
offensivo, che recava scritto, con destinataria la popolazione salentina,
"voi non siete come noi". Questo vuol dire che, nel loro sguardo
disincantato di gente pratica, i baresi non hanno capito che ciò che per
loro era un insulto, per i leccesi era una rassicurazione.
Si potrebbe continuare a lungo ad
elencare riduzioni e schematismi con cospicue dosi di realtà, ma, se
proprio vogliamo trovare il nocciolo di questa contrapposizione, credo
che tutto si riduca a quanto mi ritrovavo a notare un giorno con un
amico barese in gita a Lecce. Facendogli da Cicerone, mi si presentò la
metafora della "città molle" da contrapporsi alla sua "città dura".
Bari, convulsa, mercantile e dalle velleità metropolitane, è luogo di
insolita durezza. Qui anche le donne hanno qualcosa di maschile, anche i
bambini qualcosa di adulto. A Lecce anche gli uomini hanno qualcosa di
femminile, anche gli adulti qualcosa di infantile.
Lecce è maniera, Bari è mestiere. Lecce è
arte, Bari artigianato. Gli esteti preferiscono l'arte, le persone
pratiche l'artigianato. Anche i rispettivi strati popolari sono molto
diversi. Le "plebi" salentine sono umili e dignitosissime, a loro modo
allegre, femminili, rotonde e aperte come le vocali della loro lingua,
hanno la scorza morbida. I quartieri popolari di Bari, Molfetta, Andria,
popolati da una umanità sfrontata poco incline a preoccuparsi della
dignità, hanno la scorza dura, dura come le espressioni maschie e
determinate delle donne dai visi squadrati, dure come l'aspra loro
lingua. Sono così lontani dal mondo altoborghese del quartiere Murat o
di alcune magioni di Trani che ne diffida profondamente. Sembrano due
popoli diversi, non integrati. Nel Salento non si coglie assolutamente
questa distanza, questa sì latinoamericana, con buona pace del supposto
snobismo. In tutto ciò, in questo rapporto di simmetria fra opposti, in
questo gioco di positivo e negativo fotografico è il vero senso delle
rivendicazioni di autonomia del Salento, cioè della volontà di conferma
legale di una realtà di fatto.
La realtà di fatto è che la assurda
unificazione amministrativa del 1946, non solo non ha ancora amalgamato
le due entità geo-culturali, ma ha posto le condizioni per poter creare
un continuo confronto dialettico col coinquilino forzato. Non è quindi
in un semplicistico fanatismo basato su una supposta superiorità,
cari amici baresi, che si trova il senso delle voglie secessioniste del
vostro villaggio vacanze estive, bensì nell'orgoglio di una identità
vissuta, a torto o a ragione, mortificata. Sì, è vero che, in certi
ristretti ambienti leccesi, ad esser mal tollerata è la nuova condizione
di periferia delle periferie della città più importante e raffinata
delle Puglie a vantaggio di quello che percepiscono come un porto di
pescatori e volgari mercanti. Ma non è questo che rende la richiesta di
autonomia valida e non è questo che la dovrebbe rendere non valida. Lo
spirito di rivalsa rischia sempre di tramutarsi nella stupida idea di un
superiorità morale nei confronti di chi si trova in condizione di
superiorità di fatto. Ma essere bianchi o neri, maschi o femmine, duri o
molli, barocchi o romanici non implica essere migliori o peggiori,
implica essere diversi, ontologicamente differenti. Ecco il perché di
una battaglia, forse velleitaria, forse a rischio di scivolate
para-leghiste, ma condotta sempre alla salentina, con poco impegno, fra
un festival della pizzica e una pittula, con lentezza e contemplazione,
ma, soprattutto, con ironia e con malinconia.
Luigi CORVAGLIA
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Mercoledì 15 Settembre 2010 (di
Tommaso TERRAGNO*) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Referendum per
dare voce al territorio
Già l'etimologia del suo nome svela tante
delle sue unicità: Salento vuole dire terra di mezzo; spartiacque tra la
Ionio e l'Adriatico e facile è intuire quanto questa particolare
posizione geografica abbia inciso nella storia di questa terra e della
sua gente forgiandone in maniera unica, appunto, il carattere ed i
costumi, le abitudini e la mentalità; duemila anni di storia con
il filosofo e matematico Archita e con i poeti Quinto Ennio, Pacuvio e
Virgilio.
Valida ed opportuna era da considerare
l'idea dell'onorevole Giuseppe Codacci Pisanelli, componente
dell'assemblea costituente, nel giugno 1946, nel proporre l'inserimento
della regione Salento, nella Carta costituzionale, formata dall'area
geografica di Brindisi, Lecce e Taranto. L'iniziativa non ebbe successo,
si dice, per la ferma opposizione di un altro personaggio, anch'esso dai
natali salentini ma con differenti visioni sul panorama politico
dell'epoca.
La regione Salento scomparve dal testo
finale della carta costituzionale. Quindi aggregando le tre province di
Terra d'Otranto a quelle di terra di Bari e della Capitanata nacque la
regione Puglia, altrimenti detta "Le Pu-glie", etimologia emblematica
dello scisma culturale che distingueva, e tutt'ora distingue fortemente,
il popolo del Salento da quello di Bari e della Daunia.
Va quindi dato atto all'iniziativa
referendaria, promotrice dell'indipendenza salentina, nell'aver
individuato quelle esigenze che, affondando le radici nella storia,
hanno fatto di tale rinnovamento istituzionale una priorità. La
formazione della Regione Salento non porterebbe solo ad un progresso
sociale per il naturale riconoscimento di un'identità storica alla
propria gente, ma ne migliorerebbe sicuramente anche gli equilibri
economici e politici. Da considerare è, anche, che l'impianto della
struttura organizzativa della nascente regione potrebbe non avere alcun
costo se assorbisse le strutture organizzative delle già esistenti
province da abolire. Costerebbe più, ai cittadini, mantenere tre giunte
provinciali o una regionale? Andrebbe tenuto, poi, nella massima
considerazione il rapporto diretto che la regione Salento instaurerebbe
con gli organi del potere centrale.
Evitare gli sprechi, ottimizzare la
rendita delle risorse dovrà essere, a ragion veduta, solo il primo degli
obiettivi dell'insorgente regione che per istinto di sopravvivenza sarà
costretta a cogliere, dal distaccamento dal governo di Bari, nuova linfa
vitale per poter divenire un punto di riferimento, non più solo per le
vacanze al mare, ma anche per il nostro modello di propulsione
socio-economica.
Strada da fare però, allo stato attuale
delle cose, ce n'è veramente molta; basti pensare al servizio
ferroviario. Mentre nelle piazze delle città del nord i grandi tabelloni
luminosi, che pubblicizzavano l'inizio dell'era dell'alta velocità,
stavano per esaurire il loro conto alla rovescia, venivano soppressi due
treni sulla tratta Roma-Lecce.
Il dramma dei trasporti e delle
infrastrutture in generale sembra proprio essere un'altra delle
caratteristiche esclusive del Sud Italia, poiché gli unici aeroporti Hub
sono quelli di Fiumicino a Roma e di Malpensa a Milano rispettivamente a
600 e 1000 chilometri di distanza dal Salento. Se invece anche
all'aeroporto di Brindisi si potesse arrivare e partire da e per tutto
il mondo, lo scalo salentino funzionerebbe sicuramente da volano per la
nostre dinamiche socio-economiche.
L'ubicazione delle terre del Grande
Salento risulta una vera e propria piattaforma nel Mediterraneo: "mare
nostrum", prospiciente a tutti i paesi africani, e non solo, con i quali
intrattenere rapporti politici ed economici sempre più interessanti.
Tanto darebbe impulso allo sviluppo di tutti i nostri comparti economici
e un forte contributo all'occupazione, specialmente giovanile, atavico
problema meridionale.
Ricordo che un pensatore sudamericano
ebbe a dire che "se si è in pochi a sognare il sogno rimane tale, sì è
in molti il sogno può diventare realtà. Perché non tentare? Perché non
riposizionare la nostra storia? Va ricordato che la politica è l'arte
del possibile e dell'impossibile. Guido Dorso, uomo politico
meridionale, individuò, già all'inizio del '900, che i problemi politici
e sociali, in cui si dibatteva il Mezzogiorno scaturivano
dall'atteggiamento di una classe dirigente poco sensibile, moderata e
appagata.
Le difficoltà che incontrerà la proposta
referendaria della regione Salento saranno, indubbiamente, sia di natura
locale che di origine parlamentare. Le prime si possono superare con una
chiara esposizione, trattazione ed argomentazione delle convenienze,
delle utilità e dei vantaggi che le popolazioni salentine trarrebbero
sia dalla diagnosi autonoma delle proprie priorità, sia, come già detto
in precedenza, dal collegamento diretto con gli organi del potere
centrale.
Il Parlamento, che rappresenta la massima
autorità politica nazionale, a cui è demandato anche il potere di
cambiare la Carta Costituzionale, ha pieno titolo di valutare ed
approvare la proposta referendaria considerando e interpretando
attentamente il peso della scelta politica espressa dalle genti
salentine. A questo punto assumono rilevanza l'impegno, la fermezza e
l'abilità dei parlamentari meridionali nel coinvolgere e sensibilizzare
gli altri colleghi per raggiungere i quorum previsti nella Carta
Costituzionale per la nascita della regione Salento. L'esperienza dice,
purtroppo, che, al contrario di altre forze politiche, nei veri centri
decisionali i nostri parlamentari si presentano sempre come truppe
sparse.
Va ricordato, invece, che il governo
centrale è molto sensibile al flusso di voti che gli permettono di
raggiungere la maggioranza in Camera e Senato e, sapendo questo, noi
dovremmo diventare meno timidi nel far valere i nostri diritti, le
nostre ragioni e non ascrivere ad altri le cause dei nostri insuccessi.
In politica, ma forse anche nella altre
discipline sociali, lo studio e la comprensione dei problemi, degli
interessi, delle necessità dei cittadini è la risultante di un
equilibrato rapporto di forze tra le parti in competizione, rammentando
che nessuno può farci sentire inferiori, senza il nostro consenso.
Tommaso TERRAGNO
* Economista
da La Gazzetta del Mezzogiorno di Mercoledì
15 Settembre 2010 |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
«Un progetto
rincorso da tempo»
Roberto Tundo e Klodiana Kuka dalla
parte del «sì»
«Sì alla Regione Salento, un'antica
aspirazione della Destra sociale». Roberto Tundo, del coordinamento
regionale del Pdl, interviene nel dibattito aperto da qualche settimana
a questa parte, da quando, il 5 agosto scorso, si è costituito il
Movimento Regione Salento per chiedere un confronto referendario.
«Periodicamente riaffiora questo progetto
- ricorda Tundo - Anche attraverso La Contea (mensile di politica e
cultura, ndr) abbiamo avuto modo di sostenere l'attualità della Regione
Salento in momenti differenti, a partire dalla prima metà degli anni
Ottanta. Poi, dal 1997 fino al 2000, ci fu una vera e propria campagna a
sostegno della Regione Salentina, coinvolgendo numerosi consiglieri
regionali. In quanto tale - aggiunge Tundo - io stesso sollecitai
Lorenzo Ria, eletto presidente dell'Unione delle province italiane, a
sostenere la Regione Salento ed una certa disponibilità non venne meno.
Per Ria poteva esserci "un ripensamento di una realtà territoriale che
era chiamata Puglie e di una Terra d'Otranto che, negli atlanti storici,
risulta entità a sè stante per economia, cultura, idioma", anche se il
suo obiettivo era un Sistema Salento».
Intanto, Klodiana Cuka, presidente di
Integra, esperta a livello nazionale ed internazionale di politiche
migratorie, è stata scelta come responsabile delle politiche migratorie
e della cooperazione con i Paesi dei Balcani e del Mediterraneo
all'interno del Movimento Regione Salento.
«La mia presenza attiva all'interno del
Movimento è data da un semplice motivo - spiega - Credo che il Salento
sia una terra che ha nel dna accoglienza e solidarietà e ispira ad
un'integrazione che non mira alla chiusura ma ad un'apertura verso nuove
vedute che guardano lontano». «Anche per questo - dice- occorre che la
nostra terra abbia uno spessore istituzionale oltre che culturale».
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Venerdì 17 Settembre 2010 (di
Luigi MELICA) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
La Cassazione e
la Consulta ci danno ragione
Gli ultimi articoli apparsi su Quotidiano
circa il metodo adottato per la richiesta di referendum ai fini
dell'istituzione della Regione Salento meritano un'ulteriore
riflessione. In alcuni commenti di personaggi autorevoli del mondo del
diritto è stato affermato che la strada intrapresa dal Comitato
referendario sarebbe resa impervia dalla legge numero 352 del 1970, la
quale regola l'indizione di tutti i referendum previsti dalla nostra
Costituzione.
L'articolo 42, comma 2, della stessa
normativa stabilisce infatti che a richiedere il referendum non debbano
essere esclusivamente i Consigli comunali rappresentanti almeno 1/3
delle popolazioni interessate (così come stabilito dall'articolo 132,
comma l della Costituzione), bensì tutti i Consigli comunali della
porzione di territorio che vuole istituire la nuova Regione, i Consigli
provinciali ed un terzo dei Consigli comunali che rappresentano i
territori della porzione territoriale rimanente (ossia, nel nostro caso,
delle aree di Bari e Foggia). Non solo, ma l'eventuale referendum
dovrebbe essere esteso al territorio di tutta la Regione e, quindi, per
quel che ci riguarda, a tutti i cittadini della Regione Puglia.
La legge numero 352 del 1970, dunque,
sembra stravolgere il testo costituzionale addirittura inventando alcuni
criteri, quali, ad esempio, le deliberazioni dei Consigli provinciali e
quelle dei Consigli comunali che rappresentano 1/3 della popolazione
appartenente alle aree territoriali di Bari e Foggia. Tale legge
prevedeva requisiti analogamente rigidi e non previsti dal testo
costituzionale anche nell'ipotesi del comma 2 dell'articolo 132,
regolante il distacco di un Comune o di una Provincia da una Regione e
l'aggregazione ad un'altra. Nel 2003, il Comune di San Michele di
Tagliamento, volendo staccarsi dalla Regione Veneto per aggregarsi alla
Regione Friuli Venezia Giulia (e ritenendo la legge numero 352 non
conforme all'articolo 132 della Costituzione), ha presentato una
richiesta di referendum al competente Ufficio centrale presso la Corte
di Cassazione, corredata della sua sola deliberazione e non anche di
quelle incostituzionalmente previste dalla citata legge. Per fortuna, il
Comune in questione si è avvalso del supporto di illuminati
costituzionalisti, i quali non si sono appiattiti sul principio dura lex
sed lex ma sono andati ben oltre e, correttamente, hanno seguito il
criterio secondo cui ignorantia constitutionis non excusat. Se si
fossero arrestati al tenore letterale della legge numero 352 del 1970,
il predetto Comune sarebbe ancora parte della Regione Veneto e non del
Friuli Venezia Giulia.
In quell'occasione, l'Ufficio della Corte
di Cassazione ha impugnato dinanzi al giudice delle leggi l'articolo 42
della richiamata legge del 1970 (invocandone il contrasto con l'articolo
132 della Costituzione) e la Corte costituzionale ha così statuito con
sentenza numero 334 del 2004: "Poiché il referendum previsto dalla
disposizione costituzionale attualmente vigente mira a verificare se la
maggioranza delle popolazioni dell'ente o degli enti interessati approvi
l'istanza di distacco-aggregazione, deve coerentemente discenderne che,
la legittimazione a promuovere la consultazione referendaria spetta
soltanto ad essi e non anche ad altri enti esponenziali di popolazioni
diverse...".
Con tale pronuncia, pertanto, la Corte ha
integralmente avallato la lettura fornita dalla Cassazione ed ha quindi
annullato la disposizione della legge numero 352 del 1970 contenente i
suddetti ulteriori requisiti, statuendo che l'ente richiedente il
referendum è solo quello che intende staccarsi e la popolazione
interessata a deliberare sulla richiesta di referendum è solo quella
residente in tale Comune. Peraltro, nel luglio 2010 la stessa Corte, in
un'altra pronuncia, ha addirittura ritenuto che, se per caso la Regione
dalla quale ci si distacca fosse contraria al distacco, tale parere
negativo non osterebbe al distacco stesso: il legislatore è infatti
libero di legiferare in senso conforme al distacco.
A partire dalla pronuncia del 2004, i
Comuni che hanno presentato richiesta di referendum (e non sono stati
pochi) hanno poi ottenuto la legge di distacco. Venendo al caso che
riguarda l'iter istitutivo della Regione Salento, si possono enumerare i
seguenti profili:
-
Si è in presenza di una normativa
costituzionale chiarissima nei suoi elementi costitutivi: "Si può,
con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la
fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un
minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti
Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle
popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum
dalla maggioranza delle popolazioni stesse" (articolo 132 comma 1).
-
Si è in presenza di una legge - la
numero 352 del 1970 - che letteralmente "inventa" una serie di
requisiti.
-
Non esistono precedenti, ossia
nessuna area territoriale ha mai presentato una richiesta ai sensi
dell'articolo 132 comma l della Costituzione.
-
Esiste una giurisprudenza della Corte
costituzionale la quale, pur prendendo in considerazione il comma 2,
detta regole che non sarebbero state differenti qualora fosse venuto
in rilievo il comma 1.
-
L'ufficio competente a ricevere le
deliberazioni dei Comuni concernenti l'istituenda Regione Salento è
l'Ufficio centrale presso la Corte di Cassazione, ossia lo stesso
organo che allora aveva sollevato la questione davanti alla Corte
costituzionale.
Per tutte queste ragioni, il Comitato
promotore predisporrà una memoria esplicativa di accompagnamento alla
richiesta referendaria con la quale si chiederà al predetto Ufficio di
far indire il referendum sulla base delle citate regole che esso stesso
ha contribuito a formulare. Solo in subordine, infatti, si chiederà di
sollevare questione di costituzionalità davanti alla Corte
costituzionale, il cui giudizio, mi pare, sia già chiaro ed
inequivocabile nel favorire - come essa stessa ha affermato - "il
diritto all'autodeterminazione dell'autonomia locale". Dopodiché sarà il
Parlamento a pronunciarsi.
Luigi MELICA
da La Gazzetta del Mezzogiorno di venerdì
17 Settembre 2010 |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Obiettivo «Regione
Salento»: nasce il laboratorio operativo
Il progetto va avanti e ottiene
adesioni e consensi
Il Movimento Regione Salento vara
"Cantiere Salento costruiamo il futuro". Si tratta di un laboratorio
aperto a chiunque intenda dare il proprio contributo per il nuovo
progetto che, ribadiscono i fondatori del Movimento, mira ad
un'ottimizzazione della tutela del territorio. «L'istituzione della
Regione Salento darà la possibilità di governarsi meglio dovendo
l'autonomia amministrativa, legislativa ed anche impositiva, calibrando
meglio i provvedimenti che, oggi, come Regione Puglia, non sempre
vengono incontro a quelle che sono le esigenze del territorio» dicono i
fondatori.
Tra gli altri, anche il professore
Antonio Fasiello, presidente dell'Associazione nazionale frazioni Italia
(Anafri), sostiene la proposta di istituire la Regione Salento. «La
penisola salentina è già dal punto di vista geografico una regione che
culturalmente mostra una discreta omogeneità - spiega - La presentazione
delle richieste per la costituzione della Regione Salento e della
Regione Romagna costituisce una situazione eccezionalmente favorevole.
Il Parlamento sarà moralmente costretto a prendere una decisione
identica per entrambe. Qualora, in futuro, si dovesse giungere
all'abolizione delle province, i salentini rimarrebbero con un pugno di
mosche in mano - considera - Non si riesce a capire le ragioni suicide
di chi si dice contrario».
Quanto alla spesa, «il recupero delle
risorse e dei finanziamenti sottratti alle tre Province da una politica
baricentrica sarà più che sufficiente a far fronte agli eventuali
maggiori costi che la nuova Regione potrebbe comportare».
Il dibattito non poteva non svilupparsi
pure su Facebook, dove il Movimento parla di diecimila adesioni in soli
due mesi per il Gruppo Regione Salento.
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Lunedì 20 Settembre 2010 (di
Giuseppe SCHIAVONE*) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Il referendum è
un diritto e non può essere negato
Aderire al movimento teso all'istituzione
della Regione Salento significa aderirvi per il bene della nostra terra,
per rilevanti ragioni storiche, socio-economiche e funzionali, proposte
nel tempo da molteplici voci del popolo salentino, dal 1946 in poi,
dall'Assemblea costituente e dai cittadini di ieri e di oggi; e adesso
rilanciate in modo più forte e diffuso, con impellenza, perché la
pazienza civica è giunta al colmo.
Esse contengono una cogenza democratica
che non può essere ignorata ulteriormente, meno che mai boicottata o
addirittura contrastata.
Esse, pertanto, "debbono" essere prese in
considerazione attivando i meccanismi costituzionali previsti, per
illustrare dettagliatamente il progetto in questione e per accertare la
volontà generale del Corpo elettorale, tramite referendum (articolo 132
della Costituzione).
Sorprendente appare, perciò, la proposta
(apparsa su Quotidiano dell'8 settembre, ad opera di Carlo Salvemini,
consigliere comunale di Sinistra e Libertà) di costituire nientemeno un
comitato anti-referendum, con un obiettivo di contrasto antidemocratico,
con l'aggiunta di una campagna di stampa mirante ad alterare
ideologicamente la verità dei dati di riferimento e a banalizzare od
offendere il progetto Regione Salento, facendolo passare per una
squallida operazione di secessione o di frazionismo geopolitico
egoistico, "fanatismo etnocentrico" è stato scritto da un altro
avversario (Quotidiano del 2 settembre). A ulteriore sostegno di
siffatta mobilitazione sono scesi in campo gli ideologi di vari partiti,
per difendere la "casta politica" minacciata di perdere il controllo
della situazione.
Stupisce soprattutto il comportamento
della sinistra, che per dottrina e tradizione dovrebbe difendere i
diritti dei cittadini, le loro istanze, soprattutto quando qualcuno
tenta di espropriarli della loro legittima sovranità. Dove sta la
migliore sinistra storica, e quella alternativa, la sinistra delle
primarie, contraria alle prassi delle varie oligarchie, la sinistra
sempre pronta a sostenere i movimenti che nascono dal basso, "dove sta?"
Perché si "confonde" con i gruppi di potere che osteggiano il
rinnovamento del Salento?
Il referendum non può essere negato. È un
diritto del cittadino, un dovere delle istituzioni (Consigli comunali e
Provinciali, Parlamento), purché chiesto nei termini di legge. I partiti
politici (articoli 49 e 50 della Costituzione) dovrebbero agevolare
questa istanza e questo processo. Dovrebbero cooperare in quest'azione
di "presa di coscienza" democratica. Successivamente ognuno voterà come
riterrà opportuno: contro o a favore della Regione Salento.
Dopo, i promotori della Regione Salento
(Brindisi+Lecce+Taranto) si ritireranno, poiché essi non costituiscono
un partito, ma costituiscono un "progetto", offerto, con civica
educazione, allo sviluppo e al bene del nostro territorio.
Giuseppe SCHIAVONE
* Ordinario Storia delle dottrine
politiche
Università del Salento
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Giovedì 23 Settembre 2010 (di
Adriana POLI BORTONE) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Il federalismo
va a braccetto con le micro-aree
I presupposti non mancano e nell'Italia
federale che si va sempre più delineando la questione della Regione
Salento diventa attuale e quanto mai urgente. Regione Salento e
federalismo non sono due temi in antitesi tra di loro; l'uno non esclude
l'altro, semmai ne agevola una migliore attuazione. L'applicabilità dell'articolo
119 della Costituzione non implica una dimensione necessariamente ampia
degli enti regionali.
Si muove, piuttosto, nella direzione di
un completamento del decentramento funzionale a favore degli enti
locali/comunali e non delle Regioni. Per portare ad attuazione
l'articolo 119 della Costituzione - il quale prevede che le risorse
tributarie proprie di Regioni, Province e Comuni e le compartecipazioni
alle risorse erariali versate sul territorio siano finalizzate al
finanziamento delle funzioni pubbliche - è necessario dare vita non ad
enti regionali, bensì ad ent, di dimensione utili al coordina mento del
corretto esercizio delle funzioni pubbliche.
Nello specifico l'articolo 119,
strettamente correlato all'articolo 118 della Carta Costituzionale, il
cosiddetto principio di sussidiarietà in base al quale le funzioni
pubbliche spettano in primo luogo all'ente più vicino al cittadino,
trova una migliore attuazione se "cucito" in funzione di enti di
dimensioni minori rispetto alle Regioni.
Già da qui si intuisce come il testo
unico sulle autonomie locali ridefinirà le funzioni degli enti
territoriali, ed è innegabile in questo contesto la centralità che, ai
sensi dell'articolo 118, assumeranno i Comuni. Per questo, parlare di
macroregioni in tema di federalismo fiscale è un errore tecnico, davvero
macroscopico.
Un simile discorso non concerne solo il
federalismo fiscale, ma si estende al demanio idrico, culturale e
marittimo e quindi al cosiddetto federalismo demaniale.
Conseguentemente, resta ferma la necessità che le Regioni agiscano in
piena sintonia con i Comuni ai fini dell'uso e della valorizzazione di
questi beni, il che implica ancora una volta enti regionali non di vaste
estensioni, ma di dimensioni appropriate.
Oltretutto, nel momento in cui si
prendono in considerazione materie di competenza regionale di estrema
delicatezza ed importanza come istruzione, assistenza sociale e
trasporti, diventa impensabile prevedere una gestione diretta da parte
delle Regioni. Per questo sarà necessario il decentramento delle
funzioni e il trasferimento delle stesse ad enti territorialmente più
vicini ai cittadini. Analizzando la situazione pugliese, credo che in
una regione così vasta e variegata come "le Puglie" non sia sufficiente
la massima sinergia e cooperazione tra enti territoriali e Regioni, ma
vada avviato un vero e proprio processo che porti alla creazione di enti
di minori dimensioni più vicini ai cittadini (che non possono continuare
ad essere le Province).
Ecco perché credo che i tempi, anche in
prospettiva del federalismo, siano maturi ed urgenti per incominciare a
parlare della istituzione della Regione Salento che non solo non
danneggerebbe il resto del territorio dell'attuale Regione, ma anzi
consentirebbe una maggiore valorizzazione dell'attuale Nord della Puglia
con la esaltazione delle sue differenze e delle diverse vocazioni. E
comunque, a prescindere dalle idee politiche di ognuno e dall'essere
contrari o meno alla nascita di una Regione Salento, che possa
rappresentare e meglio accorpare identità storico culturali che
accomunano le province di Lecce, Brindisi e Taranto, sono convinta che
non si possa negare la possibilità agli stessi salentini di esprimersi
attraverso un referendum consultivo, principale e più importante
strumento di democrazia rappresentativa e partecipata.
E' un momento particolare della storia
d'Italia quello che stiamo vivendo: le minacce secessioniste della Lega
sono sempre in agguato, dopo quelle all'Unità d'Italia, arrivano le
provocazioni su Roma Capitale d'Italia. Il Caroccio, che in altre
occasioni ha dimostrato di essere attaccato (e come!) al potere romano,
maldestramente attenta all'Unità del nostro Paese.
Per quanto mi riguarda, ho sempre con
veemenza risposto a simili attacchi all'Unità d'Italia, fermamente
convinta che i valori unitari non debbano essere intaccati da nessun e
in nessun modo. Semmai va solo ridata dignità al Meridione, che proprio
in virtù della realizzazione dell'Unità d'Italia ha pagato un
pesantissimo tributo taciuto nei testi storici. Per questo, ho affermato
in più occasioni che la storia attuale ha il dovere di restituire verità
storiche importanti e dignità ai cittadini meridionali, che in primo
luogo sono italiani.
Il diritto sacrosanto di includere la
volontà dei salentini, attraverso una scelta referendaria,
nell'eventuale nascita della regione Salento si inquadra in una scelta
ampiamente democratica e in prospettiva di uno Stato unitario ad
impianto federale.
Adriana POLI BORTONE
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Venerdì 22 Ottobre 2010 (di
Umberto FANUZZI) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Senza autonomia
non ci sarà svolta
La diretta conoscenza delle modalità
operative degli organi rappresentativi e decisionali e della struttura
organizzativa della Regione Puglia acquisita nel corso dei cinque anni
di lavoro quale staff economico dell'ex presidente della Provincia di
Brindisi, Michele Errico, mi hanno convinto del fatto che risulta
necessario ed improrogabile realizzare il nuovo soggetto istituzionale
intorno al quale si sono concentrate significative e qualificate
attenzioni di cittadini comuni, di professionisti e di rappresentanti
della società civile.
La Regione Salento va istituita quale
organismo istituzionale rappresentativo di una popolazione composta da
1.797.299 cittadini residenti, omogenea sia socialmente che
culturalmente, che è meritevole di una specifica autonoma rappresentanza
anche politica, che la faccia assurgere al ruolo di entità
imprescindibile in tutti i contesti nazionali, comunitari ed
internazionali, perché:
occorre liberarsi dal condizionamento e
dai vincoli prodotti dagli attuali organi regionali nell'ambito della
definizione delle direttrici dello sviluppo economico e sociale che
vengono tracciate a livello macro e con la preferenziale ricaduta sul
territorio dell'attuale capoluogo regionale senza coinvolgere i
territori interessati che, al contrario, conoscono dettagliatamente ed
approfonditamente la situazione ed i fabbisogni degli stessi e, quindi,
la natura e tipologia degli interventi fisici finanziari più rispondenti
per lo sviluppo del territorio ed alle attese ed alle istanze dei
cittadini;
occorre, quindi, appropriarsi della
gestione delle risorse finanziarie comunitarie (quelle eventualmente
disponibili oltre il 2013) e nazionali al fine di utilizzarle per la
realizzazione di progetti strategici di sviluppo infrastrutturali e per
i settori economici, per il sistema del welfare e della salute
determinati sulla base di una scala di priorità definita dal territorio
salentino evitando, in tal modo, che si verifichi ancora la demenziale
parcellizzazione del Salento in quattro "Aree Vaste" fra loro
concorrenti nell'assegnazione di fondi pubblici mediante la
presentazione di un proprio Piano Strategico di sviluppo del territorio
di riferimento, compreso quello della Viabilità e della Valutazione
ambientale strategica. Piano basato su una miriade di progetti per
tematiche predefinite senza che fra dette aree, sia a livello
progettuale che territoriale, vi fosse, come avrebbe dovuto essere,
l'obbligo di individuare un unico punto di riferimento decisionale ed
operativo (invece delle attuali quattro costose strutture poste in
attività con i criteri e i metodi usualmente adottati dal sistema
politico nella ripartizione di incarichi e poltrone) che coordinasse e
mettesse in rete tutti quei progetti accomunati da specifici obiettivi
di sviluppo allo scopo di ottenere il massimo dei risultati;
occorre liberarsi dal sistema di
relazioni "vischiose" poste consapevolmente in essere ai diversi livelli
politici ed operativi che rendono difficile l'attivazione e la gestione
dei rapporti fra Regione e rappresentanze istituzionali ed economiche
anche se sottoscritti in accordi e/o intese territoriali, evitando, in
tal modo, il ripetersi di fatti già accaduti quale la mancata attuazione
del Protocollo di Intesa e del Programma di Intesa Istituzionale e del
Documento di Intenti per lo sviluppo socio-economico sottoscritti nel
2006 e 2007 fra Regione Puglia e le tre Province di
Brindisi-Lecce-Taranto. Questi prevedevano l'assegnazione di fondi Fers,
Fas, Fse per oltre 300 milioni di euro nel periodo di programmazione
2007-2013 a fronte di progetti interprovinciali e sovraterritoriali,
impegni finora ampiamente disattesi nonostante i tanti "viaggi della
speranza" fatti a Bari per discutere con i vertici regionali che,
invece, smistavano per improrogabili sopravvenuti impegni ai funzionari
che ovviamente "prendevano atto del problema per poi riferire" (chi
scrive è stato coordinatore dei tavoli tecnici attivati dalle tre
Province per la stesura dei detti documenti);
occorre sostituire il criterio adottato
dalla Regione nella ripartizione delle risorse pubbliche da destinare
agli investimenti basato su quote percentuali determinate sulla base
della popolazione residente nei territori provinciali perché non tiene
conto della strategicità e qualità dei progetti e dei risultati previsti
in termini di ricaduta economica su ciascuno di essi;
occorre poter contare su una struttura
operativa snella e sburocratizzata, vicina al territorio composta da
dipendenti responsabili e professionalizzati che conoscono lo stesso
perché ci vivono e non perché leggono i documenti, sempre più copiosi,
richiesti a fronte di qualsiasi iniziativa pubblica e/o imprenditoriale;
occorre cogliere le opportunità e le
potenzialità presenti nel federalismo, si auspica definito mediante
l'adozione di una strutturazione dei decreti attuativi effettivamente
efficaci e funzionali, anche per evitare che la sua attivazione produca
un ulteriore e gravoso innalzamento del livello "direttorio" delle
politiche regionali ed un inaccettabile aumento del grado di
accentramento dei poteri di indirizzo e gestionali della Regione.
La risposta adeguata a tutto ciò è
rappresentata dalla costituzione della Regione Salento: le motivazioni
esposte assumono un rilievo indiscutibile, in termini di necessità ed
opportunità, per l'autodeterminazione del proprio modello di sviluppo
che interessa un'area geografica caratterizzata fra l'altro, da un
comune significativo passato storico, da una importante specifica ed
elevata omogeneità culturale, da una economia basata su settori
produttivi di tradizione e qualificati, dalla presenza di competenze
professionali e tecniche e da poli culturali universitari di buon
livello, da un livello alto di scolarizzazione, da un notevole dinamismo
del sistema delle Pmi e dell'artigianato, dalla presenza di risorse
naturali ed ambientali che possono considerarsi strategici per lo
sviluppo del turismo.
Alcune delle ragioni esposte da coloro
che sono contrari all'iniziativa condotta in assoluta libertà dai
promotori e senza l'ingerenza ed il condizionamento di chicchessia, sono
facilmente smontabili; ad esempio, quella della moltiplicazione dei
costi di funzionamento della pubblica amministrazione che, viceversa, si
ridurrebbero atteso che gran parte degli attuali dipendenti regionali
(circa 7mila) diventerebbero eccedenti e la riduzione del loro costo non
verrebbe compensata dai dipendenti della nuova Regione Salento che si
potrà dotare di una struttura non elefantiaca quale quella regionale
formatasi negli anni per "familismo" e "appartenenze".
Inoltre, i costi e le spese generali
aggiuntivi saranno sostanzialmente contenuti e di ammontare tale da non
assorbire le economie ottenibili con il consistente contenimento e con
la rideterminazione della attuale struttura organizzativa regionale. Una
fra le altre critiche circa la realizzabilità dell'iniziativa, è quella
che si viene a creare un nuovo inutile organismo che frazionerebbe una
unità politica, socio-economica e geografica ormai stratificata e
consolidata dando vita, si dice, ad una micro realtà. A tale rilievo può
contrapporsi il fatto che sussistono regioni con popolazione residente e
superficie geografica ancora più contenute della Regione Salento quali
l'Umbria, la Basilicata ed il Molise che non sono caratterizzate
certamente da "nanismo" nel panorama nazionale. Si rammenta che la
Regione Salento rappresenta il 44% della popolazione dell'intera Regione
Puglia ed il 36,3% dell'intera superficie regionale.
Umberto FANUZZI
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Giovedì 4Novembre 2010 (di
Francesco FLASCASSOVITTI) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
Un'idea forte
con una storia ricca di cultura
Nel recente incontro promosso dall'Ande,
le affermazioni di chi si è dichiarato contrario alla Regione
Salento, mi spingono ad intervenire per offrire elementi di riflessione
a coloro i quali, in quel dibattito, hanno dichiarato che tale-
"proposta nasce storicamente debole e non condivisa" e che "in questo
territorio non c'è mai stata la volontà di dividersi dalla Puglia,
tant'è che quando era possibile con le disposizioni finali della
Costituzione non è avvenuto".
Contrariamente a quanto si possa pensare,
la "questione salentina" non è affatto recente, giacché fu affrontata
già a metà del 1800, allorquando l'onorevole Gaetano Brunetti, nel
presentare al Parlamento Subalpino il 20 marzo 1861 l'istanza per
ottenere una Corte d'Appello in Lecce faceva presente che il Salento è
un territorio che da un punto di vista linguistico e storico costituisce
una parte a sé stante della Puglia.
Tale istanza, che era considerata il
primo passo verso l'autonomia, regionale, fu ripresa dal Consiglio
Comunale di Lecce il 1 maggio 1862, che deliberò di inviare al Re una
Commissione perché rappresentasse al Sovrano le peculiarità della
provincia di Lecce e del Salento tutto e, di poi, in più occasioni dal
Consiglio Provinciale di Terra d'Otranto, con le delibere adottate il 26
maggio 1884, il 24 aprile 1903 ed il 17 maggio 1904, ed infine nella
seduta del 15 novembre 1906.
La questione della Regione salentina,
cioè di un territorio che aveva un proprio ruolo nel contesto della
Puglia e perciò era meritevole di ottenere una propria autonomia, fu ben
presente nella prima metà del secolo scorso anche in autorevoli uomini
della cultura meridionale e di quella parte della cultura pugliese non
salentina, libera da spirito campanilistico ed aperta a moderne
istituzioni di decentramento come Michele Cifarelli, Tommaso ed Ilario
Fiore, il gruppo dei meridionalisti discepoli di Benedetto Croce.
Non è esatto, così come è stato scritto,
che fu il solo onorevole Codacci Pisanelli all'avvento della Repubblica
a combattere per il riconoscimento dell'autonomia regionale, perché la
legittima aspirazione del Salento a diventare Regione autonoma fu
oggetto di numerosi studi e interventi da parte di coloro i quali
ritenevano, già negli anni '40, che ci si dovesse battere per il
decentramento e per l'identità del Salento.
Il problema della Regione Salentina
infatti fu affrontato autorevolmente da Sebastiano Grassi, il Principe
Apostolico, in una pregevole monografia nella quale fu dimostrato che il
Salento meritava di essere riconosciuto Regione. I nostri conterranei
professori Attilio Biasco, Luigi Mariano, Liborio Salomi e Guglielmo
Paladini studiarono attentamente la fattibilità della proposta di
istituire una Regione Salentina ed esposero i risultati dell'indagine,
nel 1946, nella monografia "La Regione Salentina", consultabile presso
la nostra Biblioteca provinciale.
Ma ancora nei primi anni post-bellici,
prima che la Commissione cosiddetta "dei 75" incaricata di indicare le
Regioni da inserire nella Carta Costituzionale (la quale bocciò la
proposta della Regione Salento per un solo voto, pare dell'onorevole
Aldo Moro), il federalismo e le autonomie regionali furono oggetto di
discussione vivace ed appassionata.
Gaetano Salvemini in un articolo
pubblicato in "Critica Politica" scriveva: "Molte delle provincie
italiane sono regioni naturali. Per esempio le province di Reggio
Calabria, Catanzaro, Cosenza, Potenza, Lecce, Bari, Foggia, Roma,
Perugia, Genova, combaciavano prima di certe riforme fasciste, con vere
e proprie regioni naturali: le tre Calabrie, la Basilicata, la Terra
d'Otranto, la terra di Bari, la Capitanata, il Lazio, la Liguria,
l'Umbria".
Il Salvemini, identificando il Salento
con l'antica provincia di Lecce e questa con la "Terra d'Otranto",
riconosceva che questa era una "regione naturale" distinta nettamente
dalla Terra di Bari e dalla Capitanata. Ma perfino Don Sturzo del 1944
scriveva su "Le Autonomie regionali ed il Mezzogiorno": "Il Salento
costituisce indiscutibilmente una regione, perchè oltre ad essere
circoscritta naturalmente, è una vera unità specifica di lingua, di
storia, di costumi, di affinità, di interessi...".
Sempre in quel tempo, tra gli aderenti al
Partito d'Azione, tra cui Nicola Flascassovitti, indomito sostenitore
della Regione Salento, tornò a riaffacciarsi l'idea della ricomposizione
della Terra d'Otranto col riaccorpamento delle tre provincie di Lecce,
Brindisi e Taranto che il fascismo aveva da poco disaggregate; un
progetto che tutte le forze politiche salentine avevano messo al centro
dei loro programmi, sin dalla loro ricostituzione. Tant'è che si era
formato un forte movimento popolare che culminò in una solenne adunanza
in Taranto alla quale parteciparono i rappresentanti delle maggiori
organizzazioni ed enti salentini ed in cui le tre provincie di Lecce,
Brindisi e Taranto concordemente dichiararono di volersi dare
un'autonomia regionale.
Scrisse allora Nicola Flascassovitti su
"La Provincia di Lecce" che "in quella adunanza ha palpitato lo spirito
della nostra Regione che si ribella all'accentramento statale il quale
ha soffocato, se non distrutto l'economia, la storia e l'avvenire della
nostra terra" ed auspicò "una grande, libera consociazione dei Comuni
salentini, come la Lega dell'Umbria, che dia il via allo sviluppo dei
Comuni medesimi e delle tre province".
La battaglia per il riconoscimento della
Regione Salento fu portata avanti da Flascassovitti sulle pagine de "Il
Salento nostro" e del settimanale della domenica "La Provincia di
Lecce", poi divenuto "la Regione Salentina", il quale in numerosi
articoli apparsi negli anni dal 1946 al 1948 difese con forza il diritto
dei salentini ad avere la loro Regione.
Scriveva Nicola Flascassovitti nel numero
del 13 gennaio 1946 de "La Provincia di Lecce" a proposito della
Commissione Ministeriale per l'elaborazione della "Legge elettorale
politica per l'Assemblea Costituente": "Spesso le regioni comprendono
territori e genti completamente distinte, anzi opposte tra loro. È
possibile ignorare che Lecce, Brindisi e Taranto hanno una propria
storia, una propria tradizione, una lingua propria, oltre che interessi,
costumi, economia in comune, diversi, distinti e sovente opposti alle
rimanenti popolazioni e territori della Puglia e cioè Terra di
Bari e di Capitanata?"
La mancata istituzione della Regione
Salento non impedì a Nicola Flascassovitti di continuare negli anni
successivi la sua costante ed appassionata attività intesa a richiamare
l'attenzione dei responsabili della Cosa Pubblica sul problema della
autonomia del Salento: tanto con articoli, interventi conferenze e
dibattiti (l'ultimo il 16.9.1991 sul tema proposto da Domenico Faivre de
La Gazzetta del Mezzogiorno: "Lecce dove sei?").
Vale poi ricordare che nel 1986
l'onorevole Meleleo, già sindaco di Lecce, aveva promosso un convegno
per la istituzione di una Regione Salentina. Il convegno intitolato
"Salento porta d'Italia" riaffermò l'importanza del Salento dal punto di
vista storico, geografico e culturale, ribadita dagli autorevoli
intervenuti di Moscati, Valli, Marti, Urso. In quella sede l'onorevole
Meleleo annunciò ufficialmente che avrebbe proposto in Parlamento un
progetto di legge per la istituzione della Regione Salento.
Non va infine dimenticato che con atto
per notar Paolo Dell'Anna del 30 aprile 1991 un gruppo di cittadini
leccesi, capitanati da Ferdinando Doria, costituì un "Movimento per la
costituzione della Regione Salento" (M.c.r.s.) il cui scopo, si legge
nel suo statuto, era "la costituzione di una entità regionale formata
dalle provincie di Lecce, Brindisi e della fascia fonica di Taranto".
Merita perciò più attenzione e
considerazione la proposta portata avanti con entusiasmo da Paolo
Pagliaro, presidente del Movimento Regione Salento, anche in dissonanza
da quanti, considerandola un'utopia, invocano una unità della Puglia che
non è mai esistita tranne che sulla carta geografica della penisola.
Francesco FLASCASSOVITTI
dal
Nuovo Quotidiano di Puglia di Mercoledì 1 Dicembre 2010
(di Paolo PAGLIAROI) |
REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"
«Ora il
territorio decida il suo futuro»
Paolo Pagliaro, presidente Movimento
Regione Salento: il primo passo sembra fatto.
«È un momento storico, non si era mai
arrivati a questo coinvolgimento popolare».
I passaggi quali saranno, ora?
«Vorremmo una partecipazione di tutti o
quasi i Comuni delle tre province: domani partiranno le lettere di
sollecito, e il 20 dicembre depositiamo in Cassazione la richiesta. La
nostra proposta è di andare al voto abbinandolo ad elezioni politiche».
Sul referendum c'è stata una disputa
giuridica, e le ambiguità non sembrano fugate.
«Il professor Melica si è occupato di
tutto l'iter, la strada è quella giusta, anche perché sottoposta al
vaglio della Corte di Cassazione in precedenza».
L'identità socio-culturale della
Regione Salento non è troppo diversificata per essere ritenuta unica?
«L'aspetto identitario è importante, ma
non è prioritario. La madre di questa battaglia è la Terra d'Otranto, il
padre è il futuro: ciò che conta sono gli interessi concreti, economici,
di sviluppo, di autodeterminazione che riguardano tutte e tre le
province, che devono determinare il proprio futuro plasmando i propri
cervelli sulle esigenze locali».
Il `Bari-centrismo" aumenta: cosa
glielo fa pensare?
«Gli indici di distribuzione delle
risorse spiegano che il 70 per cento sono per Bari. C'è un forte
squilibrio».
Una nuova Regione moltiplicherebbe i
costi della politica.
«No, anzi: nascendo in questa fase
storica, avrebbe un modello gestionale virtuoso che può essere un
modello. Costruendo di sana pianta è più semplice dell'intervento su
situazioni incancrenite. Vogliamo un ente responsabile, efficace,
prossimo al cittadino».
Perché i partiti sembrano scettici?
«Siamo un movimento indipendente da
tutti, parliamo ai volti e non ai voti, senza ambizioni elettorali. E
questo sfugge al controllo delle nomclature. Il consenso invece c'è da
parte degli amministratori».
Ma una nuova Regione sarebbe
sufficiente per attrarre più risorse sul territorio?
«Non ci sono controindicazioni in tal
senso».
Intervista a Paolo PAGLIARO
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