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REGIONE SALENTO

LE RAGIONI DEL "SI"

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Mercoledì 18 Agosto 2010 (di Veronica MERICO)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Idea giusta ma da strappare ai salotti

Da qualche mese assistiamo, attraverso i mezzi di comunicazione, ad una massiccia campagna che invita i consumatori a scegliere e a privilegiare i prodotti e le aziende del nostro territorio. Iniziativa lodevole, anche se a forte contenuto commerciale, visti i protagonisti proponenti e sottoscrittori.

Per i valori sociali e popolari che ci contraddistinguono e in coerente continuità con le battaglie portate avanti, avremmo preferito che questa campagna fosse rivolta anche ai piccoli imprenditori, quelli anonimi, senza voce che combattono per non estirpare le vigne o gli oliveti, che hanno combattuto durante questa stagione estiva da soli e con i propri mezzi l'erosione delle nostre splendide spiagge; che credono nel loro lavoro e soprattutto lo fanno animati da una passione infinita per la nostra terra, senza nulla togliere  ai principali "nomi" della nostra economia che con enormi sforzi sono riusciti a ritagliarsi una fetta di mercato, ma che rispetto ai primi hanno raggiunto posizioni più "comode". Ci colpisce positivamente questo "riscoperto" sentimento di salentinità che si manifesta e concretizza nella volontà, da parte degli stessi attori di cui sopra, di lanciare una campagna per l'istituzione della Regione Salento.

Si comprenderà la sorpresa di chi, come me, da tempo ormai, attraverso la rete, ma anche scendendo in campo nelle ultime competizioni elettorali sotto un simbolo che si chiama Salento Libero Regione, porta avanti, con enormi sacrifici, insieme con tanti altri signor nessuno, una delle tante battaglie storiche dell'ideatore del nostro movimento e presidente onorario, Mario de Cristofaro. Sorpresa perché mai, in nessuna occasione, dalle conferenze sull'argomento devoluzione ai seminari sugli effetti della globalizzazione, abbiamo avuto il piacere di conoscere le posizioni anche di uno solo dei promotori dell'iniziativa referendaria per la Regione Salento.

Sia chiaro: ben vengano tutte le iniziative che hanno a cuore la crescita e il miglioramento del nostro territorio, ma la Regione Salento così come la intendiamo noi non è mera esigenza economica. E piuttosto una "battaglia" che scalda l'anima e il cuore, è una passione per questa terra, troppo a lungo ridotta al silenzio, fatta di giovani uomini e donne pronti a dare il meglio per riscattarla: non solo imprenditori, professionisti, ma anche e soprattutto gente comune, persone in carne e ossa che la mattina si alzano per andare a lavorare (i più fortunati) e durante la giornata si trovano a combattere con tutte le contraddizioni che il nostro territorio riserva, che credono nella sua bellezza, nelle sue potenzialità e nella cultura che esprime.

La nostra è stata un'idea a lungo osteggiata, tacciata di utopia: proprio questa diversa visione contraddistingue il nostro movimento, un'esigenza che nasce dal popolo e non nei salotti del potere precostituito. L'intento non è quello di ritagliarsi una fetta di potere: siamo un movimento culturale, sociale e popolare, e il coinvolgimento delle nuove generazioni ne è una prova tangibile. Siamo pronti a dare il nostro contributo, qualora ci sia la volontà di avviare cambiamenti reali, anche a costo, se necessano, di scardinare posizioni politiche comode e consolidate; pronti a costituire un partito politico se per far valere le nostre ragioni dovremo far leva sui numeri; pronti ad allearci con chi, come noi, crede che le utopie sono realizzabili, perché figlie di un'esigenza sociale, convinti che "il modo migliore per realizzare un sogno è svegliarsi".

Veronica MERICO

coordinatrice Salento Libero Regione

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Giovedì 26 Agosto 2010 (di Vittorio RAELI * )

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Regione Salento: i verdetti della Storia

Chi si è recato ai Musei Vaticani ed ha scelto l'itinerario che porta alla Cappella Sistina avrà notato che nella Galleria delle carte geografiche, situata all' inizio del percorso, due, sono le carte che raffigurano la Puglia: quella del Salento e quella della Capitanata.

Già questo basterebbe per evidenziare come sin dai tempi della antichità il Salento abbia costituito una realtà economica e culturale, della quale la geografia non poteva che prendere atto.

Spetta senz'altro agli storici ed agli antropologi sottolineare gli aspetti che fanno del Salento un'area non soltanto geografica, ma culturale e sociale. Il compito degli studiosi delle istituzioni è, in primo luogo, quello di recuperare la memoria storica.

Ciò detto, il progetto del Salento come Regione durò nel breve arco di tempo che va dal 17 dicembre 1946 sino al 29 ottobre 1947.

Fu ad opera di Giuseppe Codacci Pisanelli, nato a Tricase ed eletto all'Assemblea costituente, che fu approvata nella seconda sottocommissione della Commissione per la Costituzione (Commissione dei 75), la proposta di istituire il Salento come Regione. Alcune delle motivazioni di quella proposta sono senz'altro superate dallo sviluppo della economia salentina, ma indubbiamente rimane valido, ancora oggi, quanto osservava l'on. Codacci Pisanelli: "L'aspirazione del Salento a costituirsi come regione autonoma è assai antica. Una richiesta in tal senso fu avanzata sin dal 1860, all'epoca, cioè, dell'unificazione d'Italia. Gli abitanti della zona hanno sempre tenuto a chiamarsi Salentini; "Salentine" furono chiamate le ferrovie costruite nella zona da una società all'inizio del secolo. L'aspirazione del Salento a costituirsi in Regione è stata sempre sostenuta senza chiasso o violente manifestazioni esteriori, ma con fermezza e decisione, perché la popolazione locale è stata sempre amante dell'ordine e ha un innato rispetto dell'autorità costituita. Gli abitanti del luogo sono convinti che la loro aspirazione non possa nuocere all'unità del Paese, raggiunta dopo tante fatiche e sanguinose lotte, a cui gli stessi Salentini hanno partecipato, e che essi quindi volgiono che ad ogni costo sia mantenuta".

L'illustre uomo politico evidenziava, inoltre, come "nella Capitanata, nella terra di Bari e nel Salento esistano notevoli differenze di struttura economica", aggiungendo che "in queste tre zone si hanno varie tonalità nel dialetto, il che sta a provare una diversa origine etnica delle popolazioni locali" e, inoltre, che "fra i diversi motivi che consigliano di addivenire alla costituzione della Regione del Salento, non bisogna dimenticare questo che, con il distacco di tale zona dal resto della Puglia, non si avrebbe più una sola Regione di così eccessiva lunghezza com'è l'attuale regione pugliese. Né va dimenticato che, se la città di Brindisi dovesse continuare a fare parte di una stessa Regione con centro la città di Bari, il porto di Brindisi, che è uno dei più sicuri sul litorale adriatico, sicuramente non verrebbe sfruttato". Quanto sono lungimiranti queste parole ogni salentino si può rendere conto. Fatto sta che, come dicevamo, nella seduta del 17 dicembre 1946 la proposta di istituire la "Regione del Salento" venne approvata, mentre furono respinte le analoghe proposte di istituire la regione emiliano-appenninica e la regione Daunia, comprendente la zona del Tavoliere. Il "sogno", però, durava poco, in quanto già il 1 ° febbraio 1947 la Commissione dei 75, in seduta plenaria, approvava un ordine del giorno con cui sospendeva ogni decisione in merito alla istituzione delle nuove regioni, in attesa di accertamenti presso gli organi locali delle popolazioni interessate. Nel passaggio del progetto di Costituzione dalla Commissione alla Assemblea costituente il riferimento al Salento, nell'elenco delle regioni, fu cancellato ad opera del Comitato di redazione, (chiamato anche "Comitato dei 18"). Restano scarse tracce della attività di questo organo, per alcuni il "vero organo motore della Costituente" , dato che non fu fatta alcuna verbalizzazione delle riunioni, per cui non è dato comprendere le ragioni che spinsero i componenti del Comitato di redazione a eliminare il Salento dall'elenco delle Regioni.

Di certo, secondo testimonianze dirette, si fanno risalire lo stesso schema della Costituzione e la raccolta delle disposizioni generali ad una riunione informale tra il Presidente Ruini ed alcuni tra i rappresentanti politici più significativi, come l'on. Aldo Moro. E questo sembrerebbe, dunque, avvalorare quanto affermato dall'on. Mario Vito Stampacchia, il quale sostenne in assemblea che la decisione di cancellare la "Regione del Salento" sia stata presa "...ad opera di quattro o cinque che si sono visti nel pomeriggio del 27 luglio di quest'anno".

Ciò provocò, comunque, la reazione dell'on. Codacci Pisanelli, il quale affermava, nella seduta del 29 ottobre 1947, che "in ogni modo, il Comitato di redazione doveva limitarsi a coordinare, e coordinare, non equivale a modificare. Qui sono state soppresse alcune regioni che erano state incluse dopo accurata discussione e dopo votazioni. Sono state soppresse, senza che al Comitato di redazione fossero stati dati questi poteri. Ritengo perciò che l'articolo 123 debba essere presentato all'Assemblea nella formulazione adottata nel progetto di Costituzione e non nella attuale formulazione".

Ma, la proposta di ripristinare la formulazione adottata nel progetto di Costituzione diversa da quella recepita dal Comitato di coordinamento non passò anche per l'atteggiamento ufficiale del Gruppo Democratico Cristiano, rappresentato dalle parole dell'on. Moro. "Noi non intendiamo con questa votazione precludere la possibilità che in avvenire, ad opera delle Assemblee legislative, dopo studi seri ed attenti sulla realtà economica, politica, geografica, sociale delle regioni interessate, dopo più attenta e più seria consultazione delle popolazioni interessate, si giunga ad un diverso assetto delle circoscrizioni regionali. Ma se volessimo anticipare questo momento, mentre siamo sollecitati dall'urgenza di terminare  i nostri lavori, noi correremmo il rischio di non creare un serio assetto regionale in Italia, determinando piuttosto delle circoscrizioni le quali obbediscano a criteri di opportunità contingente".

Poiché il cammino verso il referendum consultivo - che rappresenta l'obiettivo principale del Comitato promotore - non sarà certo facile è bene, dunque, tenere presente sin d'ora la lezione che si trae dalla vicenda dei lavori preparatori della Costituzione per impedire che abbiano più a verificarsi degli autentici " colpi di mano" in danno delle popolazioni salentine; affinchè, cioè, non si ripeta quanto avvenne con la cancellazione della "Regione del Salento" dall'elenco delle regioni che di lì a poco sarebbero state istituite con l'approvazione della Costituzione attualmente in vigore.

Vittorio RAELI

*Consigliere della Corte dei Conti

 

 

 Lettera del dott. Pietro Calcagnile - Venerdì 27  Agosto 2010

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Occasione storica per la nascita della regione Salento

La pubblica amministrazione (Comune, Province, Regioni e Ministeri ) crea posti di lavoro.

Non è un caso che la Lega insiste per trasferire al Nord alcuni Ministeri: alcune televisioni di Stato si trovano già al Nord nonché tutte le private più importanti.

Anche se la spesa della pubblica amministrazione grava sui cittadini è lapalissiano che crea posti di lavoro. Il Regno di Napoli dopo l’Unità d’Italia non si è più ripreso perché aveva perso la sua ricchezza principale: i Ministeri.

Da quel momento l'economia del Sud fu completamente distrutta e si è ripresa soltanto cento anni dopo negli anni 60-70-80 perché l’Agricoltura veniva assistita dallo Stato Italiano prima e dalla Comunità Economica Europea poi.

Adesso che l'Agricoltura è stata abbandonata dallo Stato Italiano e dalla Comunità Europea a causa di una classe politica incapace di guardare ai problemi reali del Mezzogiorno, un po di posti di lavoro in più non guasterebbero con la nascita della Regione Salento.

Abbiamo bisogno di una Università del Salento completa di tutti i corsi di laurea, compreso Medicina, Agraria e Architettura: la ricchezza che qui si produce non deve essere sperperata ai quattro venti.

Dobbiamo ampliare il nostro turismo perché solo così possiamo far conoscere i nostri prodotti.

Ma soprattutto abbiamo bisogno di una cultura della solidarietà affinché la ricchezza sia distribuita più equamente fra tutte le classi sociali e in tutte le Regioni italiane.

I poteri forti si stanno mangiando l’Italia: i ricchi diventano sempre più ricchi e ci vogliono togliere pure i diritti acquisiti.

Nessuno osa criticarli perché abbiamo un Parlamento nominato dai poteri forti e non dai cittadini ma soprattutto perché i ricchi sono proprietari di giornali che condizionano la vita politica italiana.

L'occasione è storica per la nascita della Regione Salento: se perdiamo questo treno resteremo a piedi per sempre.

Veglie, 26 Agosto 2010

dott. Pietro Calcagnile

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Sabato 28 Agosto 2010 (di Annalisa NESCA)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

MIGGIANO: Approvata in Consiglio Comunale la proposta da presentare in Parlamento. Ma l'opposizione non è d'accordo

Regione Salento: arriva il primo sì al referendum

Il movimento per l'istituzione della Regione Salento mette in cassa il primo sì ufficiale. Raccolto, dunque, l'appello lanciato a tutti i Comuni delle Province di Lecce, Brindisi e Taranto per l'approvazione di un referendum per la modificazione territoriale della Regione, che consenta di presentare in Parlamento la proposta per la costituzione di un nuovo ente regionale. Il sì giunge dal consiglio comunale di Miggiano, prima cittadina leccese ad aver affrontato, ieri in seduta monotematica, la questione approvando la proposta della consultazione popolare da presentare alla Corte di Cassazione. Indubbio il valore che una Regione può portare al territorio salentino, a volte troppo distante da Bari e poco coinvolto, nonostante i numerosi rappresentanti della classe politica delle tre province interessate. Il sindaco di Miggiano Giovanni Damiano e il vicesindaco Antonio Del Vino hanno espresso la ferma volontà di approvare la proposta considerandola meritevole di attenzione e concretizzazione per quei benefici che l'intero territorio potrebbe trarne, dal turismo all'ambiente, ai trasporti, all'ambito socio-sanitario. La proposta è stata votata solo dalla maggioranza. L'opposizione, guidata dall'avvocato Maurizio Cafiero, ha sottolineato le ombre del progetto "Regione Salento".

«L'idea di un'istituzione più vicina alla popolazione del Salento può essere ottima - ha spiegato Cafiero -, ma questa sembra più un ipotesi pseudosecessionista. E necessario informare i cittadini non solo sui vantaggi ma anche sui costi, che saranno davvero onerosi, soprattutto in questo periodo di crisi. Quali le reali conseguenze e quale l'impatto sulla realtà di questo territorio? Prima di partire con una proposta del genere è fondamentale capire in quale direzione si sta andando. Si parla di eliminare le Province, di abbattere i costi, di far funzionare meglio e le Unioni dei Comuni e di creare macrocomuni con funzioni allargate. La costituzione di una nuova Regione graverebbe pesantemente sulle tasche dei salentini».

Annalisa NESCA

 

 da La Gazzetta del Mezzogiorno di Domenica 29  Agosto 2010

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Il Comune di Miggiano dice «sì» al Comitato promotore

Miggiano dice «sì» alla Regione Salento. Il consiglio comunale ha approva l'ordine del giorno della formale adesione all'iniziativa proposta dal Comitato promotore per il sì all'istituzione della Regione Salento, volto all'indizione dell'apposito referendum, ex articolo 132, comma 1, della Costituzione.

Miggiano risulta, così, il primo Comune delle tre province interessate a formalizzare un impegno, per quanto non vincolante, rivolto a mettere in moto l'intera macchina che dia alla volontà popolare la parola definitiva sulla questione che da settimane focalizza il dibattito politico-culturale.

Il sindaco Giovanni Damiano esprime apprezzamento per l'esito della seduta e si dice soddisfatto «perché, al di là delle rispettabili singole posizioni di ciascuno, il discorso possa essere affidato al popolo sovrano, nel rispetto dei principi democratici».

Un appello in tal senso è stato rivolto, nei giorni scorsi, da Adriano Napoli, responsabile regionale di Destra di base, nell'ambito dell'adesione ufficiale alla proposta della Regione Salento.

«Cominciamo a testimoniare l'autenticità del nostro impegno per il Salento aderendo tutti ad una battaglia sociale e politica già in atto» ha detto Napoli, il quale, tuttavia, ha tenuto a precisare che «la Regione Salento non deve essere sinonimo di meri interessi personali o politici mascherati da una battaglia sociale, facendo leva sull'orgoglio salentino e sulla buona fede di migliaia di persone. Prima di parlare di Regione Salento, dunque - ha rimarcato - parliamo di amore per la nostra terra e di rispetto per la dignità della nostra gente, da sempre considerata «figlia di un dio minore».

 

 da La Gazzetta del Mezzogiorno di Domenica 29  Agosto 2010

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Pankiewicz contro il presidente Vendola

«Non è un progetto secessionista»

«La Regione Salento non è un progetto secessionista. Le dichiarazioni del presidente della Regione sono sbalorditive».

Wojtek Pankiewicz, consigliere comunale del Centro moderato, replica alle dichiarazioni di Nichi Vendola, anche se tiene a premettere ed a precisare di tenere, prima di ogni cosa, all'Unità d'Italia.

«Sbalorditive sono le dichiarazioni che Vendola ha rilasciato, spinto chiaramente da interessi di potere - sostiene Pankiewicz - Come si fa a dire che l'idea di Regione Salento è un'idea leghista? Se così fosse, allora tutte le Regioni già esistenti sono leghiste. Allora è leghista anche la nostra Costituzione, fondata sul principio, dell'autonomia locale. Sono giuste le considerazioni che Vendola fa sul Salento - chiarisce - ma conducono esattamente alla conclusione opposta e cioè che è opportuna e necessaria la Regione Salento. Vendola che è un raffinato uomo di cultura dovrebbe sapere che perfino nei musei Vaticani, nella Galleria delle carte geografiche, situata nei pressi della Cappella Sistina le due carte che raffigurano  la Puglia sono quella del Salento e quella della Capitanata» manda a dire a Vendola.

«Purtoppo questa volta il potente Niki da Terlizzi, aspirante premier, è stato proprio deludente» conclude Pankiewicz.

 

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Lunedì 30 Agosto 2010 (di Domenico BIANCO *)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Bisogno diffuso. Decida il popolo

L'intervento dell'onorevole Lorenzo Ria, pubblicato ieri su Quotidiano, in merito al dibattito sull'istituzione della Regione Salento, desta non poche perplessità. Vogliamo dirlo nel modo più pacato ma anche fermo: il Movimento Regione Salento invita Ria e tutti i rappresentanti eletti a non contrastare un'iniziativa referendaria che parte dal basso. Vanno rispettate e apprezzate tutte le opinioni nel merito della proposta, ma per favore: la politica non prevarichi la legittima possibilità del popolo di esprimersi e decidere su questioni così sentite. Insomma, giù le mani dall'ipotesi di dare la parola ai cittadini. In un contesto, poi, in cui i parlamentari vengono nominati e, non eletti, questo invito poi vale doppio.

Nello specifico, nei contenuti del nostro Movimento, c'è tanto dell'operato di Lorenzo Ria quale, presidente della Provincia di Lecce. Se oggi riteniamo il Salento un valore aggiunto rispetto alla Puglia, gran parte del merito è anche suo. Ma proprio il suo lavoro che egli definisce lungo ed alacre nella direzione di un rilancio e di un ritrovato fermento sociale di questo territorio sembrerebbe supportare positivamente le ragioni della costituzione della nuova regione.

Oggi però, lo diciamo senza intenti polemici, la spinta verso la Regione Salento, deriva anche da un vuoto da colmare rispetto alla scarsa tutela del territorio operata dai nostri rappresentanti in Parlamento. Forse proprio perché nominati e:non eletti. Ci permettiamo quindi di sollecitare un maggiore impegno da parte della nostra deputazione in Parlamento nel portare avanti le istanze del territorio, soprattutto per quanto riguarda le infrastrutture ed i trasporti.

Infatti il progetto della istituzione della Regione Salento nasce, oltre che per le forti motivazioni culturali, anche e soprattutto per tutelare e difendere il nostro territorio su temi come l' autostrada che si ferma a Bari, la stazione di testa a Bari, l'invasione dei nostri campi con pannelli fotovoltaici e pale eoliche, - lo scempio per la ferrovia nella Valle della Cupa, e per scongiurare che l'Alta velocità si fermi a Bari, escludendo totalmente le province di Brindisi, Lecce e Taranto.

E su questo, se proprio non vuole impegnarsi per la Regione Salento, chiediamo a Ria (ma anche gli altri parlamentari) di attivarsi, rivendicando maggiore attenzione da parte della regione Puglia e del governo centrale, per questo territorio e una più equa ripartizione delle risorse per evitare che si totalizzi quel 60-70 per cento di risorse che la politica baricentrica della regione Puglia trattiene a Bari, lasciando una parte residuale alle altre province.

 

Domenico BIANCO

* coordinatore provinciale Brindisi

Movimento Regione Salento

 

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Martedì 31 Agosto 2010 (di Luigi MELICA)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Regione Salento: il percorso corretto

La tesi che avevo espresso in un articolo sul Quotidiano, secondo la quale la legge costituzionale istitutiva di una nuova Regione può derogare l'iter previsto dall'articolo 132 della Costituzione, criticata dall'onorevole Lorenzo Ria nell'intervento sul Quotidiano di domenica ("Regione Salento, dieci motivi per dire no"), non discende dalla storia costituzionale e, quindi, da una mia non precisa conoscenza delle disposizioni transitorie della Costituzione, come sembrerebbe emergere dalle affermazioni del deputato.

Essa scaturisce dall'applicazione delle regole basilari che presiedono la teoria delle fonti, ovvero, dai rapporti che intercorrono tra Costituzione e leggi costituzionali. È noto che in base all'articolo 138 della Costituzione, la Costituzione può essere modificata solo attraverso un procedimento aggravato che prevede un doppia deliberazione di entrambe le Camere adottata a non meno di tre mesi l'una dall'altra, richiedendosi, nella seconda deliberazione, la maggioranza assoluta dei componenti le Camere. È anche noto che la creazione di nuove Regioni si deve realizzare attraverso legge costituzionale, ossia attraverso un procedimento formalmente uguale a quello previsto per modificare la Carta (l'articolo 138, appunto).

È infine ancora più noto che non tutto il testo della Costituzione possa modificarsi o derogarsi, in quanto esistono limiti assolutamente insormontabili espressamente previsti (ad esempio il divieto di modificare la forma repubblicana, articolo 139) e limiti inespressi (quali i principi supremi della Costituzione contenuti nei suoi primi 12 articoli). Ebbene, proprio a proposito dei limiti alla revisione costituzionale, uno dei più illustri costituzionalisti contemporanei, il compianto Livio Paladin, già Presidente della Corte costituzionale, nel suo celebre manuale "Le fonti del diritto italiano", nel qualificare come una "scappatoia" la tesi secondo la quale il legislatore potrebbe adottare una legge costituzionale per eliminare il divieto di revisione della forma repubblicana e poi, sempre attraverso legge costituzionale, reintrodurre la monarchia, affermava testualmente: "A quella stregua, il limite derivante dall'articolo 139 non vincolerebbe le leggi di revisione costituzionale più di quanto importi l'art. 132, sul procedimento aggravato da seguire per la fusione di Regioni esistenti o per la creazione di nuove Regioni: procedimento che suole considerarsi modificabile nei singoli casi, derogando alla disciplina costituzionale e poi rinnovando l'elenco delle Regioni contenuto nell'articolo 131, appunto perché la Costituzione si guarda bene dal precludere qualsivoglia revisione del procedimento stesso".

In altre parole, mentre è implicito che anche con un doppio procedimento di revisione costituzionale non si possa tornare alla monarchia, il procedimento previsto dall'articolo 132 è ovviamente  derogabile proprio perché si deve intervenire con legge costituzionale e quindi seguire il procedimento previsto dall'articolo 138. Questa regola, altro non rappresenta se non la differenza che più in generale esiste tra abrogazione di una norma - anche costituzionale - e deroga della stessa a vantaggio di un'ipotesi specifica, nonché l'applicazione della basilare regola della successione delle leggi nel tempo aventi pari grado.

D'altra parte i presentatori del disegno di legge costituzionale per la creazione della Regione Romagna - n. 642 del 10 maggio 2006 di iniziativa del deputato Raisi, nonché il ddl costituzionale n. 176 presentato dall'onorevole Pini il 29 aprile 2008 - come accennavo nel mio articolo apparso sul Quotidiano, si propongono di istituire tale Regione ai sensi dell'articolo 132, ma derogandone l'iter, in quanto (probabilmente) lo ritengono illegittimamente attuato dalla legge n. 352 del 1970 la quale abilita al voto referendario anche i cittadini dell'Emilia e non solo quelli della Romagna, così attribuendo ai primi un diritto di veto alla istituzione della nuova Regione.

E se l'onorevole Ria avesse ancora dei dubbi, può leggere l'articolo 1 del ddl Pini sopra citato che recita: "E' istituita in deroga all' art .132 la Regione Romagna". Pini appartiene alla Lega Nord, le cui idee solitamente contrastano con le mie, ma, ancora una volta, devo ammettere che l'entourage leghista è molto preparato. All'amico Lorenzo Ria queste precisazioni le avevo fornite verbalmente incontrandolo di recente, ma, evidentemente, non è stato sufficiente.

Quindi, ribadisco, se per caso si decidesse di presentare un disegno di legge costituzionale senza seguire I' iter previsto dall'articolo 132, nulla osterebbe come già avevo scritto: tuttavia, lo riterrei inopportuno in quanto si eviterebbe il pronunciamento popolare. Il punto è proprio questo. Ma perché, mi chiedo, si vuole a tutti costi impedire che il popolo salentino si pronunci attraverso un referendum la cui natura è peraltro consultiva? Perché chi è contrario all'istituzione della Regione Salento, come Ria, non si adopera per far indire il referendum per poi  far prevalere le ragioni del "no" attraverso la sua straordinaria esperienza politica e vis oratoria? Sono peraltro convinto che un argomento usato in un altro articolo apparso sempre sul Quotidiano da un senatore, sempre dell'Udc, Totò Ruggeri, avente ad oggetto l'istituzione di una macro-provincia in alternativa alla Regione Salento, ben potrebbe essere esposto nella campagna referendaria in alternativa alla nuova Regione, e, quindi, per un voto contrario alla sua istituzione. Ma ostracizzare a priori un referendum, peraltro di natura consultiva, proprio non lo comprendo. Il mio mestiere, però, è quello di professore e non di politico.

Luigi MELICA

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Mercoledì 1 Settembre 2010

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Le cifre del Comitato promotore sulle adesioni al progetto

«Da 120 sindaci il primo sì al referendum»

Centoventi sindaci delle province di Lecce, Brindisi e Taranto sono favorevoli al referendum per istituire in Puglia la Regione Salento. E' quanto fa sapere il Movimento Regione Salento in un comunicato. Il Movimento, presieduto dall'imprenditore leccese Paolo Pagliaro e costituitosi lo scorso 5 Agosto, ha inviato a tutti i 146 co­muni delle tre province una proposta di ordine del giorno che chiede la convocazione di un referendum tra le popolazioni interessate, così come stabilito dall'articolo 132 della Costituzione. «Basterà che si pronuncino a favore i consigli comunali che rappresentano almeno un terzo dei circa un milione e ottocentomila abitanti delle tre province», ricorda Pagliaro.

«Finora a rispondere all'appello del Movimento sono stati 131 sindaci, che si sono espressi pubblicamente sull'argomento», è scritto in una nota del Comitato promotore.

«Nel dettaglio: 77 sindaci su 131 si sono detti favorevoli  al progetto di istituzione della Regione Salento, 29 sono possibilisti, ossia favorevoli ma con qualche riserva, 25 hanno detto invece no alla nuova regione».

«Quattordici dei 25 sindaci che si sono dichiarati contrari al progetto autonomista, si sono detti comunque favorevoli alla richiesta di referendum», è scritto ancora nella nota del Comitato promotore.

Intanto il consigliere regionale salentino Antonio Buccoliero, presidente regionale del Movimento Moderati e Popolari chiede a Vendola l'istituzione di un assessorato al Salento e maggiore attenzione nei fatti per la relativa area geografica. Allo stesso tempo contesta la presa di posizione che il presidente Vendola ha rivolto al progetto di Regione Salento, accusando i promotori di leghismo.

«Appare alquanto anomalo che il presidente Vendola, che ha fatto delle primarie e dell'espressione popolare il suo massimo punto di forza, dimostri una forte riluttanza di fronte alla possibilità di istituire una consultazione referendaria sulla costituzione della Regione Salento. Il popolo e la sua sacrosanta volontà non vanno usati ad intermittenza, a seconda del proprio personale interesse o piacere», evidenzia Buccoliero.
 

 da La Gazzetta del Mezzogiorno di Mercoledì 1 Settembre 2010

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Il Movimento fa il punto della situazione

«Regione Salento, 120 Comuni chiedono di fare il referendum»

Regione Salento, aumenta il numero degli amministratori che chiedono il referendum. In particolare, 120 sindaci delle province di Lecce, Brindisi e Taranto vogliono il referendum sulla Regione Salento, secondo quanto indica lo stesso Movimento Regione Salento.

Il Movimento, presieduto dall'imprenditore Paolo Pagliaro e costituitosi lo scorso 5 agosto, ha inviato a tutti i 146 Comuni delle tre province una proposta di ordine del giorno che chiede la convocazione di un referendum tra le popolazioni interessate, così come stabilito dall'articolo 132 della Costituzione. «Basterà che si pronuncino a favore i consigli comunali che rappresentano almeno un terzo dei circa un milione e ottocentomila abitanti delle tre province» ricordano dal Comitato. «Finora hanno risposto all'appello 131 sindaci, che si sono espressi pubblicamente sull'argomento - precisano dal Comitato - Nel dettaglio, 77 sindaci si sono detti favorevoli al progetto di istituzione della Regione Salento; 29 sono possibilisti, ossia favorevoli ma con qualche riserva; 25, invece, hanno detto "no" alla nuova regione. Di questi ultimi, però, 14, pur essendo contrari al progetto autonomista, si sono detti comunque favorevoli alla richiesta di referendum». E' da ricordare che il primo Comune ad approvare l'ordine del giorno è stato quello di Miggiano, nel corso del consiglio comunale convocato ad hoc lo scorso 27 agosto.

Nel frattempo, Alfredo Codacci Pisanelli, figlio del parlamentare che per primo pensò alla Regione Salento, invita a rivolgersi all'onorevole Giulio Andreotti per sapere «perchè, nel 1946, è stata depennata la Regione Salento ed è nata la Regione Puglia e che cosa è successo durante i lavori della Costituente».

E proseguono le prese di posizione dei politici. Tra gli altri, secondo Antonio Buccoliero, consigliere regionale dei Moderati popolari «appare alquanto anomalo che il presidente della Regione Puglia Vendola, il quale ha fatto delle primarie e dell'espressione popolare il suo massimo punto di forza, dimostri una forte riluttanza di fronte alla possibilità di istituire una consultazione referendaria sulla costituzione della Regione Salento. Suona stonato come Vendola, il quale non ha mai perso occasione di cavalcare l'onda riformista, forte di un appoggio popolare, che gli ha consentito, in passato, di fronteggiare e sbaragliare avversari della sua stessa parte politica, dimostri oggi un atteggiamento chiaramente retrogrado e oscurantista di fronte alla possibilità, offerta ai cittadini delle province di Lecce, Brindisi e Taranto, di esprimere il proprio parere sulla possibilità di costituire una Regione Salento. Che quest'opportunità vada a cozzare con gli interessi del Governatore e di una sua crescita politica su scala nazionale? - si chiede Buccoliero - O egli ritiene, forse, che i salentini abbiano l'anello al naso e non siano in grado di esprimere una volontà, che guardi al loro futuro e a quello dei loro figli?».

 

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Giovedì 2 Settembre 2010 (di Fernando SAMMARCO)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Radici e ragioni sono nella storia

Marco Vipsanio Agrippa, gran generale e fine stratega di Ottaviano, nel redigere la cartografia dell'Italia augustea elencò la nostra terra come "Regio II (Regio secunda) Apulia et Calabria", subito dopo la "Regio I - Latium et Campania" e prima della "Regio III - Lucania et Bruttii" (oggi Basilicata e Calabria).

Le macroregioni romane servirono ad uno strutturato dimensionamento del territorio per un maggiore controllo attraverso una fitta rete di municipia.

Si potrebbe osservare, che, storicamente, non fu operato, in quel tempo, un radicale stravolgimento degli assetti territorialistici che avevano, in gran parte, determinato l'intera geopolitica dell'Italia preromana, tenendo conto che le aree conglobate erano appartenute a federazioni tribali che ne detenevano il possesso da qualche secolo.

Le origini storiche della nostra parte di regione, il Salento, sono, nel periodo antico, accomunate con quelle della Puglia centrale e settentrionale per le comuni radici dovute a rimpasti etnici di autoctoni con le popolazioni illiriche che sopraggiunsero in questi luoghi sin dal X secolo a. C.

Il Salento fu indubbiamente caratterizzato da una maggiore acculturazione di tipo ellenistico per i suoi più intensi contatti con il mondo greco e magno-greco, ma, a parte le spoliazioni e le deportazioni di massa del periodo romano, il territorio non fu mai scorporato da quella che una volta era chiamata Japudìa (terra degli Japudi o Jàpígi). Vi furono federazioni diverse ma coese, almeno fino all'avvento di Roma. Nell'alto medioevo, si verificò una vera divisione territoriale, sia dal profilo geografico, sia da quello culturale, politico e linguistico. La Marca Longobardorum , che nella sua fase più ampia, tagliò fuori dalla propria giurisdizione il Salento, che rimase sotto il dominio bizantino pressoché fino al Mille, segnò l'irreversibile differenziazione dei due territori.

L'idioma apulo fu forgiato con elementi linguistici apportati dai nuovi conquistatori e il Sallentino, invece, continuò nella sua espressione mista di messapico, latino e greco. Era nata, di fatto, una nuova regione, anche se il cosiddetto Limitone dei Greci (l'ultimo possedimento bizantino nel Salento) ne restrinse la sua stessa territorialità. L'istituzione della Terra d'Otranto, quale sub-regione storico-geografica della Puglia, nonché un'antica circoscrizione del Regno di Sicilia, prima, e del Regno di Napoli, poi, costituita in giustizierato e divenuta, in seguito, provincia del Regno delle due Sicilie, ne legittimò, in un certo senso, le sue peculiari origini. Le iniziative di questi ultimi anni per una giusta riappropriazione dell'identità culturale e politica di quello che è orami riconosciuto da tutti come Grande Salento sono note a tutti, anche se non hanno raggiunto il risultato sperato.

Adesso, però, si fa sentire più che mai, il bisogno di autodeterminazione di un intero popolo salentino che rivendica un'autonomia politica, culturale ed amministrativa. Il percorso non sarà facile: si tratterà di compattare le varie voci e le diverse esigenze territoriali delle tre provincie, ma un felice esito potrà arridere a coloro che lo intraprenderanno. Arthas il Grande, dynastes di tutta la Sallentina, ne indicò la via a tutte le fratrie messapiche 24 secoli fa. Onoreremmo il suo ricordo a fare altrettanto. Salento Unito, quindi, all'insegna di una nuova consapevolezza che non si riveli unicamente un nuovo "arrondissement" asetticamente costituito, ma una nuova terra che miri a grandi traguardi.

Qualcuno ha scritto che, così facendo, potrebbe spuntare all'orizzonte un ulteriore isolamento. Niente di più improbabile, se la nascente Regione Salento si ponesse al centro di un'illuminata politica etnico-culturale, che potrebbe essere foriera di grandi traguardi mediante interessanti contatti, convegni e stimolanti confronti con le altre realtà territoriali transfrontaliere. Immaginate il Salento non come terra di confine dell'Europa ma come fulcro d'irradiazione della cultura europea nel Mediterraneo. È pur vero che molto c'è da fare, per lo più nell'ampio raggio della visibilità aziendale. La necessità di un nuovo marchio unitario che rappresenti l'intera penisola salentina è una questione che di recente ha avuto un notevole disaccordo, non propriamente fra i suoi abitanti, quanto fra i manager delle piccole e medie industrie delle nostre zone che hanno voluto fare un distinguo dei vari prodotti commerciali, secondo l'area di provenienza. Alla Bit di Milano sono sorti non pochi dubbi.

L'eccellente iniziativa di tre presidenti provinciali che qualche anno fa portò al varo l'intesa che aveva per scopo quello di valorizzare un'idea molto più ampia dal nome Grande Salento aveva avuto il pregio di unificare le istanze delle tre territorialità della penisola salentina. Fino a quel punto sembrava che i proponimenti, stabiliti univocamente, marciassero verso il giusto cammino fin quando a qualcuno, sia esso brindisino o tarantino, non è sorto il dubbio che una tale visione, imposta un po' dall'alto della rappresentatività politica, non avesse nuociuto alla visibilità delle provincie del nord del Salento, offuscate dall'ormai universalmente riconosciuta "Salentodamare". Era quindi necessario correggere il tiro e presentare simboli e loghi che evidenziassero una diversa vocazione dell'offerta aziendale. Nascevano, quindi, la tarantina "Terra Jonica" e, poco dopo, la brindisina "Filia Solis" (Figlia del sole), come se il resto della bellissima penisola non fosse baciata parimenti dallo stesso sole.

Il pasticcio è questo: ognuno vuole tirare acqua al proprio mulino. Se tutti noi amiamo l'idea del Grande Salento, dobbiamo allora favorire l'unificazione dei marchi e dare all'esterno l'impressione di unità territoriale. Sarebbe una buona partenza per una più solida configurazione di una nascente Regione Salento. Il tranello in cui quasi tutti cadiamo è che siamo portati a considerare il Salento solo la Provincia di Lecce e non l'insieme delle tre. Il Salento è unico geograficamente, storicamente e linguisticamente. Ed anche se l'idioma tarantino fa pensare a diversi natali, bisogna considerare che la Taras spartana fu, poi, salda alleata dei Messapi nelle guerre contro Annibale e la stessa Roma, dimostrando un alto valore di lealtà e condivisione.

Fernando SAMMARCO

 

 

 da La Gazzetta del Mezzogiorno di Giovedì 2 Settembre 2010

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Adriana Poli Bortone: «Regione Salento, sì al referendum»

«La Regione Salento? Una strada da percorrere. E il referendum è la forma massima di democrazia partecipata».

A scendere in campo è la presidente nazionale di Io Sud, Adriana Poli Bortone, la quale si dice dunque favorevole a percorrere la strada della Regione Salento, «che non intacca minimamente l'unità d'Italia e continua a sviluppare, nella forma delineata dal professor Melica, quel progetto di Grande Salento nel quale abbiamo creduto allorchè i tre sindaci di Lecce, Brindisi e Taranto si misero insieme per avviare iniziative comuni».

La senatrice Poli Bortone è promotrice, con il gruppo di Io Sud, di un ordine del giorno a Palazzo Carafa proprio sulla Regione Salento.

«Questo tema - aggiunge - è indubbiamente attuale e lo è ridiventato in seguito all'attuazione del federalismo. L'esaltazione delle autonome identità locali è un tema a cui nessuno può sottrarsi o farne una questione di appartenenza, di schieramenti o di posizione preconcette. Oltretutto - continua - la forma referendaria, soprattutto in termini di referendum propositivo, è la forma di consultazione più democratica che si possa immaginare, per cui saranno i pugliesi a decidere autonomamente senza nessun tipo di imposizione dall'alto».

A intervenire è anche il movimento Regione Salento. «Ben venga l'adesione delle forze politiche - viene sottolineato - che condividono lo spirito del movimento Regione Salento, che vuole essere trasversale, equidistante ed indipendente dai partiti e che, più di tutto, ambisce a rappresentare il volere dei cittadini». Si ritiene, però, che «a promuovere e sostenere le iniziative proprie del Movimento sia il comitato referendario che, in coerenza alle previsioni costituzionali e alla normativa vigente, possa essere utile e prodromico alla costituzione della Regione Salento, evitando che la politica dei veti incrociati possa in qualche modo impedire l'indizione del referendum».

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Sabato 4 Settembre 2010 (di Roberto TUNDO *)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

E' giusto avvicinare l'ente al territorio

Alla fine degli anni Sessanta, quando furono istituite le Regioni, il Movimento sociale italiano condusse una dura campagna politica contro la paventata frammentazione dello Stato. A parere del Msi, le Regioni avrebbero allontanato il cittadino da Roma e, anziché agevolare la partecipazione, si sarebbero frapposte fra lo Stato e la comunità.

Inoltre, sostenevano i missini, le Regioni si sarebbero trasformate in apparati burocratici che sarebbero vissuti con il fine dell'autoconservazione, piuttosto che per lo sviluppo del territorio.

Anche se sintetizzata in poche righe, quella posizione del Msi rispecchia ancora oggi una faccia della realtà delle Regioni italiane, specie quelle del Meridione, realtà a cui non sfugge la Puglia. Parlare male della burocrazia regionale pugliese è fin troppo facile, anche se si è consapevoli che, generalizzando, non si rende giustizia a quanti - non sono pochi, ma nemmeno tanti - si dedicano al proprio lavoro con senso di responsabilità. L'apparato di via Capruzzi con i lunghi tempi di attesa, con le alchimie tecnico-amministrative ha ormai soffocato l'esperienza di una unica Regione per quattro milioni di abitanti. Più di quattrocento chilometri di distanza, fra andata e ritorno, separano gli amministratori ed i cittadini di un paese del Sud-Salento da Bari e spesso "andare a Bari" è il modo più veloce per risolvere un problema del proprio territorio.

Il colloquio con un funzionario regionale, infatti, si rivela ancora come il mezzo più idoneo per superare quegli ostacoli burocratici che a volte sembrano creati apposta per aumentare le difficoltà e per rendere incomprensibili i propri diritti. La soluzione a tanti problemi difficilmente potrebbe venire dalla semplice modernizzazione della Regione Puglia: testi unici, delegiferazione, snellimento delle procedure burocratiche sono obiettivi perseguibili che migliorerebbero la qualità della Pubblica amministrazione, ma non risolverebbero la complessità dei problemi che sono strutturali alla diversificazione delle "Puglie".

Negli atti della Regione Puglia spesso si fa riferimento ad aree geografiche distinte; il flusso dei finanziamenti della Comunità Europea, a partire dai Programmi Operativi Plurifondo, è stato indirizzato verso le tre aree: Capitanata, Barese e Jonico-Salentina. Lo stesso, solo per continuare a fare qualche esempio, fu fatto per la individuazione del Sistema idrico integrato. Ne discende che una struttura più snella, più vicina al territorio saprebbe rispondere meglio alle esigenze e ai bisogni dei cittadini.

Oggi che al centro dell'agenda politica c'è l'attuazione del federalismo, che si manifesta in un ampliamento dei poteri e delle funzioni degli Enti locali, Regioni in primis, non è inopportuno riscoprire le ragioni storiche, politiche e culturali che rendono attuale la nascita della Regione Salento. L'antica provincia di Terra d'Otranto comprendeva i territori di Lecce, Brindisi e Taranto: la stessa area territoriale indicata per l'istituzione della Regione Salento; una Regione che non dovrebbe nascere ex novo, ma che trarrebbe forza da una certa continuità storico territoriale.

La "grande provincia" di Terra d'Otranto, con Lecce capoluogo, fu scomposta durante il periodo fascista, che istituì nel 1923 e nel 1927 le province di Taranto prima e di Brindisi, dopo. Ma non si tratta solo di riprendere i confini che appartenevano alla nostra terra fin dal Regno delle Due Sicilie. C'è anche una identità politica che fino a venti anni fa si manifestava, per l'elezione dei deputati, nella circoscrizione di Lecce-Brindisi-Taranto.

C'è, infine, una salentinità culturale che, secondo Donato Valli, «è il complesso di tutte quelle attività in cui si manifesta in maniera originale e tipica il modo di essere, di pensare, di vivere di quella parte della Puglia che coincide con l'antica Terra d'Otranto».

Roberto TUNDO

* coordinamento regionale

del Popolo della Libertà

 

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Domenica 5 Settembre 2010 (di Paolo PAGLIARO)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Sentimento popolare

Sono trascorsi poco più di due mesi da quando Quotidiano ospitò un mio intervento dal titolo "Giusto puntare sulla Regione del Salento". Eppure sembra che siano passati 20 anni per come il dibattito è andato avanti, raccogliendo l'adesione di tanti cittadini e interessando larghi strati della pubblica opinione.

Un dibattito che ha colto la centralità del problema di una "questione salentina". La salentinità non può continuare ad essere solo un sentimento forte, ma si deve tradurre in qualcosa di concreto, serio e sentito. Ci siamo arrivati in maniera graduale. Ma soprattutto, ci tengo a dirlo, non ci sono arrivato da solo. Le sollecitazioni sono arrivate dalla gente, a più riprese. Migliaia di persone di ogni tipo e colore politico, con in prima fila centinaia di colleghi imprenditori, che credono nel sogno di un risveglio delle coscienze. Un risveglio che consiste nella partecipazione, nell'inforcare in prima persona gli strumenti da lavoro e battere il ferro per plasmarlo, rovesciando i tanti tavoli convocati per scaldare sedie, senza mai scaldare i cuori.

A mia memoria, non ricordo una fase di dibattito così sentita e disinteressata. Ai nostri interventi ne sono seguiti tanti altri, da parte di opinionisti ed esponenti del mondo politico. Fra favorevoli e contrari, con tutti i distinguo e i diversi accenti posti, un dato è positivo ed inequivocabile: il movimento e l'idea dimostrano una certificata trasversalità e distanza da interessi politici. Perché si tratta di un'inedita trasversalità anche interna agli stessi partiti. Per noi questo è un grande risultato. Perché certifica che la questione è forte e sentita.

Non ci sentiamo affatto soli, perché coinvolgeremo i cittadini in questa battaglia. A fare resistenza ci sono alcune posizioni consolidate sia sotto il profilo economico che sotto il profilo politico. È dunque il momento di rispondere a qualche considerazione.

1) I promotori dell'iniziativa hanno ambizioni personali, vogliono farsi "pubblicità". Se avessimo ambizioni personali, se volessimo farci pubblicità, come se fossimo un prodotto in vendita, potremmo seguire mille altre strade. Sarebbero tutte meno impervie. Chi ci conosce bene, chi ci è amico, ci dice: "Chi ve lo fa fare? Vi mettete contro tanti poteri forti". Abbiamo ricevuto troppi stimoli, e questi stimoli, per la prima volta, ci hanno acceso un'emozione forte. Dal punto di vista personale, non abbiamo davvero nulla da guadagnare. Abbiamo scoperto, giorno dopo giorno, che esiste un nuovo modo di essere felici: sognare ad occhi aperti un futuro migliore, combattere per ciò che si ama e in cui si crede. Dunque, un invito: via i pregiudizi sulle persone, i retropensieri, le dietrologie. Parliamo del merito e del metodo della proposta.

2) "Regione Salento, idea leghista". Non ci appartiene dal punto di vista del linguaggio nessun "ismo". Abbiamo sposato un approccio pacato e razionale. Non condividiamo l'approccio politico della Lega Nord: siamo orgogliosamente italiani, conosciamo ed apprezziamo il nostro inno nazionale, Roma è la nostra Capitale. Siamo per l'unità nazionale. Non ci appartiene la cultura della secessione. Anzi, vogliamo costruire un dialogo più forte e diretto col Governo e con l'Europa. Ma soprattutto non riteniamo che altri territori rappresentino una zavorra per lo sviluppo complessivo del Paese. Seguendo lo schema di questo attacco demagogico, ogni Regione sarebbe, per definizione, leghista. I muri, le barriere, sono strumenti che stanno alzando i conservatori, non certo noi. Perché il loro intento è diverso: vogliono l'autoconservazione della casta.

3) La Regione Salento è "superata dagli eventi". Per noi il tema è attuale perché la prospettiva di sviluppo degli ultimi decenni non ha fornito al territorio le infrastrutture per fruire delle opportunità che il Mediterraneo e l'est Europa offrono. E dunque se la nostra proposta è "vecchia", la politica degli ultimi quarant'anni è inerte, immobile, paradossale, priva di orgoglio, a-prospettica. Se gli investimenti dedicati al porto di Bari, all'aeroporto di Bari e alla rete viaria e ferroviaria di Bari fossero stati equamente distribuiti nel resto delle Puglie oggi il tema non si porrebbe. L'Alta Velocità ferroviaria si fermerà a Bari. Non esiste una strada degna di questo nome che colleghi Lecce a Taranto. E potrei continuare all'infinito. La Regione Salento è dunque visione del futuro ed al tempo stesso elemento di rivendicazione.

4) Meglio una "macro-provincia" o una "provincia autonoma". Per noi la provincia autonoma sarebbe una soluzione insufficiente. Anche qualora dovesse essere realizzabile. Perché a questa obiezione bisogna innanzitutto rispondere ricordando che una provincia autonoma necessita a monte di una Regione a Statuto Speciale. Argomento complessivamente superato dal federalismo. Sono (e presto lo saranno ancor di più) le Regioni ad avere poteri e risorse. La Regione Salento è l'unica risposta efficiente e coraggiosa per colmare il nostro gap. Del resto lo scarso potere delle Province costituisce il motivo degli esigui risultati conseguiti dal cosiddetto Grande Salento. E questo dato ad aver spinto i presidenti Gabellone, Ferrarese e Florido a sostenere questa battaglia.

5) Con la Regione Salento aumenterebbero i costi della politica. Siamo fermamente convinti che una Regione che nasca in questo particolare momento storico, avrà, a differenza di quelle nate nel contesto degli anni '70, un modello gestionale della spesa corrente virtuoso, a partire dal suo Statuto. Un modello che, se ben gestito, sarà probabilmente preso a modello da altre regioni d'Italia. Il contenimento della spesa e la riduzione deglie sprechi saranno nel dna della Regione Salento. È lontana anni luce dalle nostre intenzioni l'idea di dar vita ad un "carrozzone amministrativo". Vogliamo piuttosto un ente efficiente e responsabile, prossimo al cittadino geograficamente e politicamente. Chi conosce questo territorio, solo per fare un esempio, avrebbe mai autorizzato interminabili (oscene) distese di pannelli fotovoltaici e pale eoliche nelle nostre campagne? Ad incidere in maniera determinante (per circa il  50%) sugli stipendi dei consiglieri regionali salentini sono le trasferte a Bari. Così come questi costi incidono per le trasferte di funzionari, dirigenti e dipendenti. Per non parlare dei costi indiretti che i cittadini e gli amministratori locali del Salento sono costretti ad affrontare per recarsi a Bari al fine di perfezionare i più svariati iter amministrativi.

6) La "Regione Salento" sarebbe piccola. In realtà, conti alla mano, sarebbe l'undicesima regione d'Italia su ventuno per numero di abitanti, 1.800.000, ovvero più di Sardegna, Liguria, Marche, Abruzzo. Friuli, Trentino, Umbria, Basilicata, Molise, Valle d'Aosta. Ma colgo l'occasione per rispondere anche a chi dice che il nostro sarebbe un Movimento "di pochi": li invito a visitare il sito "regionesalento.eu" per a contezza della quantità e della qualità delle adesioni.

7) La scelta del capoluogo creerà frizioni. Io penso che sarà il buonsenso a determinare la scelta. Ho delle idee su questo punto ma ci sono mille ragioni per rimadare questa discussione a dopo il raggiungimento del più importante e prioritario obiettivo che è la istituzione della nuova Regione. Potrebbe essere questa una difficoltà. Ci potrebbero essere altre difficotà. D'accordo. Ma davanti alle difficoltà non ci si devi mare. Non vi è progresso senza sacrificio.

8) La Regione Salento "non si può fare ". Credo che sia necessario superare l'indifferenza, l'apatia, quel "nonsipuotismo", quella convinzione che non si può fare, che ha spesso nuociuto alla crescita del nostro territorio e ne ha impedito il progresso. Serve un grande impegno, un mix di fosforo e olio di gomito. Con queste premesse i risultati, anche quelli più ambiziosi e tortuosi, si ottengono.

Il Movimento Regione Salento - Comitato Promotore del Referendum per il Sì, che vuole essere trasversale, equidistante ed indipendente dai partiti, ambisce a rappresentare il volere dei cittadini. Saranno loro a decidere, ed i nostri pareri servono solo ad alimentare il dibattito. Il referendum è il più alto elemento della democrazia italiana. Rileggiamo l'articolo  132, titolo V, della Costituzione. Chi non lo vuole è anti-democratico, e vuole attuare la vera secessione: quella fra potenti  e semplici cittadini. I sindaci hanno dimostrato questa grande sensibilità, e la quasi totalità dei 146 Sindaci dei Comuni del leccese, del brindisino e del tarantino si sono espressi a favore del referendum. Ed anche i leader pugliesi degli schieramenti, che hanno partecipato al dibattito, sono certo che vorranno affidare ai cittadini l'ultima parola. Senza veti. E senza paura.
 

Paolo PAGLIARO

 

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Lunedì 6 Settembre 2010 (di Luigi MELICA)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

La tesi di Ria smentita dai fatti

Solo poche righe per mettere fine, si spera, ad uno scambio di opinioni di respiro giuridico-costituzionale tra me e l'onorevole Lorenzo Ria. Ricordo ai lettori che si fossero persi le precedenti "puntate" che il deputato Ria, in un lungo intervento su Quotidiano, nel rimarcare le ragioni del "no" alla Regione Salento, ha contestato anche la correttezza del percorso individuato.

Ha affermato, cioè, che una legge costituzionale che istituisse la Regione Salento senza rispettare l'iter previsto dall'articolo 132 della Costituzione (e quindi, la richiesta di referendum, l'indizione dello stesso, ecc.) sarebbe contraria allo stesso testo costituzionale. Da ciò ne trae che il mio plauso al movimento referendario per non aver chiesto ai parlamentari salentini di presentare una proposta in tal senso, tentando, invece, la più complessa via referendaria, sarebbe giuridicamente immotivato.

In un successivo articolo, sempre sul Quotidiano di Puglia, avevo cercato di far comprendere a Lorenzo Ria che la disciplina sui rapporti  tra fonti del diritto non dice questo, citando - senza che ve ne fosse bisogno - anche un'illustre dottrina (Livio Paladin). Ma, evidentemente, non è servito. Lo stesso deputato, nuovamente intervenuto sulle colonne del giornale, venerdì scorso, ha reiterato il suo giudizio circa l'erroneità della mia tesi, sostenendo che i progetti di legge costituzionale pendenti alla Camera e volti ad istituire la Regione Romagna (che io avevo citato come esempio) saranno sicuramente dichiarati inammissibili in quanto lesivi dell'articolo 132; i loro presentatori, infatti, avrebbero dovuto modificare tramite revisione costituzionale lo stesso articolo 132 prima di istituire la nuova Regione. A parere del deputato Ria, dunque, la Costituzione non può essere derogata da una legge costituzionale, ragion per cui, lo stesso parlamentare, afferma, forte delle "sue reminiscenze di semplice operatore del diritto" che le mie argomentazioni rileverebbero "un'anomalia notevole nell'interpretazione del dettato costituzionale". Fulcro di questa sua granitica convinzione è l'affermazione — riporto testualmente — secondo la quale "(...) una proposta di legge costituzionale in deroga alla Costituzione non può essere presa a base di un ragionamento logico giuridico".

Non se la prende, l'onorevole Ria, se nel replicare a quanto di cui sopra, mi limito ad osservare che le sue reminiscenze giuridiche saranno solide in altre branche del diritto ma sono alquanto labili nel diritto costituzionale. Senza dilungarmi, anche per non tediare ulteriormente i lettori, ricordo che sono almeno 11 le leggi costituzionali emanate dal Parlamento che contengono deroghe al dettato costituzionale e molte di queste hanno portata ben più significativa rispetto al procedimento regolato per la creazione di nuove Regioni. Sono ovviamente disponibile - quando la sua attività parlamentare glielo consentirà - ad incontrare l'onorevole Ria e a mostrargliele tutte, una per una.

Sulle ulteriori questioni che Ria solleva, preferisco rinviare ad un eventuale incontro la spiegazione su come intendiamo tecnicamente procedere. Per evitare di annoiare i lettori e, soprattutto, per lasciare spazio agli interessantissimi contributi sul Sì e sul No alla Regione Salento che questo giornale ospita quotidianamente: una discussione, questa, che se in piccolissima parte possa essere stata alimentata anche dal mio contribuito, mi riempierebbe di gioia tenuto conto del contesto politico degli ultimi tempi, così povero di contenuti. Un'ultima notazione per i lettori dell'ultima ora: "ad iniziare, non sono certo stato io".

Luigi MELICA

 

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Mercoledì 8 Settembre 2010 (di Alessandro CANDIDO)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

La consultazione popolare è un'opportunità

L'iter che la Costituzione prevede per costituire una nuova Regione è contenuto nell'articolo 132, comma 1, cui si aggiunge la legge attuativa numero 352 del 1970, che considero per molti aspetti (ne parlerò più avanti) di dubbia costituzionalità.

Quest'ultima ha disciplinato le fasi procedimentali del deposito della richiesta, dell'accertamento della legittimità dell'iniziativa, di indizione e svolgimento del referendum, della successiva iniziativa legislativa governativa e della promulgazione della legge costituzionale che dispone la variazione territoriale.

A scanso di equivoci, ricordo sin da subito che ad oggi non c'è stato alcun procedimento teso a creare una nuova Regione seguendo il dettato dell'articolo 132, comma 1. Tale norma non ha trovato applicazione nemmeno per la Regione Molise, che si è formata tramite distacco dagli Abruzzi nel 1963, dato che in quel caso è stata utilizzata una diversa procedura, consentita - entro certi termini, oramai trascorsi - dall'XI disposizione transitoria e finale della Costituzione.

In alternativa alla procedura prevista dall'articolo 132, si potrebbe dar vita alla Regione Salento anche attraverso un'apposita legge costituzionale che deroghi espressamente alla norma in commento (è quello che si è tentato di fare proponendo l'istituzione della Regione Romagna). Su questo aspetto, che non è il caso di riprendere ulteriormente, si è recentemente soffermato il professor Luigi Melica, replicando giustamente ad alcune osservazioni svolte dall'onorevole Lorenzo Ria.

Ma torniamo all'articolo 132, dove emerge che per costituire una nuova Regione occorre seguire un iter di tipo aggravato, che si caratterizza per la coesistenza di diversi presupposti: anzitutto è necessaria una legge costituzionale, vale a dire una particolare legge approvata sì dal Parlamento, ma attraverso una procedura più complessa rispetto a quella richiesta per le leggi ordinarie. Difatti, quando viene in rilievo una legge costituzionale, servono due deliberazioni di entrambe le Camere e la seconda votazione deve concludersi con almeno la maggioranza assoluta. Con riguardo alla creazione di nuove Regioni, il requisito richiesto in seconda deliberazione è stato elevato (dall'articolo 46 della legge- n. 352 del 1970) addirittura ai 2/3 dei componenti ciascuna Camera, previsione questa a mio parere incostituzionale.

In secondo luogo, la norma in esame stabilisce che la costituenda Regione debba essere composta da almeno un milione di abitanti e, da questo punto di vista, non vi sarebbe alcun ostacolo, dato che il Grande Salento vanta un milione e ottocentomila abitanti, dunque ben più di tante altre Regioni italiane. In dottrina si discute poi se il limite minimo del milione di abitanti imposto per la nuova Regione debba applicarsi anche a quella che subisce la decurtazione territoriale: ma, anche in questo caso, non sussisterebbe alcun tipo di problema, dato che le Province di Bari e Foggia conterebbero assieme quasi due milioni e trecentomila abitanti.

Ulteriore requisito richiesto dalla Costituzione è dato dalla necessità della delibera di tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della popolazione complessiva compresa nel territorio coinvolto. Allo stato attuale, il Comitato promotore per il sì al referendum ha avanzato ai 146 Comuni delle Province di Lecce, Brindisi e Taranto la richiesta di mettere all'ordine del giorno la mozione volta a indire il referendum consultivo tra le popolazioni interessate al progetto di nuova Regione. Ed è questo lo stadio in cui ci troviamo oggi.

Dopodiché, nel caso in cui il predetto requisito sia soddisfatto, la proposta dovrà essere approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse. E qui verrà in rilievo un problema non di poco conto, su cui è opportuno spendere due parole: leggendo l'articolo 44 della legge n. 352 del 1970, sembra che, con riferimento all'ipotesi della creazione di una nuova Regione, il referendum non debba essere limitato soltanto alle popolazioni direttamente interessate alla variazione territoriale (per intenderci, i territori di Lecce, Brindisi e Taranto), ma debba invece essere esteso all'intero territorio regionale (dunque, anche ai territori di Bari e Foggia). Anche questa, per la verità, è una previsione che mi pare di più che dubbia legittimità costituzionale, poiché frustra in modo eccessivo il diritto di autodeterminazione delle autonomie locali coinvolte nel procedimento in questione.

Tra l'altro, occorre segnalare un'importante pronuncia della Corte costituzionale (la sentenza numero 334 del 2004), anche se riguardante l'ipotesi del distacco di un Comune dal territorio regionale: in quel caso, il giudice delle leggi ha affermato la necessità di coinvolgere nel referendum soltanto la popolazione interessata al distacco, l'unica dotata di «legittimazione a promuovere la consultazione referendaria». Stando così le cose, lo stesso tipo di interpretazione dovrebbe valere per il caso della creazione di una nuova Regione.

Resta da fare un'ultima considerazione: alcuni si sono a priori schierati contro l'eventualità di dar vita alla Regione Salento. A me sembra che, più che i politici favorevoli o contrari, sia necessario sentire il parere delle popolazioni interessate ed è soltanto un bene, non importa se pro o contro, che il corpo elettorale possa avvalersi di quel formidabile strumento di democrazia diretta che è il referendum. È questa, a prescindere dall'esito referendario, un'opportunità da non sprecare.
 

Alessandro CANDIDO

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Giovedì 9 Settembre 2010 (di Giovanni PESCE)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

La nostra terra sarebbe diversa se autogovernata

Le ragioni per il "sì" al referendum e per il conseguente processo di creazione della Regione Salento vanno vagliate anzitutto partendo da dati storici, ancor prima che politici. Porre la questione nel 2010 sembrerebbe un vezzo di alcuni, ma così non è. Da una parte, va ricordato che il Salento ha fatto parte per secoli della circoscrizione denominata Terra d'Otranto, e che è nel linguaggio comune il riferimento alla "penisola salentina" come luogo geografico distinto dal resto della Puglia.

Dall'altra, non può essere dimenticato (ed immagino che tutti ne siano qui consapevoli) che l'Assemblea costituente nel 1947 stava per votare(si veda Codacci Pisanelli) la creazione della Regione Salento, oltre che della Regione Puglia (nel testo definitivo dell'articolo 22 proposto dalla commissione). È inutile dire che l'opposizione venne da Bari, ed è vano sostenere il contrario. Anche qui, la storia insegna. Ancora prima dell'Assemblea costituente, e cioè durante il fascismo, fu Araldo di Crollalanza a boicottare i Comuni salentini che avevano presentato una petizione in tal senso.

Nel 1947/48, un più ampio accordo tra la Dc ed il Pci (i cui termini non sono ben noti, ma al quale certamente non fu estraneo Moro) antepose gli interessi baresi a quelli salentini. E così si mise per decenni la parole fine al progetto regionale salentino, che neppure ebbe esito -per un soffio - allorquando, e siamo nel 1970, venne data attuazione al sistema regionale previsto dalla Costituzione.

La parola d'ordine fu quindi: nessuna autonomia al Salento. Ma non per questo l'idea venne meno, come dimostrano le altre iniziative messe in capo da allora sino ad oggi. E se un'idea non si abbandona vuol dire che essa, è radicata nella comunità che la ripropone, con tenacia, come attestano oggi i promotori del referendum, e perciò va sostenuta posto che non è né antistorica né contraria ai nostri interessi.

E qui mi limito a porre una domanda: se fosse stata creata la Regione Salento si sarebbe dato il via libera a progetti scellerati di devastazione territoriale ed ambientale, oltre che forieri di danno alla salute, come il petrolchimico di Brindisi o l'Italsider di Taranto i cui problemi oggi devono però essere risolti in sede locale? E inoltre: se è vero (e lo è) che si sente il bisogno di una più chiara individuazione della responsabilità politica di certe scelte, allora la scelta della delimitazione territoriale facilita certamente tale (democratico) momento, e ciò per evitare il facile scaricabarile cui in Italia siamo abituati.

Ma altre ragioni possono essere elencate. La "cecità federale" dell'ordinamento europeo, per effetto della quale, l'Europa vedeva gli Stati, ma non le articolazioni territoriali enucleantisi al loro interno, può essere superata definitivamente solo dando voce alle entità sub-statali, garantendone la partecipazione ai processi comunitari di decisione e la tutela giurisdizionale per la lesione delle competenze (con correlativa assunzione di responsabilità).

Non a caso, il Trattato di Maastricht prevede:

1) l'introduzione del principio dì sussidiarietà (articolo A, comma 2 - articolo 1, comma 2, del testo consolidato -, che prefigura "la creazione di un'Unione sempre più stretta dei popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini");

2) l'istituzio ne del Comitato delle Regioni, di cui sono chiamati a far parte "i rappresentanti delle collettività regionali e locali";

3) l'apertura del Consiglio dei Ministri ad esponenti delle entità sub-statali.

Sicché, anche dando credito alle versione più moderate del dibattito sulle sorti dell'Europa, non v'è dubbio che se le Regioni diventeranno il terzo piano dell'architettura comunitaria, a maggior ragione si impone una scelta nel senso voluto dai promotori della Regione Salento.

Le norme comunitarie, del resto, incidono profondamente sull'autonomia regionale, condizionandone il modo di esercizio o determinandone la dimensione, e l'unico rimedio per tutelare una data comunità territoriale è la partecipazione alla cosiddetta "fase ascendente" del processo di integrazione europea.

L'adesione ad un ambizioso progetto politico - per definizione utopico - si basa necessariamente sulla speranza della sua realizzazione. L'unione di competenze specifiche di quanti si stanno prodigando per tale progetto - si spera le più trasversali possibili - renderà a mio avviso la speranza più concreta.

Giovanni PESCE

 

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Venerdì 10 Settembre 2010 (di Salvatore SPEDICATO)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Il governo "baricentrico" è una realtà

La varietà e la ricchezza di riflessioni, meritoriamente pubblicate da Quotidiano in ordine al "progetto" della Regione Salento, potrebbero rendere scarsamente utili successive considerazioni. Tuttavia, se è consentito, vorrei dire la mia in proposito, supportata da lunga esperienza in ambiti istituzionali e non, che mi porta a credere oggi come ieri che il "baricentrismo" non è una favola.

Pertanto, esprimersi in favore di una proposta di autonomia regionale non significa, come qualcuno immagina, tendenza alla chiusura localistica, rivendicazione arcaica e scissionistica, propensione all'isolamento (siamo già in una penisola) e a nostalgici ripiegamenti. E' pacifico che il mondo cambia velocemente ma è altrettanto certa che evoluzione non equivale a omologia. L'armonia è l'unità del molteplice-vario, il confronto e le dinamiche culturali, sociali ed economiche si alimentano delle diversità, che per legame musaico raggiungono l'unità.

Un percorso sulla spinta di una forte identità antropologica e culturale non equivale, dunque, a staticità e immobilismo ma ad apertura adeguata a singolari esigenze e aspirazioni. Chi cerca di glissare sui valori radicali caratterizzanti la "salentinità" ritenendoli pressoché insignificanti rispetto all'istanza autonomistica di cui trattasi, potrebbe trovarsi — ove già non si trovi — nella desolante condizione che il poeta russo, Josif Brodskij, già profugo in Occidente, ha descritto in questa breve poesia:

"Tutto bene? / Chiese il missile al missile / sorvolando la valle / Come posso saperlo? / Non ho niente davanti / non ho niente alle spalle".

Sapere far di conto è importante, essere prammatici e giuridicamente attrezzati è necessario. La cultura dell'empirismo utilitaristico ha le sue buone ragioni. Ma far dipendere il pro e il contro riguardo all'auspicio per la Regione del Salento dall'economia, dalle considerazioni di ordine procedurale e burocratico, ai "sognatori" come chi scrive sembra più o meno superfluo. C'è, infatti, qualcosa che è da ritenere basilare, prioritariamente pressante e di per sé sufficiente a convalidare il significato dell'aspirazione autonomistica di un'area geografica come la salentina, ed è semplicemente ciò che tutti sanno: la sua spiccata connotazione antropologica, storica, culturale, riconosciuta ovunque e da chiunque, non solamente dai nostri studiosi di valore nazionale come Marti e Valli.

Per fugare il sospetto di campanilismo, in convegni nazionali, chi scrive ha utilizzato talvolta, per esempio, riguardo alla "diversità salentina", brani esemplari sia dello storico della letteratura italiana che fu docente dell'Università di Bari, Mario Sansone, sia di Carlo Belli, animatore di convegni di studio sulla Magna Grecia e teorico del primo Astrattismo.

Sì, per rivendicare giustamente l'autonomia di cui si parla poteva bastare e basta la "cultura", proprio la parola mancante nella motivazione morotea di "rinvio", così come puntualmente riportata in Quotidiano del 26 agosto scorso da Vittorio Raeli. E' ragionevole ritenere che l'onorevole Moro, così attento e profondo studioso quale era, non a caso non ebbe a toccare il tasto "cultura", di per sé qualificante la regione salentina, rispetto al resto della Puglia(delle Puglie), nel suo argomentare circa la possibilità di non escludere che "in avvenire, ad opera delle assemblee legislative, dagli studi seri ed attenti sulla realtà economica, geografica, sociale delle regioni interessate...si giunga ad un diverso assetto delle circoscrizioni regionali".

Già gli antichi romani, per non dire dei greci, erano ben consapevoli del vitale significato dei valori religiosi e culturali tanto che si guardavano bene dal contrastare miti, e riti dei popoli sottomessi. Sapevano, i vincitori, che la loro "salvezza" dipendeva dal "rispetto dei templi e degli dei dei vinti".

Qui ed ora, evidentemente, non si tratta poi tanto di "fare poesia", ma di ribadire la necessità della rivendicazione autonomista di cui concretamente abbisogna il Salento, con le sue impellenti ragioni innanzitutto culturali e ideali, nella prospettiva di spinte propulsive sociali ed economiche nell'unità nazionale.

Salvatore SPEDICATO

 

 

 

 da La Gazzetta del Mezzogiorno di  Venerdì 10 Settembre 2010

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Il Movimento replica all'editore Cazzato: «Noi non puntiamo alle candidature»

«La nostra stella polare non è una qualche candidatura». Giovanni Rizzo, coordinatore cittadino del Movimento Regione Salento, replica così a Fabio Cazzato, presidente del gruppo editoriale Canale 8.

«Dire che “sarebbe più onesto affermare con chiarezza che il Movimento non vuole creare una nuova Regione, ma ritagliarsi uno spazio politico per una nuova classe dirigente”- sottolinea Rizzo - vuol dire liquidare la nostra vicenda umana e politica con la tipica superficialità microborghese, che è uno dei mali di una generazione viziata e non abituata a combattere per idee e valori. Oltre a questo tratto snobistico, l’intervento di Cazzato contiene una forzatura, che sa di processo alle intenzioni.

“In sostanza la proposta nasce dalla presunta inefficacia dei politici locali eletti...”: chi ha mai detto questo? Non è il primo tentativo di creare intorno al Movimento dei nemici, quasi si volesse imbeccare un esercito a inforcare le armi contro di noi».

Questo tentativo - secondo Rizzo - che «puzza di strumentalità, non appare casuale. Da certi ambienti tentano di attribuirci sentimenti anti-vendoliani che non ci appartengono. Da altri tentano di farci apparire come quelli che additano Fitto e Mantovano come incapaci di tutelare il territorio».

«Mi sembra - aggiunge il coordinatore di Lecce del Movimento - che stiano cercando di accerchiarci. Ma possiamo tranquillizzare tutti, non ci riusciranno. La politica per noi è un interlocutore importante, ma non è nè il nostro padrone nè tantomeno la nostra meta. Interpretiamo un sentimento. Sappiamo che può apparire strano e inedito che la nostra stella polare non sia una qualche candidatura. Questo è un motivo in più per andare avanti».

«Vogliamo riempire di contenuti l’agenda della politica, questo sì - sottolinea Rizzo - Qualcuno dice che vogliamo “invadere il campo”? No, giammai. Ma abbiamo il diritto-dovere, come cittadini, di “calpestare gli orticelli”. Non ci candidiamo, tanto per fare chiarezza, ma non per questo non possiamo partecipare, dibattere, stimolare. Sui costi della politica, in presunto aumento, presto daremo risposte puntuali all’impegno del professor Stefano Adamo, entrando nel merito di quello che abbiamo annunciato come un modello di Regione moderno, virtuoso e lontano da sprechi e privilegi».

Infine, riguardo alla presunta «povertà di Lecce, Brindisi e Taranto», il coordinatore di Lecce del Movimento invita Cazzato «a studiare la reale situazione economica che, come dice il professor Pirro, ci rende autosufficienti, specie in ottica federalista. Le entrate tributarie delle tre province rappresentano il 43 per cento del totale pugliese, incassando come contropartita appena il 30 per cento degli investimenti».

 

 da La Gazzetta del Mezzogiorno di  Sabato 11 Settembre 2010

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Il presidente Pagliaro: «Il Movimento non è un partito e non parteciperemo ad alcuna competizione elettorale»

«Il Movimento non è un partito». Paolo Pagliaro, presidente del Movimento Regione Salento, ha concluso l’altro giorno al President la prima riunione organizzativa, per mettere a punto l’organizzazione interna e lanciare messaggi alla classe politica e all’opinione pubblica.

La riunione, alla quale hanno preso parte oltre duecento persone, si è aperta con l’inno di Mameli, per ribadire che nel Movimento non albergano idee secessioniste o fermenti leghisti.

Pagliaro, dunque, ha ribadito come il Movimento non sia un partito ed ha spiegato chiaramente come non ci siano secondi fini e non si intenda partecipare ad alcuna campagna elettorale.

«Ben venga l’adesione delle forze politiche - ha aggiunto - che condividono lo spirito del Movimento Regione Salento, che però vuole essere trasversale, equidistante e indipendente dai partiti e che, più di tutto, ambisce a rappresentare il volere dei cittadini».

«Forse certa politica - ha spiegato Pagliaro - sta vivendo questa mobilitazione come un’invasione di campo. Questo non può che rallegrarci, convinti come siamo che i cittadini abbiano tutto il diritto di impegnarsi lavorando sul proprio futuro. Le scelte strategiche per il modello di sviluppo di cui Lecce, Brindisi e Taranto debbono dotarsi, devono essere l’agenda della politica: per cui i nostri rappresentanti ascoltino invece di tentare di incollare etichette alle nostre teste».

Il presidente Pagliaro ha poi sottolineato che l’unico obiettivo del Movimento è solo quello di giungere ad un referendum, «per sentire direttamente i cittadini e per decidere una volta per tutte se questa è una questione desueta, anacronistica, superata dai tempi, velleitaria o se invece è una cosa che la gente vuole veramente». Il Movimento Regione Salento pensa che questa risposta si possa dare con lo strumento del referendum, «che è il massimo dell’espressione popolare e della democrazia partecipata». Basterà che si pronuncino a favore i consigli comunali che rappresentano almeno un terzo dei circa un milione e 800mila abitanti delle tre province.

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Sabato 11 Settembre 2010 (di Giovanni RIZZO *)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Dare la parola al popolo sovrano

La Regione Salento è un attacco all'attuale amministrazione Vendola, un delirio ultrà contro Bari, una macchina elettorale al servizio di inconfessati o partitici interessi?

Sentiamo giudizi di ogni genere, tutti però tesi a definire il Movimento Regione Salento in negativo, non per la sostanza e le proposte. Ebbene, forse è il momento di rovesciare quest'ottica.

Le tre province di Taranto, Lecce e Brindisi occupano un territorio geograficamente e morfologicamente omogeneo, socialmente ed economicamente. La Messapia e la Magna Grecia delle origini sono luminosi punti di riferimento storico e culturale. Si influenzarono a vicenda, furono abbastanza fiere da non riuscire mai a vincersi definitivamente l'un l'altra. Del resto, all'epoca, c'è stata forse più rivalità tra Taranto e le altre colonie greche di Lucania e Calabria.

Nel secolo scorso l'unità amministrativa della provincia di Terra d'Otranto (che rifletteva quella omogeneità di cui dicevo) fu frazionata nelle tre attuali province. Perché? Perché le rispettive aspirazioni e dimensioni economico-amministrative e demografiche erano diventate tali, da renderlo necessario per il miglior sviluppo del territorio. C'era una classe dirigente locale che ambiva agli strumenti di autogoverno.

Dopo il 1945, furono ricreate le Regioni ma solo come ambiti geografici (solo nel 1970-71 che si arrivò a dare loro poteri e organi autonomi); e fu allora che la Regione Salento, pur chiesta e prevista, naufragò per un gioco complesso di imboscate nell'Assemblea Costituente e di rivalità territoriali anche tra le tre province. Si fecero anche allora dei referendum attorno a svariati progetti.

Nel corso degli anni, l'autonomia degli enti-Regione è cresciuta, sono arrivati i fondi europei (talvolta male o poco impiegati). Nel frattempo le forze economiche più influenti e determinanti dell'intera Puglia non potevano che confrontarsi con la Regione esistente, e così pure con le forze politiche di quel livello: sono nati inevitabili quanto ovvii snodi e agganci di potere e di interesse.

Fino a poco tempo fa, l'accentramento o meglio ancora lo stanziamento a Bari di tutte le "forze e progetti che contano" sembrava irremovibile. Negli ultimi anni, però, nonostante gli ostacoli (casuali o voluti) di cui ci lamentiamo, le tre province del Sud-Puglia hanno conosciuto uno sviluppo incalzante ed esaltante, che ha fatto crescere nei cittadini - rispetto al precedente malcontento negativo per il preteso baricentrismo - una coscienza positiva, una voglia di fare e di crescere ulteriormente.

In ogni famiglia i figli nascono, crescono, si emancipano e camminano con le proprie forze, dando vita a nuovi organismi familiari. Non diversamente, come abbiamo visto, accade per le aggregazioni umane più vaste. Così sta accadendo per le tre province pugliesi: e il nostro Movimento intende infatti non tanto dividerle - in negativo - dalla Puglia, quanto piuttosto unirle - in positivo - tra loro a livello amministrativo e strutturale, come oggi non sono. Oggi esse devono attraversare una doppia frontiera: interna e nazionale. Devono prima essere portate a Bari, poi accolte dalla Regione Puglia con le mutevoli fortune e alleanze del momento, poi essere portate a livello nazionale a livello - tra l'altro - di Conferenza Stato-Regioni e Conferenza Unificata. E non ci occupiamo del livello europeo, visto che le Regioni hanno ormai anche lì i loro uffici.

Ecco perché le aspirazioni, le richieste e le esigenze delle tre province vanno naturalmente verso un organismo regionale che le interpreti e le favorisca con pieno e diretto diritto di rappresentanza. La situazione è matura per curare in proprio e incrementare ulteriormente il nostro sviluppo, anche per un altro motivo. Il federalismo incombente prevede la soppressione del Senato (fine del bicameralismo perfetto) e l'istituzione della Camera delle Autonomie, dove siederanno le Regioni con rappresentanti (dicono i vari progetti) non eletti dal popolo, ma nominati dai Consigli Regionali.

Ebbene, noi crediamo che viste le dimensioni e le necessità del nostro sviluppo, le tre province debbano essere presenti con una propria Regione e quindi propri rappresentanti anche a livello nazionale. Fino a ieri il dibattito sulla Regione Salento restava episodico e frammentario, una pittoresca e bizzarra pretesa. Passare dal dibattito all'organizzazione è un passo necessario quanto complesso, che sta muovendo i suoi primi passi come ha dimostrato l'incontro di ieri a Lecce cui seguiranno quelli nelle altre province.

Speriamo che, contrariamente agli inviti di qualcuno, non si tenti di fermare la proposta referendaria nelle stanze degli amministratori comunali, evitando persino di mettere all'ordine del giorno l'argomento. I cittadini devono poter esprimersi con quello che è l'unico referendum propositivo della nostra legislazione, nel senso che propone di istituire, non di abrogare.

Le tre province sono mature per diventare Regione soprattutto perché sono cresciute, perché sentono il bisogno di autogovernarsi e di curare in prima persona il loro sviluppo, di muovere i loro passi sedendo direttamente nei consessi e negli organismi nazionali e internazionali. Lo sentono i cittadini; non possono non dar loro ascolto le forze politiche e sociali, i rappresentanti elettivi negli enti locali, i parlamentari, gli uomini di governo.

Giovanni RIZZO

*Coordinatore Lecce

Movimento Regione Salento

 

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Lunedì 13 Settembre 2010 (di Luigi CORVAGLIA)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

L'orgoglio di una identità mortificata

Mario Sansone, che da critico letterario era uso a guardare in profondità e che da oriundo proveniente della non lontana piana dauna poteva vedere Bari con occhi non nativi, ebbe a dire che questa è città "senza ironia e senza malinconia". Una efficace, fredda, rasoiata descrittiva. Da oriundo salentino, non riuscirei a trovare maggiore sovrapponibilità fra questa fendente condensazione semantica e quanto, fino alla lettura di questa definizione, percepivo senza sapere esprimere.

Un'epifania. Ecco. Questo volevo dire tutte le volte che farneticavo, sotto sguardi sempre più perplessi, di una seriosità ilare che copula con una tristezza rabbiosa. Lo so, non si capisce. Appunto. Sguardo profondo e occhi non nativi servono a vedere, non a descrivere. Sansone mi è venuto in soccorso. Fatto è che questa definizione, nel suo essere il preciso negativo della fotografia della città che nelle Puglie è il contraltare storico del capoluogo regionale, cioè Lecce, mi permette di riflettere sulle differenze profonde tra i territori di cui le due città sono riferimenti storici e amministrativi.

Lecce la sapevo descrivere molto bene anche prima di conoscere il giudizio di Sansone su Bari. La città salentina è luogo di straripante ironia e sottile malinconia. E' riflettendo su questo che diviene immediatamente comprensibile, al di là di lingue e campanili, al di là di ripicche storiche e calcistiche, di orgogli snobistici e fierezze mercantili, la lontananza incolmabile fra Puglia e Salento. Non di distanza culturale trattasi, bensì di contrapposizione psicologica.

Il Salento, con le sue mollezze ispaniche, i suoi centri arabi, le sue coste greche, la sua lingua sicula è più vicina a Siracusa o Malaga che a Bari. La terra di Bari, operosa come nessuna nel Meridione d'Italia, con le sue bianche cattedrali romaniche, dure, nordiche, squadrate, che si specchiano nelle vetrine levantine sul mare si affaccia. Il Salento ne è circondato.

E' la differenza che esiste fra attività e passività. Dice il barese che, se Parigi avesse il mare, sarebbe una piccola Bari. Il mare è centrale nell'immaginario barese. "Mare, vidi e fusci" , dice il salentino, che, più contadino che marinaro, ne diffida (e aggiunge "taverna, vidi e trasi"). Eppure il tramonto sul lungomare di Bari, dietro i tetti e i campanili della città vecchia è una cartolina di rara bellezza che si guarda distrattamente. I tramonti del Salento no, non sono sfondo della vita, sono la vita.

Il Salento è allegro come una samba e, come una samba, lascia un retrogusto di tristezza. E' malinconico come un funerale greco e festoso come un funerale a New Orleans. Il Salento è il paese "così sgradito da doversi amare" di Vittorio Bodini. Un ossimoro fatto terra, sole, mare e vento. Tommaso Fiore disse che i pugliesi sono "un popolo di formiche". Non conosceva i salentini, popolo di cicale. Così, mentre un altro intellettuale operante in città, lo scrittore Gianrico Carofiglio, può dire che "a Bari la modernità è arrivata quasi di sorpresa", noi possiamo dire che i salentini non si farebbero mai sorprendere. Come cecchini appostati fra gli ulivi enormi e contorti, la modernità la fermerebbero al confine settentrionale della linea messapica. Bari guarda avanti, Lecce indietro. Si guarda ai passati fasti nobiliari come alle tradizioni contadine, ci si arrocca, si scalano torri d'avorio, ci si auto-ghettizza in un magnifico isolamento a metà fra "mal d'Africa" e provinciale spocchiosità.

Ecco perché i tifosi del Bari hanno commesso un autogol involontario quando, durante un recente derby calcistico, hanno presentato uno striscione, nelle intenzioni molto offensivo, che recava scritto, con destinataria la popolazione salentina, "voi non siete come noi". Questo vuol dire che, nel loro sguardo disincantato di gente pratica, i baresi non hanno capito che ciò che per loro era un insulto, per i leccesi era una rassicurazione.

Si potrebbe continuare a lungo ad elencare riduzioni e schematismi con cospicue dosi di realtà, ma, se proprio vogliamo trovare il nocciolo di questa contrapposizione, credo che tutto si riduca a quanto mi ritrovavo a notare un giorno con un amico barese in gita a Lecce. Facendogli da Cicerone, mi si presentò la metafora della "città molle" da contrapporsi alla sua "città dura". Bari, convulsa, mercantile e dalle velleità metropolitane, è luogo di insolita durezza. Qui anche le donne hanno qualcosa di maschile, anche i bambini qualcosa di adulto. A Lecce anche gli uomini hanno qualcosa di femminile, anche gli adulti qualcosa di infantile.

Lecce è maniera, Bari è mestiere. Lecce è arte, Bari artigianato. Gli esteti preferiscono l'arte, le persone pratiche l'artigianato. Anche i rispettivi strati popolari sono molto diversi. Le "plebi" salentine sono umili e dignitosissime, a loro modo allegre, femminili, rotonde e aperte come le vocali della loro lingua, hanno la scorza morbida. I quartieri popolari di Bari, Molfetta, Andria, popolati da una umanità sfrontata poco incline a preoccuparsi della dignità, hanno la scorza dura, dura come le espressioni maschie e determinate delle donne dai visi squadrati, dure come l'aspra loro lingua. Sono così lontani dal mondo altoborghese del quartiere Murat o di alcune magioni di Trani che ne diffida profondamente. Sembrano due popoli diversi, non integrati. Nel Salento non si coglie assolutamente questa distanza, questa sì latinoamericana, con buona pace del supposto snobismo. In tutto ciò, in questo rapporto di simmetria fra opposti, in questo gioco di positivo e negativo fotografico è il vero senso delle rivendicazioni di autonomia del Salento, cioè della volontà di conferma legale di una realtà di fatto.

La realtà di fatto è che la assurda unificazione amministrativa del 1946, non solo non ha ancora amalgamato le due entità geo-culturali, ma ha posto le condizioni per poter creare un continuo confronto dialettico col coinquilino forzato. Non è quindi in un semplicistico fanatismo  basato su una supposta superiorità, cari amici baresi, che si trova il senso delle voglie secessioniste del vostro villaggio vacanze estive, bensì nell'orgoglio di una identità vissuta, a torto o a ragione, mortificata. Sì, è vero che, in certi ristretti ambienti leccesi, ad esser mal tollerata è la nuova condizione di periferia delle periferie della città più importante e raffinata delle Puglie a vantaggio di quello che percepiscono come un porto di pescatori e volgari mercanti. Ma non è questo che rende la richiesta di autonomia valida e non è questo che la dovrebbe rendere non valida. Lo spirito di rivalsa rischia sempre di tramutarsi nella stupida idea di un superiorità morale nei confronti di chi si trova in condizione di superiorità di fatto. Ma essere bianchi o neri, maschi o femmine, duri o molli, barocchi o romanici non implica essere migliori o peggiori, implica essere diversi, ontologicamente differenti. Ecco il perché di una battaglia, forse velleitaria, forse a rischio di scivolate para-leghiste, ma condotta sempre alla salentina, con poco impegno, fra un festival della pizzica e una pittula, con lentezza e contemplazione, ma, soprattutto, con ironia e con malinconia.

Luigi CORVAGLIA

 

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Mercoledì 15  Settembre 2010 (di Tommaso TERRAGNO*)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Referendum per dare voce al territorio

Già l'etimologia del suo nome svela tante delle sue unicità: Salento vuole dire terra di mezzo; spartiacque tra la Ionio e l'Adriatico e facile è intuire quanto questa particolare posizione geografica abbia inciso nella storia di questa terra e della sua gente forgiandone in maniera unica, appunto, il carattere ed i costumi, le abitudini e la mentalità; duemila anni di  storia con il filosofo e matematico Archita e con i poeti Quinto Ennio, Pacuvio e Virgilio.

Valida ed opportuna era da considerare l'idea dell'onorevole Giuseppe Codacci Pisanelli, componente dell'assemblea costituente, nel giugno 1946, nel proporre l'inserimento della regione Salento, nella Carta costituzionale, formata dall'area geografica di Brindisi, Lecce e Taranto. L'iniziativa non ebbe successo, si dice, per la ferma opposizione di un altro personaggio, anch'esso dai natali salentini ma con differenti visioni sul panorama politico dell'epoca.

La regione Salento scomparve dal testo finale della carta costituzionale. Quindi aggregando le tre province di Terra d'Otranto a quelle di terra di Bari e della Capitanata nacque la regione Puglia, altrimenti detta "Le Pu-glie", etimologia emblematica dello scisma culturale che distingueva, e tutt'ora distingue fortemente, il popolo del Salento da quello di Bari e della Daunia.

Va quindi dato atto all'iniziativa referendaria, promotrice dell'indipendenza salentina, nell'aver individuato quelle esigenze che, affondando le radici nella storia, hanno fatto di tale rinnovamento istituzionale una priorità. La formazione della Regione Salento non porterebbe solo ad un progresso sociale per il naturale riconoscimento di un'identità storica alla propria gente, ma ne migliorerebbe sicuramente anche gli equilibri economici e politici. Da considerare è, anche, che l'impianto della struttura organizzativa della nascente regione potrebbe non avere alcun costo se assorbisse le strutture organizzative delle già esistenti province da abolire. Costerebbe più, ai cittadini, mantenere tre giunte provinciali o una regionale? Andrebbe tenuto, poi, nella massima considerazione il rapporto diretto che la regione Salento instaurerebbe con gli organi del potere centrale.

Evitare gli sprechi, ottimizzare la rendita delle risorse dovrà essere, a ragion veduta, solo il primo degli obiettivi dell'insorgente regione che per istinto di sopravvivenza sarà costretta a cogliere, dal distaccamento dal governo di Bari, nuova linfa vitale per poter divenire un punto di riferimento, non più solo per le vacanze al mare, ma anche per il nostro modello di propulsione socio-economica.

Strada da fare però, allo stato attuale delle cose, ce n'è veramente molta; basti pensare al servizio ferroviario. Mentre nelle piazze delle città del nord i grandi tabelloni luminosi, che pubblicizzavano l'inizio dell'era dell'alta velocità, stavano per esaurire il loro conto alla rovescia, venivano soppressi due treni sulla tratta Roma-Lecce.

Il dramma dei trasporti e delle infrastrutture in generale sembra proprio essere un'altra delle caratteristiche esclusive del Sud Italia, poiché gli unici aeroporti Hub sono quelli di Fiumicino a Roma e di Malpensa a Milano rispettivamente a 600 e 1000 chilometri di distanza dal Salento. Se invece anche all'aeroporto di Brindisi si potesse arrivare e partire da e per tutto il mondo, lo scalo salentino funzionerebbe sicuramente da volano per la nostre dinamiche socio-economiche.

L'ubicazione delle terre del Grande Salento risulta una vera e propria piattaforma nel Mediterraneo: "mare nostrum", prospiciente a tutti i paesi africani, e non solo, con i quali intrattenere rapporti politici ed economici sempre più interessanti. Tanto darebbe impulso allo sviluppo di tutti i nostri comparti economici e un forte contributo all'occupazione, specialmente giovanile, atavico problema meridionale.

Ricordo che un pensatore sudamericano ebbe a dire che "se si è in pochi a sognare il sogno rimane tale, sì è in molti il sogno può diventare realtà. Perché non tentare? Perché non riposizionare la nostra storia? Va ricordato che la politica è l'arte del possibile e dell'impossibile. Guido Dorso, uomo politico meridionale, individuò, già all'inizio del '900, che i problemi politici e sociali, in cui si dibatteva il Mezzogiorno scaturivano dall'atteggiamento di una classe dirigente poco sensibile, moderata e appagata.

Le difficoltà che incontrerà la proposta referendaria della regione Salento saranno, indubbiamente, sia di natura locale che di origine parlamentare. Le prime si possono superare con una chiara esposizione, trattazione ed argomentazione delle convenienze, delle utilità e dei vantaggi che le popolazioni salentine trarrebbero sia dalla diagnosi autonoma delle proprie priorità, sia, come già detto in precedenza, dal collegamento diretto con gli organi del potere centrale.

Il Parlamento, che rappresenta la massima autorità politica nazionale, a cui è demandato anche il potere di cambiare la Carta Costituzionale, ha pieno titolo di valutare ed approvare la proposta referendaria considerando e interpretando attentamente il peso della scelta politica espressa dalle genti salentine. A questo punto assumono rilevanza l'impegno, la fermezza e l'abilità dei parlamentari meridionali nel coinvolgere e sensibilizzare gli altri colleghi per raggiungere i quorum previsti nella Carta Costituzionale per la nascita della regione Salento. L'esperienza dice, purtroppo, che, al contrario di altre forze politiche, nei veri centri decisionali i nostri parlamentari si presentano sempre come truppe sparse.

Va ricordato, invece, che il governo centrale è molto sensibile al flusso di voti che gli permettono di raggiungere la maggioranza in Camera e Senato e, sapendo questo, noi dovremmo diventare meno timidi nel far valere i nostri diritti, le nostre ragioni e non ascrivere ad altri le cause dei nostri insuccessi.

In politica, ma forse anche nella altre discipline sociali, lo studio e la comprensione dei problemi, degli interessi, delle necessità dei cittadini è la risultante di un equilibrato rapporto di forze tra le parti in competizione, rammentando che nessuno può farci sentire inferiori, senza il nostro consenso.

Tommaso TERRAGNO

* Economista

 

 

da La Gazzetta del Mezzogiorno di Mercoledì 15  Settembre 2010

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

«Un progetto rincorso da tempo»

Roberto Tundo e Klodiana Kuka dalla parte del «sì»

«Sì alla Regione Salento, un'antica aspirazione della Destra sociale». Roberto Tundo, del coordinamento regionale del Pdl, interviene nel dibattito aperto da qualche settimana a questa parte, da quando, il 5 agosto scorso, si è costituito il Movimento Regione Salento per chiedere un confronto referendario.

«Periodicamente riaffiora questo progetto - ricorda Tundo - Anche attraverso La Contea (mensile di politica e cultura, ndr) abbiamo avuto modo di sostenere l'attualità della Regione Salento in momenti differenti, a partire dalla prima metà degli anni Ottanta. Poi, dal 1997 fino al 2000, ci fu una vera e propria campagna a sostegno della Regione Salentina, coinvolgendo numerosi consiglieri regionali. In quanto tale - aggiunge Tundo - io stesso sollecitai Lorenzo Ria, eletto presidente dell'Unione delle province italiane, a sostenere la Regione Salento ed una certa disponibilità non venne meno. Per Ria poteva esserci "un ripensamento di una realtà territoriale che era chiamata Puglie e di una Terra d'Otranto che, negli atlanti storici, risulta entità a sè stante per economia, cultura, idioma", anche se il suo obiettivo era un Sistema Salento».

Intanto, Klodiana Cuka, presidente di Integra, esperta a livello nazionale ed internazionale di politiche migratorie, è stata scelta come responsabile delle politiche migratorie e della cooperazione con i Paesi dei Balcani e del Mediterraneo all'interno del Movimento Regione Salento.

«La mia presenza attiva all'interno del Movimento è data da un semplice motivo - spiega - Credo che il Salento sia una terra che ha nel dna accoglienza e solidarietà e ispira ad un'integrazione che non mira alla chiusura ma ad un'apertura verso nuove vedute che guardano lontano». «Anche per questo - dice- occorre che la nostra terra abbia uno spessore istituzionale oltre che culturale».

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Venerdì 17  Settembre 2010 (di Luigi MELICA)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

La Cassazione e la Consulta ci danno ragione

Gli ultimi articoli apparsi su Quotidiano circa il metodo adottato per la richiesta di referendum ai fini dell'istituzione della Regione Salento meritano un'ulteriore riflessione. In alcuni commenti di personaggi autorevoli del mondo del diritto è stato affermato che la strada intrapresa dal Comitato referendario sarebbe resa impervia dalla legge numero 352 del 1970, la quale regola l'indizione di tutti i referendum previsti dalla nostra Costituzione.

L'articolo 42, comma 2, della stessa normativa stabilisce infatti che a richiedere il referendum non debbano essere esclusivamente i Consigli comunali rappresentanti almeno 1/3 delle popolazioni interessate (così come stabilito dall'articolo 132, comma l della Costituzione), bensì tutti i Consigli comunali della porzione di territorio che vuole istituire la nuova Regione, i Consigli provinciali ed un terzo dei Consigli comunali che rappresentano i territori della porzione territoriale rimanente (ossia, nel nostro caso, delle aree di Bari e Foggia). Non solo, ma l'eventuale referendum dovrebbe essere esteso al territorio di tutta la Regione e, quindi, per quel che ci riguarda, a tutti i cittadini della Regione Puglia.

La legge numero 352 del 1970, dunque, sembra stravolgere il testo costituzionale addirittura inventando alcuni criteri, quali, ad esempio, le deliberazioni dei Consigli provinciali e quelle dei Consigli comunali che rappresentano 1/3 della popolazione appartenente alle aree territoriali di Bari e Foggia. Tale legge prevedeva requisiti analogamente rigidi e non previsti dal testo costituzionale anche nell'ipotesi del comma 2 dell'articolo 132, regolante il distacco di un Comune o di una Provincia da una Regione e l'aggregazione ad un'altra. Nel 2003, il Comune di San Michele di Tagliamento, volendo staccarsi dalla Regione Veneto per aggregarsi alla Regione Friuli Venezia Giulia (e ritenendo la legge numero 352 non conforme all'articolo 132 della Costituzione), ha presentato una richiesta di referendum al competente Ufficio centrale presso la Corte di Cassazione, corredata della sua sola deliberazione e non anche di quelle incostituzionalmente previste dalla citata legge. Per fortuna, il Comune in questione si è avvalso del supporto di illuminati costituzionalisti, i quali non si sono appiattiti sul principio dura lex sed lex ma sono andati ben oltre e, correttamente, hanno seguito il criterio secondo cui ignorantia constitutionis non excusat. Se si fossero arrestati al tenore letterale della legge numero 352 del 1970, il predetto Comune sarebbe ancora parte della Regione Veneto e non del Friuli Venezia Giulia.

In quell'occasione, l'Ufficio della Corte di Cassazione ha impugnato dinanzi al giudice delle leggi l'articolo 42 della richiamata legge del 1970 (invocandone il contrasto con l'articolo 132 della Costituzione) e la Corte costituzionale ha così statuito con sentenza numero 334 del 2004: "Poiché il referendum previsto dalla disposizione costituzionale attualmente vigente mira a verificare se la maggioranza delle popolazioni dell'ente o degli enti interessati approvi l'istanza di distacco-aggregazione, deve coerentemente discenderne che, la legittimazione a promuovere la consultazione referendaria spetta soltanto ad essi e non anche ad altri enti esponenziali di popolazioni diverse...".

Con tale pronuncia, pertanto, la Corte ha integralmente avallato la lettura fornita dalla Cassazione ed ha quindi annullato la disposizione della legge numero 352 del 1970 contenente i suddetti ulteriori requisiti, statuendo che l'ente richiedente il referendum è solo quello che intende staccarsi e la popolazione interessata a deliberare sulla richiesta di referendum è solo quella residente in tale Comune. Peraltro, nel luglio 2010 la stessa Corte, in un'altra pronuncia, ha addirittura ritenuto che, se per caso la Regione dalla quale ci si distacca fosse contraria al distacco, tale parere negativo non osterebbe al distacco stesso: il legislatore è infatti libero di legiferare in senso conforme al distacco.

A partire dalla pronuncia del 2004, i Comuni che hanno presentato richiesta di referendum (e non sono stati pochi) hanno poi ottenuto la legge di distacco. Venendo al caso che riguarda l'iter istitutivo della Regione Salento, si possono enumerare i seguenti profili:

  1. Si è in presenza di una normativa costituzionale chiarissima nei suoi elementi costitutivi: "Si può, con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse" (articolo 132 comma 1).

  2. Si è in presenza di una legge - la numero 352 del 1970 - che letteralmente "inventa" una serie di requisiti.

  3. Non esistono precedenti, ossia nessuna area territoriale ha mai presentato una richiesta ai sensi dell'articolo 132 comma l della Costituzione.

  4. Esiste una giurisprudenza della Corte costituzionale la quale, pur prendendo in considerazione il comma 2, detta regole che non sarebbero state differenti qualora fosse venuto in rilievo il comma 1.

  5. L'ufficio competente a ricevere le deliberazioni dei Comuni concernenti l'istituenda Regione Salento è l'Ufficio centrale presso la Corte di Cassazione, ossia lo stesso organo che allora aveva sollevato la questione davanti alla Corte costituzionale.

Per tutte queste ragioni, il Comitato promotore predisporrà una memoria esplicativa di accompagnamento alla richiesta referendaria con la quale si chiederà al predetto Ufficio di far indire il referendum sulla base delle citate regole che esso stesso ha contribuito a formulare. Solo in subordine, infatti, si chiederà di sollevare questione di costituzionalità davanti alla Corte costituzionale, il cui giudizio, mi pare, sia già chiaro ed inequivocabile nel favorire - come essa stessa ha affermato - "il diritto all'autodeterminazione dell'autonomia locale". Dopodiché sarà il Parlamento a pronunciarsi.

Luigi MELICA

 

 

da La Gazzetta del Mezzogiorno di venerdì 17  Settembre 2010

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Obiettivo «Regione Salento»: nasce il laboratorio operativo

Il progetto va avanti e ottiene adesioni e consensi

 Il Movimento Regione Salento vara "Cantiere Salento costruiamo il futuro". Si tratta di un laboratorio aperto a chiunque intenda dare il proprio contributo per il nuovo progetto che, ribadiscono i fondatori del Movimento, mira ad un'ottimizzazione della tutela del territorio. «L'istituzione della Regione Salento darà la possibilità di governarsi meglio dovendo l'autonomia amministrativa, legislativa ed anche impositiva, calibrando meglio i provvedimenti che, oggi, come Regione Puglia, non sempre vengono incontro a quelle che sono le esigenze del territorio» dicono i fondatori.

Tra gli altri, anche il professore Antonio Fasiello, presidente dell'Associazione nazionale frazioni Italia (Anafri), sostiene la proposta di istituire la Regione Salento. «La penisola salentina è già dal punto di vista geografico una regione che culturalmente mostra una discreta omogeneità - spiega - La presentazione delle richieste per la costituzione della Regione Salento e della Regione Romagna costituisce una situazione eccezionalmente favorevole. Il Parlamento sarà moralmente costretto a prendere una decisione identica per entrambe. Qualora, in futuro, si dovesse giungere all'abolizione delle province, i salentini rimarrebbero con un pugno di mosche in mano - considera - Non si riesce a capire le ragioni suicide di chi si dice contrario».

Quanto alla spesa, «il recupero delle risorse e dei finanziamenti sottratti alle tre Province da una politica baricentrica sarà più che sufficiente a far fronte agli eventuali maggiori costi che la nuova Regione potrebbe comportare».

Il dibattito non poteva non svilupparsi pure su Facebook, dove il Movimento parla di diecimila adesioni in soli due mesi per il Gruppo Regione Salento.

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Lunedì 20 Settembre 2010 (di Giuseppe SCHIAVONE*)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Il referendum è un diritto e non può essere negato

Aderire al movimento teso all'istituzione della Regione Salento significa aderirvi per il bene della nostra terra, per rilevanti ragioni storiche, socio-economiche e funzionali, proposte nel tempo da molteplici voci del popolo salentino, dal 1946 in poi, dall'Assemblea costituente e dai cittadini di ieri e di oggi; e adesso rilanciate in modo più forte e diffuso, con impellenza, perché la pazienza civica è giunta al colmo.

Esse contengono una cogenza democratica che non può essere ignorata ulteriormente, meno che mai boicottata o addirittura contrastata.

Esse, pertanto, "debbono" essere prese in considerazione attivando i meccanismi costituzionali previsti, per illustrare dettagliatamente il progetto in questione e per accertare la volontà generale del Corpo elettorale, tramite referendum (articolo 132 della Costituzione).

Sorprendente appare, perciò, la proposta (apparsa su Quotidiano dell'8 settembre, ad opera di Carlo Salvemini, consigliere comunale di Sinistra e Libertà) di costituire nientemeno un comitato anti-referendum, con un obiettivo di contrasto antidemocratico, con l'aggiunta di una campagna di stampa mirante ad alterare ideologicamente la verità dei dati di riferimento e a banalizzare od offendere il progetto Regione Salento, facendolo passare per una squallida operazione di secessione o di frazionismo geopolitico egoistico, "fanatismo etnocentrico" è stato scritto da un altro avversario (Quotidiano del 2 settembre). A ulteriore sostegno di siffatta mobilitazione sono scesi in campo gli ideologi di vari partiti, per difendere la "casta politica" minacciata di perdere il controllo della situazione.

Stupisce soprattutto il comportamento della sinistra, che per dottrina e tradizione dovrebbe difendere i diritti dei cittadini, le loro istanze, soprattutto quando qualcuno tenta di espropriarli della loro legittima sovranità. Dove sta la migliore sinistra storica, e quella alternativa, la sinistra delle primarie, contraria alle prassi delle varie oligarchie, la sinistra sempre pronta a sostenere i movimenti che nascono dal basso, "dove sta?" Perché si "confonde" con i gruppi di potere che osteggiano il rinnovamento del Salento?

Il referendum non può essere negato. È un diritto del cittadino, un dovere delle istituzioni (Consigli comunali e Provinciali, Parlamento), purché chiesto nei termini di legge. I partiti politici (articoli 49 e 50 della Costituzione) dovrebbero agevolare questa istanza e questo processo. Dovrebbero cooperare in quest'azione di "presa di coscienza" democratica. Successivamente ognuno voterà come riterrà opportuno: contro o a favore della Regione Salento.

Dopo, i promotori della Regione Salento (Brindisi+Lecce+Taranto) si ritireranno, poiché essi non costituiscono un partito, ma costituiscono un "progetto", offerto, con civica educazione, allo sviluppo e al bene del nostro territorio.

Giuseppe SCHIAVONE

* Ordinario Storia delle dottrine politiche

Università del Salento

 

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Giovedì 23 Settembre 2010 (di Adriana POLI BORTONE)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Il federalismo va a braccetto con le micro-aree

I presupposti non mancano e nell'Italia federale che si va sempre più delineando la questione della Regione Salento diventa attuale e quanto mai urgente. Regione Salento e federalismo non sono due temi in antitesi tra di loro; l'uno non esclude l'altro, semmai ne agevola una migliore attuazione. L'applicabilità dell'articolo 119 della Costituzione non implica una dimensione necessariamente ampia degli enti regionali.

Si muove, piuttosto, nella direzione di un completamento del decentramento funzionale a favore degli enti locali/comunali e non delle Regioni. Per portare ad attuazione l'articolo 119 della Costituzione - il quale prevede che le risorse tributarie proprie di Regioni, Province e Comuni e le compartecipazioni alle risorse erariali versate sul territorio siano finalizzate al finanziamento delle funzioni pubbliche - è necessario dare vita non ad enti regionali, bensì ad ent, di dimensione utili al coordina mento del corretto esercizio delle funzioni pubbliche.

Nello specifico l'articolo 119, strettamente correlato all'articolo 118 della Carta Costituzionale, il cosiddetto principio di sussidiarietà in base al quale le funzioni pubbliche spettano in primo luogo all'ente più vicino al cittadino, trova una migliore attuazione se "cucito" in funzione di enti di dimensioni minori rispetto alle Regioni.

Già da qui si intuisce come il testo unico sulle autonomie locali ridefinirà le funzioni degli enti territoriali, ed è innegabile in questo contesto la centralità che, ai sensi dell'articolo 118, assumeranno i Comuni. Per questo, parlare di macroregioni in tema di federalismo fiscale è un errore tecnico, davvero macroscopico.

Un simile discorso non concerne solo il federalismo fiscale, ma si estende al demanio idrico, culturale e marittimo e quindi al cosiddetto federalismo demaniale. Conseguentemente, resta ferma la necessità che le Regioni agiscano in piena sintonia con i Comuni ai fini dell'uso e della valorizzazione di questi beni, il che implica ancora una volta enti regionali non di vaste estensioni, ma di dimensioni appropriate.

Oltretutto, nel momento in cui si prendono in considerazione materie di competenza regionale di estrema delicatezza ed importanza come istruzione, assistenza sociale e trasporti, diventa impensabile prevedere una gestione diretta da parte delle Regioni. Per questo sarà necessario il decentramento delle funzioni e il trasferimento delle stesse ad enti territorialmente più vicini ai cittadini. Analizzando la situazione pugliese, credo che in una regione così vasta e variegata come "le Puglie" non sia sufficiente la massima sinergia e cooperazione tra enti territoriali e Regioni, ma vada avviato un vero e proprio processo che porti alla creazione di enti di minori dimensioni più vicini ai cittadini (che non possono continuare ad essere le Province).

Ecco perché credo che i tempi, anche in prospettiva del federalismo, siano maturi ed urgenti per incominciare a parlare della istituzione della Regione Salento che non solo non danneggerebbe il resto del territorio dell'attuale Regione, ma anzi consentirebbe una maggiore valorizzazione dell'attuale Nord della Puglia con la esaltazione delle sue differenze e delle diverse vocazioni. E comunque, a prescindere dalle idee politiche di ognuno e dall'essere contrari o meno alla nascita di una Regione Salento, che possa rappresentare e meglio accorpare identità storico culturali che accomunano le province di Lecce, Brindisi e Taranto, sono convinta che non si possa negare la possibilità agli stessi salentini di esprimersi attraverso un referendum consultivo, principale e più importante strumento di democrazia rappresentativa e partecipata.

E' un momento particolare della storia d'Italia quello che stiamo vivendo: le minacce secessioniste della Lega sono sempre in agguato, dopo quelle all'Unità d'Italia, arrivano le provocazioni su Roma Capitale d'Italia. Il Caroccio, che in altre occasioni ha dimostrato di essere attaccato (e come!) al potere romano, maldestramente attenta all'Unità del nostro Paese.

Per quanto mi riguarda, ho sempre con veemenza risposto a simili attacchi all'Unità d'Italia, fermamente convinta che i valori unitari non debbano essere intaccati da nessun e in nessun modo. Semmai va solo ridata dignità al Meridione, che proprio in virtù della realizzazione dell'Unità d'Italia ha pagato un pesantissimo tributo taciuto nei testi storici. Per questo, ho affermato in più occasioni che la storia attuale ha il dovere di restituire verità storiche importanti e dignità ai cittadini meridionali, che in primo luogo sono italiani.

Il diritto sacrosanto di includere la volontà dei salentini, attraverso una scelta referendaria, nell'eventuale nascita della regione Salento si inquadra in una scelta ampiamente democratica e in prospettiva di uno Stato unitario ad impianto federale.

Adriana POLI BORTONE

 

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Venerdì 22 Ottobre 2010 (di Umberto FANUZZI)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Senza autonomia non ci sarà svolta

La diretta conoscenza delle modalità operative degli organi rappresentativi e decisionali e della struttura organizzativa della Regione Puglia acquisita nel corso dei cinque anni di lavoro quale staff economico dell'ex presidente della Provincia di Brindisi, Michele Errico, mi hanno convinto del fatto che risulta necessario ed improrogabile realizzare il nuovo soggetto istituzionale intorno al quale si sono concentrate significative e qualificate attenzioni di cittadini comuni, di professionisti e di rappresentanti della società civile.

La Regione Salento va istituita quale organismo istituzionale rappresentativo di una popolazione composta da 1.797.299 cittadini residenti, omogenea sia socialmente che culturalmente, che è meritevole di una specifica autonoma rappresentanza anche politica, che la faccia assurgere al ruolo di entità imprescindibile in tutti i contesti nazionali, comunitari ed internazionali, perché:

occorre liberarsi dal condizionamento e dai vincoli prodotti dagli attuali organi regionali nell'ambito della definizione delle direttrici dello sviluppo economico e sociale che vengono tracciate a livello macro e con la preferenziale ricaduta sul territorio dell'attuale capoluogo regionale senza coinvolgere i territori interessati che, al contrario, conoscono dettagliatamente ed approfonditamente la situazione ed i fabbisogni degli stessi e, quindi, la natura e tipologia degli interventi fisici finanziari più rispondenti per lo sviluppo del territorio ed alle attese ed alle istanze dei cittadini;

occorre, quindi, appropriarsi della gestione delle risorse finanziarie comunitarie (quelle eventualmente disponibili oltre il 2013) e nazionali al fine di utilizzarle per la realizzazione di progetti strategici di sviluppo infrastrutturali e per i settori economici, per il sistema del welfare e della salute determinati sulla base di una scala di priorità definita dal territorio salentino evitando, in tal modo, che si verifichi ancora la demenziale parcellizzazione del Salento in quattro "Aree Vaste" fra loro concorrenti nell'assegnazione di fondi pubblici  mediante la presentazione di un proprio Piano Strategico di sviluppo del territorio di riferimento, compreso quello della Viabilità e della Valutazione ambientale strategica. Piano basato su una miriade di progetti per tematiche predefinite senza che fra dette aree, sia a livello progettuale che territoriale, vi fosse, come avrebbe dovuto essere, l'obbligo di individuare un unico punto di riferimento decisionale ed operativo (invece delle attuali quattro costose strutture poste in attività con i criteri e i metodi usualmente adottati dal sistema politico nella ripartizione di incarichi e poltrone) che coordinasse e mettesse in rete tutti quei progetti accomunati da specifici obiettivi di sviluppo allo scopo di ottenere il massimo dei risultati;

occorre liberarsi dal sistema di relazioni "vischiose" poste consapevolmente in essere ai diversi livelli politici ed operativi che rendono difficile l'attivazione e la gestione dei rapporti fra Regione e rappresentanze istituzionali ed economiche anche se sottoscritti in accordi e/o intese territoriali, evitando, in tal modo, il ripetersi di fatti già accaduti quale la mancata attuazione del Protocollo di Intesa e del Programma di Intesa Istituzionale e del Documento di Intenti per lo sviluppo socio-economico sottoscritti nel 2006 e 2007 fra Regione Puglia e le tre Province di Brindisi-Lecce-Taranto. Questi prevedevano l'assegnazione di fondi Fers, Fas, Fse per oltre 300 milioni di euro nel periodo di programmazione 2007-2013 a fronte di progetti interprovinciali e sovraterritoriali, impegni finora ampiamente disattesi nonostante i tanti "viaggi della speranza" fatti a Bari per discutere con i vertici regionali che, invece, smistavano per improrogabili sopravvenuti impegni ai funzionari che ovviamente "prendevano atto del problema per poi riferire" (chi scrive è stato coordinatore dei tavoli tecnici attivati dalle tre Province per la stesura dei detti documenti);

occorre sostituire il criterio adottato dalla Regione nella ripartizione delle risorse pubbliche da destinare agli investimenti basato su quote percentuali determinate sulla base della popolazione residente nei territori provinciali perché non tiene conto della strategicità e qualità dei progetti e dei risultati previsti in termini di ricaduta economica su ciascuno di essi;

occorre poter contare su una struttura operativa snella e sburocratizzata, vicina al territorio composta da dipendenti responsabili e professionalizzati che conoscono lo stesso perché ci vivono e non perché leggono i documenti, sempre più copiosi, richiesti a fronte di qualsiasi iniziativa pubblica e/o imprenditoriale;

occorre cogliere le opportunità e le potenzialità presenti nel federalismo, si auspica definito mediante l'adozione di una strutturazione dei decreti attuativi effettivamente efficaci e funzionali, anche per evitare che la sua attivazione produca un ulteriore e gravoso innalzamento del livello "direttorio" delle politiche regionali ed un inaccettabile aumento del grado di accentramento dei poteri di indirizzo e gestionali della Regione.

La risposta adeguata a tutto ciò è rappresentata dalla costituzione della Regione Salento: le motivazioni esposte assumono un rilievo indiscutibile, in termini di necessità ed opportunità, per l'autodeterminazione del proprio modello di sviluppo che interessa un'area geografica caratterizzata fra l'altro, da un comune significativo pas­sato storico, da una importante specifica ed elevata omogeneità culturale, da una economia basata su settori produttivi di tradizione e qualificati, dalla presenza di competenze professionali e tecniche e da poli culturali universitari di buon livello, da un livello alto di scolarizzazione, da un notevole dinamismo del sistema delle Pmi e dell'artigianato, dalla presenza di risorse naturali ed ambientali che possono considerarsi strategici per lo sviluppo del turismo.

Alcune delle ragioni esposte da coloro che sono contrari all'iniziativa condotta in assoluta libertà dai promotori e senza l'ingerenza ed il condizionamento di chicchessia, sono facilmente smontabili; ad esempio, quella della moltiplicazione dei costi di funzionamento della pubblica amministrazione che, viceversa, si ridurrebbero atteso che gran parte degli attuali dipendenti regionali (circa 7mila) diventerebbero eccedenti e la riduzione del loro costo non verrebbe compensata dai dipendenti della nuova Regione Salento che si potrà dotare di una struttura non elefantiaca quale quella regionale formatasi negli anni per "familismo" e "appartenenze".

Inoltre, i costi e le spese generali aggiuntivi saranno sostanzialmente contenuti e di ammontare tale da non assorbire le economie ottenibili con il consistente contenimento e con la rideterminazione della attuale struttura organizzativa regionale. Una fra le altre critiche circa la realizzabilità dell'iniziativa, è quella che si viene a creare un nuovo inutile organismo che frazionerebbe una unità politica, socio-economica e geografica ormai stratificata e consolidata dando vita, si dice, ad una micro realtà. A tale rilievo può contrapporsi il fatto che sussistono regioni con popolazione residente e superficie geografica ancora più contenute della Regione Salento quali l'Umbria, la Basilicata ed il Molise che non sono caratterizzate certamente da "nanismo" nel panorama nazionale. Si rammenta che la Regione Salento rappresenta il 44% della popolazione dell'intera Regione Puglia ed il 36,3% dell'intera superficie regionale.

 

Umberto FANUZZI

 

 

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Giovedì 4Novembre 2010 (di Francesco FLASCASSOVITTI)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

Un'idea forte con una storia ricca di cultura

Nel recente incontro promosso dall'Ande, le affermazioni di chi  si è dichiarato contrario alla Regione Salento, mi spingono ad intervenire per offrire elementi di riflessione a coloro i quali, in quel dibattito, hanno dichiarato che tale- "proposta nasce storicamente debole e non condivisa" e che "in questo territorio non c'è mai stata la volontà di dividersi dalla Puglia, tant'è che quando era possibile con le disposizioni finali della Costituzione non è avvenuto".

Contrariamente a quanto si possa pensare, la "questione salentina" non è affatto recente, giacché fu affrontata già a metà del 1800, allorquando l'onorevole Gaetano Brunetti, nel presentare al Parlamento Subalpino il 20 marzo 1861 l'istanza per ottenere una Corte d'Appello in Lecce faceva presente che il Salento è un territorio che da un punto di vista linguistico e storico costituisce una parte a sé stante della Puglia.

Tale istanza, che era considerata il primo passo verso l'autonomia, regionale, fu ripresa dal Consiglio Comunale di Lecce il 1 maggio 1862, che deliberò di inviare al Re una Commissione perché rappresentasse al Sovrano le peculiarità della provincia di Lecce e del Salento tutto e, di poi, in più occasioni dal Consiglio Provinciale di Terra d'Otranto, con le delibere adottate il 26 maggio 1884, il 24 aprile 1903 ed il 17 maggio 1904, ed infine nella seduta del 15 novembre 1906.

La questione della Regione salentina, cioè di un territorio che aveva un proprio ruolo nel contesto della Puglia e perciò era meritevole di ottenere una propria autonomia, fu ben presente nella prima metà del secolo scorso anche in autorevoli uomini della cultura meridionale e di quella parte della cultura pugliese non salentina, libera da spirito campanilistico ed aperta a moderne istituzioni di decentramento come Michele Cifarelli, Tommaso ed Ilario Fiore, il gruppo dei meridionalisti discepoli di Benedetto Croce.

Non è esatto, così come è stato scritto, che fu il solo onorevole Codacci Pisanelli all'avvento della Repubblica a combattere per il riconoscimento dell'autonomia regionale, perché la legittima aspirazione del Salento a diventare Regione autonoma fu oggetto di numerosi studi e interventi da parte di coloro i quali ritenevano, già negli anni '40, che ci si dovesse battere per il decentramento e per l'identità del Salento.

Il problema della Regione Salentina infatti fu affrontato autorevolmente da Sebastiano Grassi, il Principe Apostolico, in una pregevole monografia nella quale fu dimostrato che il Salento meritava di essere riconosciuto Regione. I nostri conterranei professori Attilio Biasco, Luigi Mariano, Liborio Salomi e Guglielmo Paladini studiarono attentamente la fattibilità della proposta di istituire una Regione Salentina ed esposero i risultati dell'indagine, nel 1946, nella monografia "La Regione Salentina", consultabile presso la nostra Biblioteca provinciale.

Ma ancora nei primi anni post-bellici, prima che la Commissione cosiddetta "dei 75" incaricata di indicare le Regioni da inserire nella Carta Costituzionale (la quale bocciò la proposta della Regione Salento per un solo voto, pare dell'onorevole Aldo Moro), il federalismo e le autonomie regionali furono oggetto di discussione vivace ed appassionata.

Gaetano Salvemini in un articolo pubblicato in "Critica Politica" scriveva: "Molte delle provincie italiane sono regioni naturali. Per esempio le province di Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, Potenza, Lecce, Bari, Foggia, Roma, Perugia, Genova, combaciavano prima di certe riforme fasciste, con vere e proprie regioni naturali: le tre Calabrie, la Basilicata, la Terra d'Otranto, la terra di Bari, la Capitanata, il Lazio, la Liguria, l'Umbria".

Il Salvemini, identificando il Salento con l'antica provincia di Lecce e questa con la "Terra d'Otranto", riconosceva che questa era una "regione naturale" distinta nettamente dalla Terra di Bari e dalla Capitanata. Ma perfino Don Sturzo del 1944 scriveva su "Le Autonomie regionali ed il Mezzogiorno": "Il Salento costituisce indiscutibilmente una regione, perchè oltre ad essere circoscritta naturalmente, è una vera unità specifica di lingua, di storia, di costumi, di affinità, di interessi...".

Sempre in quel tempo, tra gli aderenti al Partito d'Azione, tra cui Nicola Flascassovitti, indomito sostenitore della Regione Salento, tornò a riaffacciarsi l'idea della ricomposizione della Terra d'Otranto col riaccorpamento delle tre provincie di Lecce, Brindisi e Taranto che il fascismo aveva da poco disaggregate; un progetto che tutte le forze politiche salentine avevano messo al centro dei loro programmi, sin dalla loro ricostituzione. Tant'è che si era formato un forte movimento popolare che culminò in una solenne adunanza in Taranto alla quale parteciparono i rappresentanti delle maggiori organizzazioni ed enti salentini ed in cui le tre provincie di Lecce, Brindisi e Taranto concordemente dichiararono di volersi dare un'autonomia regionale.

Scrisse allora Nicola Flascassovitti su "La Provincia di Lecce" che "in quella adunanza ha palpitato lo spirito della nostra Regione che si ribella all'accentramento statale il quale ha soffocato, se non distrutto l'economia, la storia e l'avvenire della nostra terra" ed auspicò "una grande, libera consociazione dei Comuni salentini, come la Lega dell'Umbria, che dia il via allo sviluppo dei Comuni medesimi e delle tre province".

La battaglia per il riconoscimento della Regione Salento fu portata avanti da Flascassovitti sulle pagine de "Il  Salento nostro" e del settimanale della domenica "La Provincia di Lecce", poi divenuto "la Regione Salentina", il quale in numerosi articoli apparsi negli anni dal 1946 al 1948 difese con forza il diritto dei salentini ad avere la loro Regione.

Scriveva Nicola Flascassovitti nel numero del 13 gennaio 1946 de "La Provincia di Lecce" a proposito della Commissione Ministeriale per l'elaborazione della "Legge elettorale politica per l'Assemblea Costituente": "Spesso le regioni comprendono territori e genti completamente distinte, anzi opposte tra loro. È possibile ignorare che Lecce, Brindisi e Taranto hanno una propria storia, una propria tradizione, una lingua propria, oltre che interessi, costumi, economia in comune, diversi, distinti e sovente opposti alle rimanenti popolazioni e territori della Puglia e cioè Terra di  Bari e di Capitanata?"

La mancata istituzione della Regione Salento non impedì a Nicola Flascassovitti di continuare negli anni successivi la sua costante ed appassionata attività intesa a richiamare l'attenzione dei responsabili della Cosa Pubblica sul problema della autonomia del Salento: tanto con articoli, interventi conferenze e dibattiti (l'ultimo il 16.9.1991 sul tema proposto da Domenico Faivre de La Gazzetta del Mezzogiorno: "Lecce dove sei?").

Vale poi ricordare che nel 1986 l'onorevole Meleleo, già sindaco di Lecce, aveva promosso un convegno per la istituzione di una Regione Salentina. Il convegno intitolato "Salento porta d'Italia" riaffermò l'importanza del Salento dal punto di vista storico, geografico e culturale, ribadita dagli autorevoli intervenuti di Moscati, Valli, Marti, Urso. In quella sede l'onorevole Meleleo annunciò ufficialmente che avrebbe proposto in Parlamento un progetto di legge per la istituzione della Regione Salento.

Non va infine dimenticato che con atto per notar Paolo Dell'Anna del 30 aprile 1991 un gruppo di cittadini leccesi, capitanati da Ferdinando Doria, costituì un "Movimento per la costituzione della Regione Salento" (M.c.r.s.) il cui scopo, si legge nel suo statuto, era "la costituzione di una entità regionale formata dalle provincie di Lecce, Brindisi e della fascia fonica di Taranto".

Merita perciò più attenzione e considerazione la proposta portata avanti con entusiasmo da Paolo Pagliaro, presidente del Movimento Regione Salento, anche in dissonanza da quanti, considerandola un'utopia, invocano una unità della Puglia che non è mai esistita tranne che sulla carta geografica della penisola.

 

Francesco FLASCASSOVITTI

 

 

 dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Mercoledì 1 Dicembre  2010 (di Paolo PAGLIAROI)

REGIONE SALENTO: Le ragioni del "SI"

 

«Ora il territorio decida il suo futuro»

 

Paolo Pagliaro, presidente Movimento Regione Salento: il primo passo sembra fatto.

«È un momento storico, non si era mai arrivati a questo coinvolgimento popolare».

I passaggi quali saranno, ora?

«Vorremmo una partecipazione di tutti o quasi i Comuni delle tre province: domani partiranno le lettere di sollecito, e il 20 dicembre depositiamo in Cassazione la richiesta. La nostra proposta è di andare al voto abbinandolo ad elezioni politiche».

Sul referendum c'è stata una disputa giuridica, e le ambiguità non sembrano fugate.

«Il professor Melica si è occupato di tutto l'iter, la strada è quella giusta, anche perché sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione in precedenza».

L'identità socio-culturale della Regione Salento non è troppo diversificata per essere ritenuta unica?

«L'aspetto identitario è importante, ma non è prioritario. La madre di questa battaglia è la Terra d'Otranto, il padre è il futuro: ciò che conta sono gli interessi concreti, economici, di sviluppo, di autodeterminazione che riguardano tutte e tre le province, che devono determinare il proprio futuro plasmando i propri cervelli sulle esigenze locali».

Il `Bari-centrismo" aumenta: cosa glielo fa pensare?

«Gli indici di distribuzione delle risorse spiegano che il 70 per cento sono per Bari. C'è un forte squilibrio».

Una nuova Regione moltiplicherebbe i costi della politica.

«No, anzi: nascendo in questa fase storica, avrebbe un modello gestionale virtuoso che può essere un modello. Costruendo di sana pianta è più semplice dell'intervento su situazioni incancrenite. Vogliamo un ente responsabile, efficace, prossimo al cittadino».

Perché i partiti sembrano scettici?

«Siamo un movimento indipendente da tutti, parliamo ai volti e non ai voti, senza ambizioni elettorali. E questo sfugge al controllo delle nomclature. Il consenso invece c'è da parte degli amministratori».

Ma una nuova Regione sarebbe sufficiente per attrarre più risorse sul territorio?

«Non ci sono controindicazioni in tal senso».

 

 

Intervista a Paolo PAGLIARO

 

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