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Da La Gazzetta del Mezzogiorno di Giovedì 20 Novembre 2003

La giovane vedova di Rodolfo Patera e la figlia di Luigi Pulli assunte al Comune
Un lavoro per i parenti delle vittime

L'impegno preso da tempo. Intanto si attende la conclusione del processo bis

VEGLIE - Un posto di lavoro al comune per i parenti delle vittime della strage della Grottella. L'assunzione non è ancora stata formalizzata. Ma ormai è certo che dal primo dicembre la giovane vedova di Rodolfo Patera e la figlia di Luigi Pulli saranno assunte dall'amministrazione comunale di Veglie. E forse già nelle prossime ore il sindaco Roberto Carlà potrebbe ufficializzare la decisione.
Non sarebbe stato raggiunto, invece, l'accordo per la terza assunzione. Nel sanguinoso assalto ai furgoni portavalori della Velialpol perse la vita anche Raffaele Arnesano, pure lui di Veglie.
Quello di assicurare un posto di lavoro alle vedove della strage della Grottella era un impegno assunto da tempo. E il Comune, alla vigilia del quarto anniversario del terribile fatto di sangue, è pronto ad onorarlo.
Una strana coincidenza, poi, vuole che le assunzioni arrivino a ridosso della conclusione del processo-bis per la strage. In Assise sono imputati Pasquale Tanisi, Antonio Tarantini e Marcello Ladu, i presunti "amici" di Vito Di Emidio, che lo avrebbero affiancato nell'assalto ai furgoni condotto con un'azione di guerriglia urbana. Il pm ha invocato l'ergastolo. Il carcere a vita stanno scontando i due sardi, Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, che attendono il verdetto della Corte d'Assise d'Appello previsto per i prossimi giorni.
E proprio di recente il sottosegretario all'Interno Alfredo Matovano ha assicurato i parenti delle guardie giurate sui tempi celeri per il
riconoscimento della provvisionale (elevata al 90 per cento) dell'indennizzo previsto dal Fondo per le vittime della criminalità. La provvisionale è già stata disposta per i famigliari di Luigi Pulli. L'accesso al Fondo per le vittime di mafia, invece, è stato impedito perché nelle sentenze emesse dalla Corte d'Assise e del gup viene escluso il carattere mafioso dei componenti del gruppo criminale. Contro l'esclusione i parenti hanno presentato un ricorso al Tribunale amministrativo.

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Dal Nuovo Quotidiano di Lecce di Giovedì 20 Novembre 2003

Le vittime dell'eccidio e il mancato risarcimento, il procuratore aggiunto Cataldo Motta spiega i motivi

«Aggravante senza riscontri. La legge è troppo restrittiva»

Un Un feroce assassino divenuto loquace pentito, tre vigilantes ammazzati (da lui, ammazzati; da lui e dalla sua banda) e un'aggravante, quella della finalità mafiosa della strage della Grottella, non riconosciuta in sentenza, quel che basta per il no opposto dal ministero dell'Interno al risarcimento per i parenti delle guardie giurate uccise, vittime del mafioso Vito Di Emidio ma non di un'azione mafiosa o con fini mafiosi. Brutta parola, mafia. Brutti ricordi e pensieri. E brutta faccenda: niente aggravante per il boss pentito, niente indennizzo. Benché Di Emidio, che ha caricato a sé e ai suoi più vicini compari quell'eccidio, abbia detto che parte dei miliardi frutto di quella sanguinosa rapina è stato investito nell'associazione mafiosa. Era il dicembre 1999 - Dopo quattro anni la ferita è ancora aperta. Anche per questo.

 

Il giudice che, condannando a 16 anni Vito Di Emidio, ha escluso l'aggravante del fine mafioso di quella strage dice che è stata la stessa Direzione distrettuale antimafia a non aver mai creduto a quella contestazione, inserita pressoché alla fine del processo. Procuratore aggiunto Cataldo Motta, è così?

«L'articolo 7 della legge sulla lotta alla mafia, cui fa riferimento quell'aggravante, parla del metodo o della finalità mafiosa di un'azione delittuosa. E noi a Di Emidio abbiamo contestato solo il fine. E di questo restiamo convinti. Per il resto, va aggiunto che ha ragione il giudice di merito quando sostiene che la rapina di per sé non è reato tipico di un gruppo organizzato qual è quello sanzionato dall'articolo 416 bis. Noi abbiamo sempre sostenuto che Di Emidio fosse mafioso, non i suoi complici in quelle rapine. E che per questo versasse parte dei proventi delle scorribande all'organizzazione. Solo lui, non anche gli altri».

 

A parlare del contributo pecuniario alla Scu è stato proprio Di Emidio, una volta cominciata la sua ampia collaborazione. Ma in sentenza si dice che mancano i riscontri a queste sue dichiarazioni.

«Il passaggio di denaro non è stato provato. Del resto, a differenza di altri fatti, oggettivamente riscontrabili, questo tipo di condotta è difficilmente dimostrabile. Sicché restano solo le sue parole. E ad esse si applica quel che vale per tutti i collaboratori di giustizia ogni volta che occorre provare le loro dichiarazioni».

 

Crede che Di Emidio abbia cercato quell'aggravante per spuntare - attraverso l'articolo successivo, il numero 8, sulla dissociazione da un'organizzazione mafiosa - un ulteriore sconto di pena?

«Non credo. L'imputato ha tante e tali condanne, tra cui un ergastolo definitivo, per cui il suo problema non è più quello dell'entità della pena, ma della sua esecuzione».

 

Lei ritiene quell'affermazione, aver cioè versato alla Scu parte dei soldi della rapina mortale, assolutamente genuina?

«Ci sono i presupposti per dire di sì».

 

Perché la Procura allora non ha impugnato la sentenza?

«Non avevamo uno specifico interesse processuale a farlo. Lo so che da questo, dall'esclusione dell'aggravante, è dipeso la mancata attribuzione ai familiari delle guardie giurate dello status di parenti di vittime della mafia e, pertanto, il no al risarcimento con i fondi dello Stato. Ma, è brutto dirlo, simili implicazioni non possono costituire oggetto del processo penale. La verità è un'altra».

 

Quale?

«Andrebbe modificata la legge. Così com'è mi sembra oggettivamente troppo restrittiva. Invece di parlare di vittime della mafia, ai fini risarcitori, sarebbe più opportuno parlare di vittime della criminalità organizzata. Perché la strage della Grottella fu compiuta da un'associazione per delinquere. Di tipo semplice, non di stampo mafioso. Ma sempre associazione. E questo è stato affermato anche in sentenza».

 

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Da La Gazzetta del Mezzogiorno di Venerdì 21 Novembre 2003

Avviato l'iter da parte dell'Amministrazione per aiutare i parenti dei vigilantes trucidati alla Grottella

Il contratto sotto l'albero di Natale

L'intervento sarà possibile grazie alla legge per le vittime della criminalità
A beneficiarne saranno la vedova di Raffaele Arnesano e la figlia di Luigi Pulli
VEGLIE - E' certo: il Comune assumerà due familiari delle vittime della strage della Grottella. Alla vedova di Raffaele Arnesano e alla figlia di Luigi Pulli è gia stata richiesta la documentazione formale, attestante il possesso dei requisiti per l'accesso al pubblico impiego. Quest'iter preliminare, espletato ai sensi della legge 466 del 1980 per l'assunzione diretta di "appartenenti alla categoria delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata", sarà completato entro il 30 novembre. Subito dopo, se non vi saranno intoppi burocratici, il Comune potrà procedere alla nomina dei nuovi dipendenti comunali, i quali verranno impiegati negli uffici centrali del municipio, con la qualifica di "esecutore". L'Amministrazione comunale guidata dal sindaco Roberto Carlà, dunque, ha portato a compimento un atto concreto di solidarietà nei confronti dei familiari delle guardie giurate, barbaramente uccise il 6 dicembre 1999, durante una rapina ai furgoni portavalori della Velialpol. La vedova di Rodolfo Patera (l'altro vigilantes trucidato), secondo quanto riferiscono gli uffici comunali, nei mesi scorsi avrebbe spontaneamente rinunciato all'eventuale opportunità di lavoro. La recente fase dell'istruttoria amministrativa per l'assunzione, concretizzata con "determina dirigenziale" dell'8 novembre 2003, è stata curata dal direttore generale del Comune Carlo Buccarella e dal dirigente del "Servizio personale" Antonio De Benedittis. L'Amministrazione, che aveva avviato la procedura a favore dei familiari delle vittime già l'anno scorso, ha dovuto attendere il Dpcm del 12 settembre 2003, per procedere alla "rideterminazione degli organici", dopo il blocco intervenuto con la Finanziaria di quest'anno. Il Comune, in pratica, per poter assumere le due unità, ha trasformato l'unico posto riservato alle "categorie protette" (disponibile in pianta organica) in due posti part time al 50 per cento.
Peraltro, a quanto sembra, i familiari delle vittime, nei mesi scorsi, avrebbero presentato domanda di assunzione presso altri comuni della provincia di Lecce. Nessun esito, però, si sarebbe finora riscontrato.
E' bene ricordare, infine, che il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano, la scorsa settimana ha assicurato l'impegno del Governo per la liquidazione di un indennizzo ai familiari delle vittime della strage della Grottella.

 

di Rosario Faggiano

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Dal Nuovo Quotidiano  di Puglia e da La Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 25 Novembre 2003

Dal Nuovo Quotidiano di Puglia del 25/11/03

Aumentato il risarcimento anche per i parenti di Patera e Arnesano

 

Il ministero degli Interni, con provvedimento firmato lo scorso 19 novembre, ha equiparato il risarcimento per i parenti di tutte e tre le vittime della strage della Grottella, le guardie giurate Luigi Pulii, Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano, trucidati dalla banda di Vito Di Emidio nell'assalto ai furgoni blindati della Velialpol del 6 dicembre 1999. Le provvidenze sono quelle previste dalla legge 302 del 1990 per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata. Il risarcimento è pari al 90 per cento della provvisionale prevista per legge e fin qui ammonta a quasi 98mila euro. A beneficiare della misura massima era stata sinora solo la famiglia Pulli, non anche le altre per un ritardo nella consegna dei necessari documenti. Presentati questi, nel giro di pochissimi giorni il ministero ha provveduto a innalzare anche la provvisionale riconosciuta ai parenti delle altre due vittime, fermi ancora al 20 per cento della misura massima consentita. Nulla da fare, com'è noto, per l'altro risarcimento, quello previsto dalla legge 512 del
1999 nota come "legge Mantovano , per le vittime della mafia. I diversi dibattimenti fin qui celebrati sulla strage della Grottella hanno escluso che ad agire sia stata un'associazione
mafiosa o che l'obiettivo fosse quello di favorire le finanze della Sacra corona unita. Le risultanze processuali dicono che ad agire fu un'associazione per delinquere di tipo semplice e che l'obiettivo era solo quello di rastrellare miliardi per sé e per pochi intimi. Uno sbarramento insormontabile alla possibilità di ottenere ulteriori risarcimenti.


Da La Gazzetta del Mezzogiorno del 25/11/03

Il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano torna sull'indennizzo ai familiari della strage della Grottella
«Ecco i fondi per le vittime»
Le provvisioni estese anche alle famiglie Patera ed Arnesano
 

VEGLIE - Altri ottantatremila euro alle famiglie Patera ed Arnesano coi fondi della legge per le vittime della criminalità. Si estende anche agli altri due nuclei familiari, dopo quello di Pulli, l'allargamento della provvisionale prevista dalla legge per i parenti dei tre vigilantes rimasti uccisi nell'assalto ai furgoni della Velialpol.
Il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano, da tempo impegnato in prima persona in questa battaglia, ha confermato proprio ieri la decisione. «Con decreto del ministero dell'Interno, del 19 novembre scorso, acquisita la documentazione che da tempo era stata chiesta ai familiari dei vigilanti della Velialpol (ai quali nei mesi di maggio e settembre del 2002 era già stata corrisposta una provvisionale del 20 per cento) ha disposto l'incremento fino al 90 per cento con la contestuale liquidazione per ciascun nucleo familiare dell'ulteriore somma di 83mila 668 euro».
Il provvedimento segue le rassicurazioni già date durante un incontro coi familiari delle vittime.
Ma non è l'unica novità importante. Il sottosegretario agli Interni sottolinea pure che «questo decreto rappresenta il presupposto giuridico perchè i familiari che ne hanno fatto domanda possano avere una corsia privilegiata per essere assunti alle dipendenze di una pubblica amministrazione». E così sarà infatti. Il sindaco di Veglie ha già assicurato che nei prossimi giorni saranno assunte, alle dipendenze del Comune, la figlia di Luigi Pulli e la vedova di Raffaele Arnesano. Verranno impiegate con la qualifica di "esecutore". La vedova di Rodolfo Patera, invece, secondo quanto sostengono gli stessi uffici comunali, avrebbe spontaneamente rifiutato l'eventuale opportunità di lavoro.
Resta ancora in sospeso l'applicazione della legge sulle vittime di mafia, in attesa della definitiva sentenza del tribunale di Lecce, fondamentale per la concessione dei benefici previsti dalla legge.
Il processo bis della strage della Grottella è ancora in corso. Proprio ieri, in corte d'assise, si sono tenute le arringhe difensive dei difensori degli imputati Marcello Ladu, Pasquale Tanisi e Antonio Tarantini, per i quali l'accusa ha chiesto l'ergastolo. Le prossime tappe processuali sono fissate per il 27 novembre e 1° dicembre, date in cui saranno esaurite le arringhe, e il 5 dicembre, quando è prevista la Camera di consiglio.

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Da La Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 2 Dicembre 2003

Da ieri in servizio in municipio la vedova di Raffaele Arnesano e la figlia di Luigi Pulli
Assunte. Impegni rispettati
A quattro anni dalla strage, la solidarietà si è fatta concreta
Romina Iacovelli: «Accolte in ufficio con affetto e disponibilità»
 

VEGLIE - Gli impegni sono mantenuti. Da ieri ufficialmente alle dipendenze del Comune due familiari delle vittime della strage della Grottella. Hanno preso servizio, negli uffici centrali del municipio, Romina Iacovelli, trentaquattro anni, vedova di Raffaele Arnesano, e Anna Paola Pulli, ventisette anni, figlia di Luigi Pulli. A quattro anni dal sanguinoso assalto ai furgoni della Velialpol, l'Amministrazione guidata dal sindaco Roberto Carlà, dunque, ha portato a compimento un atto concreto di solidarietà.
La vedova di Rodolfo Patera (l'altra guardia giurata trucidata), secondo quanto ha riferito il Comune, avrebbe spontaneamente rinunciato all'opportunità di lavoro. L'iter dell'assunzione di Iacovelli e Pulli, dopo il blocco della finanziaria del 2003 e dopo la "rideterminazione della dotazione organica" del Comune ai sensi del Dpcm del 12 settembre 2003, non ha avuto altri intoppi. Nel giro di poche settimane, infatti, è stata espletata tutta la procedura utilizzando la legge 466/1980 riguardante «Speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche». Le due nuove dipendenti comunali, assunte con la qualifica di esecutore (categoria B1), svolgeranno attività lavorativa part time, al 50 per cento.
«Finalmente - dice Iacovelli - è arrivato questo giorno. Per me è molto importante questa assunzione, e non solo per l'aspetto economico che rimane fondamentale. Ora avrò un impegno giornaliero che mi aiuterà a superare, dal punto di vista psicologico, momenti di profondo sconforto. E' un impegno - spiega - che mi aiuterà a reagire moralmente e che mi darà uno stimolo e la forza per affrontare la vita».
Romina Iacovelli conclude, poi, raccontando il suo primo giorno di lavoro: «Anna Paola ed io eravamo molto impacciate ed emozionate, ma i nuovi colleghi ci hanno dato tranquillità e serenità. Devo dire che siamo state accolte con affetto e disponibilità».
Le nuove assunte, in attesa di collocazione definitiva negli uffici, presteranno servizio presso la segreteria, alle dipendenze del direttore generale Carlo Buccarella.
 

di Rosario Faggiano

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Dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Martedì 2 Dicembre 2003

Arringa di sette ore dell'avvocato difensore Luigi Corvaglia. Venerdì la sentenza

La difesa: «Di Emidio mente»

Sette ore di arringa per dimostrare la presunta infondatezza delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vito Di Emidio. L'avvocato Luigi Corvaglia, che con i colleghi Pantaleo Cannolletta e Alfredo Cardigliano difende Antonio Tarantini, Pasquale Tanisi e Marcelle Ladu continuerà a parlare nell'ultima udienza di venerdì prossimo del processo sulla strage della Grottella. Dopo la corte d'Assise si ritirerà in Camera di Consiglio per valutare le tesi dei difensori e le richieste di ergastolo avanzate dai pubblici ministeri Guglielmo Cataldi e Patrizia Ciccarese.

Ieri intanto l'avvocato Corvaglia ha provato a minare la credibilità di Di Emidio, imputato di reato connesso (ha preso 18 anni in abbreviato) e principale accusatore dei suoi ex presunti compagni di scorribande e di rapine sanguinose: «Non è attendibile», ha ripetuto Corvaglia, «innanzitutto perché si è dimostrato un collaboratore interessato: prima di pentirsi ha preteso dal pm di parlare con la moglie e con il fratello per concordare con loro la sua scelta. E poi ha voluto garanzie sulla pena da scontare, sulle pene alle quali sarebbe stato condannato, sullo stipendio alla moglie, la casa, e su chi avrebbe pagato l'affitto, la luce l'acqua e il telefono».

La difesa ha fatto riferimento anche a circostanze prive di riscontri, ma piene di contraddizioni, riferite da Di Emidio: «Ha parlato di una circostanza conosciuta solo dagli atti dei processi: uscendo dalla masseria "II capitano" di Melendugno dove abitavano Congiu e De Pau ha detto di essere stato seguito da un maresciallo dei carabinieri in borghese e, per più alla guida di un'anonima Seat. E ha anche detto che Ladu non si sarebbe mai allontano dalla provincia di Lecce tra un rapina e un'altra, mentre il 2 dicembre del '99 venne fermato in Sardegna dai carabinieri. Infine diversi testimoni hanno contraddetto Di Emidio quando ha parlato di luoghi e circostanze in cui sarebbe stato con Tanisi, Ladu e Tarantini».

Il processo riprende venerdì. Giorno della sentenza.

 

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Da La Gazzetta del Mezzogiorno di Sabato 6 Dicembre 2003

La Corte in camera di consiglio
Gli autori dell'eccidio rischiano l'ergastolo

VEGLIE - Sono in Camera di consiglio da ieri sera alle ore 16, nell'aula bunker annessa al carcere di Borgo San Nicola, i due giudici togati (presidente Giacomo Conte, a latere Pietro Silvestri) ed i sei della giuria popolare (un uomo e cinque donne), chiamati a decidere sulla richiesta del carcere a vita per i tre imputati nel processo-bis sulla strage della Grottella, invocata dal pubblico ministero Guglielmo Cataldi.
A rischiare la condanna all'ergastolo sono Pasquale Tanisi, di Ruffano; Antonio Tarantini, di Monteroni, ed il pastore sardo che aveva trascorso la latitanza a Nociglia, Marcello Ladu. I tre che assieme ai cognati Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, anch'essi pastori sardi trapiantati nel Salento, ed al pentito brindisino Vito Di Emidio, tutti già condannati, avrebbero fatto parte del commando, che il 6 dicembre del '99, assaltò con bombe e mitra i due furgoni portavalori della Velialpol, uccidendo tre guardie giurate (Raffaele Arnesano, Rodolfo Patera e Luigi Pulli, di Veglie) e ferendone altre tre.
La sentenza è prevista per la mattinata di martedì.
I tre imputati sono difesi dagli avvocati Sergio Milia, Luigi Corvaglia, Pantaleo Cannoletta ed Alfredo Cardigliano, che giusto ieri avevano ultimato le arringhe.

 

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Dal Nuovo Quotidiano di Puglia e da La Gazzetta del Mezzogiorno di Mercoledì 10 Dicembre 2003

dal Nuovo Quotidiano di Puglia del 10/12/03

Tre giorni e mezzo di camera di consiglio e ieri mattina la sentenza. Carcere a vita per i complici di Di Emidio e dei due pastori sardi
Grottella, altri tre ergastoli. Ai killer tolta la patria potestà

Ergastolo per gli altri tre imputati della strage della Grottella in cui morirono tre vigilantes, nell'assalto ad un furgone blindato. I tre sono stati ritenuti complici del boss, ora pentito, Vito Di Emidio, che organizzò il colpo, e dei due pastori sardi già processati e condannati al carcere a vita.

Sentenza durissima, non poteva essere diversamente: o dentro o fuori. Carcere a vita, decadenza della potestà di genitori e detenzione in isolamento per un periodo da sei a nove mesi. Dopo tre giorni e mezzo di Camera di consiglio, ieri mattina alle dieci e un quarto il presidente della Corte d'Assise Giacomo Conte ha letto la sentenza del processo che vede imputati tre dei sei presunti autori della strage della Grottella, la rapina ai furgoni portavalori della Velialpol del 6 dicembre di quattro anni fa che provocò la morte delle guardie giurate Luigi Pulli, Rodolfo Patera e Raffaele Arnsano, nonché il ferimento grave di Giuseppe Quarta, Flavio Matino e Giovanni Palma.

Ergastolo per Marcello Ladu, 30 anni, di Villagrande Strisaili (Nuoro); Pasquale Tanisi, 40 anni, di Ruffano, e Antonio Tarantini, 29 anni, di Monteroni. La Corte ha così accolto le richieste dei pubblici ministeri Patrizia Ciccarese e Guglielmo Cataldi così come fece il 4 maggio dell'anno scorso quando inflisse la stessa condanna ai presunti complici Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau. Vito Di Emidio, il capo della banda, ha preso 16 anni con il rito abbreviato grazie anche allo sconto ottenuto per aver scelto di collaborare con la giustizia.

Agli ultimi tre imputati del processo di primo grado della strage della Grottella è contestato un numero impressionante di capi di accusa, in particolare a Ladu (21) e a Tarantini (20). Tutti e tre sono accusati di aver partecipato in prima persona alla preparazione e all'esecuzione della rapina ai due furgoni della Velialpol, che fruttò un miliardo e 800 milioni di lire. Fu saccheggiato solo un blindato; l'atro, con un miliardo e 300 milioni a bordo, non fu aperto neppure con la bomba fatta esplodere contro, cosa che ottenne l'effetto di imprigionare la cassaforte.

Furono rubati tutti i mezzi usati nell'assalto sanguinario; quella mattina, poi, Tarantini lanciò un camion contro il primo furgone della Velialpol provocando, nello scontro frontale, la morte di Pulli e il ferimento di Palma e Matino. Gli imputati - hanno ritenuto i giudici togati e popolari - piazzarono un Nissan Pick Up condotto da Ladu, una Saab 9000 guidata da Congiu e un'Alfa 164 guidata da Di Emidio in modo da bloccare le vie di fuga ai furgoni. Furono usati kalashnikov, fucili calibro 12, pistole calibro 9; fu usata anche una bomba - che l'accusa dice essere stata costruita da Tanisi - piazzata sul secondo furgone: non aprì la cassaforte, ma dilaniò Patera e Arnesano. L'altra guardia giurata a bordo, Quarta, miracolosamente rimase solo ferita.

Ladu e Tarantini sono stati condannati anche per aver rapinato il 2 novembre di quello stesso anno, insieme con Di Emidio, Congiu e Fabio Maggio (già processato a parte), un altro furgone della Velialpol, sulla Leverano-Veglie. Con pistole e kalashnikov si portarono via un miliardo 200 milioni di lire, ferendo le guardie giurate Andrea Pati, Aldo Nuzzo e Augusto Tarantino. In questo processo i tre imputati rispondono pure della rapina alla gioielleria Valzano di San Pietro Vernotico (26 novembre 1999) da dove portarono via preziosi per 250
milioni di lire. C'erano anche Congiu e Di Emidio (già giudicati su questo) e durante la fuga esplosero colpi di kalashnikov contro i carabinieri.

Per questi episodi la Corte ha stabilito anche le provvisionali in favore dei parenti delle vittime: 30mila euro ad Antonio Patera e Rosa Niccoli; 15mila a Mauro e Genoveffa Patera; 61mila a Maria Conte, 46mila per i figli G.P. e S.P; 61 mila a Romina Jacovelli; 33mila a Luigi Arnesano e Teresa Parisi, 15mila per Marco Arnesano e 50mila a Giuseppe Quarta; 200mila euro alla Velialpol, di cui 75mila a carico di Ladu e Tarantini. Per la Luxoro 50mila euro. A Salvatore e Paola Valzano dovranno essere liquidati diecimila euro per i danni subiti.

Gli imputati sono difesi dagli avvocati Alfredo Cardigliano, Pantaleo Cannoletta, Luigi Corvaglia e Sergio Milia. Le parti civili erano rappresentate dai legali Gaetano Gorgoni, Ennio Cioffi, Paolo Spalluto e Claudio Di Candia.

di Erasmo Marinazzo

 

Le reazioni in casa dei parenti dei tre vigilantes uccisi, dove il lutto è ancora dolore infinito

«Ora giustizia è fatta» Un sussulto di silenzio
Un raggio di sole, tiepido e discreto a rischiarare mesi di buio livido, di sussulti, tra tempeste e bonacce, ricordi amari e pesanti, interrogativi. Così, in una giornata fredda, la notizia degli ergastoli a Pasquale Tanisi, Marcello Ladu e Antonio Tarantini entra in punta di piedi a Veglie, nelle case delle tre guardie giurate della Velialpol - Raffaele Arnesano, Rodolfo Patera e Luigi Pulli - trucidate dallo spietato commando di sei uomini il 6 dicembre di quattro anni fa sulla Copertino-San Donato.

«Bene, bene... Finalmente una buona notizia - esordisce Gianni Pulli, figlio maggiore di Luigi, carabiniere in servizio al comando di Firenze - ma è proprio così? Si tratta davvero di ergastolo?». E' fiero di suo padre, orgoglioso, adesso come all'epoca della strage. Un fiume in piena, giovane all'inizio della sua carriera allora e uomo cresciuto fin troppo in fretta adesso. «Dopo quattro anni e più - dice - stiamo finalmente ottenendo qualcosa di buono, la speranza è ora che le condanne rimangano immutate. Siamo in balìa di mille sussulti, da sempre. Basti pensare alla notizia di qualche settimana fa circa il mancato riconoscimento per noi dello status di vittime di mafia, mi gela il sangue. Ora invece sinceramente mi sento felice, specie per mia sorella Annapaola, che da qualche giorno lavora come le era stato promesso».

Un posto part-time al comune di Veglie per la ragazza, 27 anni, e la vedova di Raffaele Arnesano, Romina lacovelli. «Mi trovo molto bene, sono tutti così gentili - racconta Annapaola, schiva di natura -; ho iniziato a lavorare il 1° dicembre e anche se i nostri ruoli non sono ancora ben definiti c'è sempre comunque un bel da fare».

Si è caricata sulle spalle la propria famiglia, Annapaola. Giocoforza toccava a lei. Gianni è lontano e l'altra sorella è più piccola, ha bisogno di protezione. Anche la madre del resto, Antonietta Casavecchia. Il lutto lo porta negli occhi prima ancora che negli abiti, lei. Per Antonietta il tempo pare essersi fermato a quel 6 dicembre 99. Glielo leggi nelle pieghe del viso, in quella camminata mesta ogni giorno quando si reca in chiesa a pregare. Alla sentenza della Corte d'Assise sua figlia quasi quasi non ci crede. «Non sapevo - dice Annapaola -. Ma è davvero una bella notizia».

A casa di Rodolfo Patera, invece, non risponde nessuno. Maria Carmela Conte, la vedova del vigilante, ha rifiutato l'incarico lavorativo. Nei suoi giorni, nella quotidianità, l'impegno e la gioia di veder crescere i due figlioletti, un maschio e una femmina. Piccola, minuta, senza un filo di trucco, mai, quasi nascosta in abiti rigorosamente neri non ha mai risparmiato la sua rabbia per quegli uomini che come bestie feroci le hanno ammazzato il compagno. Ora il suo numero di telefono, quello dell'abitazione al civico 20 di via Bellini, non risponde più. I desideri di Antonio Patera, padre di Rodolfo, si sono realizzati. «Vorrei prenderli con le mie mani, quelli là, ma ho comunque tanta fiducia nella giustizia e so che chi ha ammazzato il mio ragazzo avrà ciò che merita». Diceva così, Antonio. Anziano, piccolo piccolo e curvo, tenuto in piedi da un dolore divenuto tensione di muscoli e nervi, che piega anche gli arbusti più forti. Come lui. Come Gino Arnesano, padre di Raffaele.

Chissà se l'ha mai accettata, Gino Arnesano, la morte del figlio. La foto di Raffaele campeggia in un grande fotoritratto dietro al bancone della rivendita di tabacchi gestita a Torre Lapillo. Gli si darebbero almeno dieci anni in più, a Gino, da quando il suo ragazzone gli è stato portato via. E' provato, distrutto, con lo sguardo quasi assente come se avesse lasciato gli occhi alla Grottella. Lì dove sventagliate di kalashnikov e chili di tritolo seminarono terrore, orrore, morte. «Come? l'ergastolo? - chiede Gino -. Siamo sicuri, vero? Io manco dall'altro giorno, ero a Manfredonia... Ma gli hanno dato il 416 bis, la condanna di mafia?».

È pieno di domande, chiede, vuol documentarsi, vuol sapere tutto della sorte dei killer di suo figlio. «Sono contentissimo, finalmente... - aggiunge - gli ergastoli ora salgono a cinque. Dei risarcimenti che potrebbero essere elargiti non ci importa; sono le condanne agli autori della strage il nostro cruccio...». Si ferma, papa Gino. Tace. Un respiro sottile, i singhiozzi... Non ce la fa, l'emozione è tanta. Il nodo alla gola uguale e opprimente. «Certo non ci danno l'autorizzazione a farli fuori, ad ammazzarli noi, quelli là - sbotta poco dopo -. Quindi l'ergastolo è il meglio che potessimo ottenere».

Soddisfatta anche Romina lacovelli, vedova di Raffaele. Giustizia è fatta. Ora rimane la prova più dura, convivere col dolore ed il ricordo. Rispettare il silenzio, come è giusto che sia.

di Fabiana Pacella

 

Gli avvocati: «Le polemiche hanno influito sul verdetto»

Delusione sui volti dei difensori degli imputati. L'avvocato Luigi Corvaglia sostiene che il parlare del mancato parziale risarcimento alle vittime della strage della Grottella ha reso l'atmosfera poco serena nei giorni che hanno preceduto la sentenza: «Sentenza - afferma, infatti - oserei dire scontata, visto il clima che c'era intorno a questo processo. La prima impressione lascia perplessi, perché per uno degli imputati (Pasquale Tanisi, ndr) Vito Di Emidio aveva manifestato perplessità sulla sua partecipazione alla rapina alla gioielleria Valzano. I processi dovrebbero essere celebrati fuori da ogni tipo di condizionamento, non che voglia dire che la Corte sia stata condizionata da eventi esterni, però in questi ultimi giorni si è parlato molto del processo con una sovraesposizione degli interessi di parte civile. Si è creato attorno a questo processo un clima pesante. Mi auguro che non abbia inciso sulle motivazioni della Corte, lo potrò dire nel momento in cui esaminerò le motivazioni. Comunque questo è solo il primo grado, vedremo cosa succederà in Appello».
 

Risarcimento danni, chiesta una modifica

«L'indennizzo da parte dello Stato non solo alle vittime della mafia»
Sì all'indennizzo per le vittime della criminalità organizzata, per i parenti della strage della Grottella, ma nessun risarcimento in base alla legge sulle vittime di mafia, la 512 del '99 (la cosiddetta legge Mantovano), varata dal parlamento il 22 dicembre di quell'anno, pochi giorni dopo la tragedia. Prevede, quest'ultima normativa, che un eccidio, una strage, un omicidio o qualsiasi altro delitto (anche una rapina), compiuto dalla mafia o con l'obiettivo di favorire l'associazione mafiosa, sia indennizzato dallo Stato nel caso in cui gli imputati risultassero impossidenti, per evitare che al danno si aggiunga la beffa. Due presupposti (mafia o agevolazione delle attività mafioso che, a leggere le sentenze (e in parte anche i capi di imputazione) non ricorrono nei fatti di Copertine. Per questo motivo pochi giorni fa, il 3 dicembre, è stato presentato un disegno di legge per estendere il beneficio alle vittime di tutte le organizzazioni criminali e non solo di quelle mafiose.

Firmatari sono i senatori Maritati, Passone, Calvi, Ayala, Manzione, Dalla Chiesa, Donati e De Zulueta. La proposta di modifica punta a introdurre nel provvedimento legislativo l'estensione delle provvidenze anche alle vittime «dei delitti comunque commessi da soggetti condannati, anche in altro giudizio, in via definitiva per i delitti previsti dagli articoli 416 e 416 bis del codice penale», vale a dire associazione per delinquere di tipo semplice o di tipo mafioso. Quanto alla copertura finanziaria, previsto l'innalzamento da 20 miliardi di lire a 25 milioni di euro.

Nella relazione al disegno di legge si spiega come proprio fatti tipo quello di Copertino «hanno evidenziato la eccessiva ristrettezza dei criteri di accesso al fondo, causati dalla formula che limita alle sole vittime di reati compiuti con finalità mafiose la possibilità di accendere al fondo di solidarietà».


da La Gazzetta del Mezzogiorno del 10/12/03

Ieri mattina la sentenza del processo-bis contro gli autori della rapina ai due furgoni portavalori costata la vita ai vigilantes della Velialpol
Ancora tre ergastoli per la strage
Provvisionale di un milione di euro. L'Accusa: «Monito destinato a chi non collabora»

«Ergastolo». Sono le 10.30 quando la voce del presidente della Corte d'Assise riecheggia in un'aula bunker semideserta. Il giudice Giacomo Conte legge il dispositivo della sentenza per il processo bis contro gli autori della strage della Grottella. Tre giorni e mezzo è durata la camera di consiglio. Giudici e giuria popolare hanno ritenuto colpevoli il sardo Marcello Ladu, Pasquale Tanisi, 40 anni, di Ruffano e Antonio Tarantini, di 29, di Monteroni. Solo Ladu e Tarantini sono presenti in aula. Sono nella prima gabbia alla sinistra del presidente: ascoltano la lettura del dispositivo senza batter ciglio, appoggiati alle sbarre della cella, con braccia che si spingono fuori dalle grate, e con le mani strette.
«Ergastolo con isolamento diurno per nove mesi» precisa il presidente Conte. «Interdetti in perpetuo dai pubblici uffici, nonchè decaduti dalla potestà dei genitori».
Il carcere a vita lo stanno già scontando gli altri due presunti componenti del commando autore della strage. Si tratta dei due cognati sardi Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau. I due furono arrestati poche ore dopo la tragica rapina. L'Appello per i due sardi è fissato per domani.
Il processo bis è nato dalle dichiarazioni di Vito Di Emidio, che dopo l'arresto ha smesso i panni del capo sanguinario, organizzatore di scorribande in tutto il Salento, per vestire quelle di collaboratore di giustizia. Così si è fatta piena luce sulla strage e su altri episodi commessi dalla sua banda. Lui, giudicato con rito abbreviato, se l'è cavata con una condanna a 18 anni.
Alla fine ci sono state cinque condanne all'ergastolo per quanto avvenne quella mattina del 6 dicembre del '99, quando ci fu l'assalto ai due portavalori della Velialpol; tre guardie giurate (Luigi Pulli, Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano) rimasero uccise; altre tre (Giuseppe Quarta, Flavio Matino e Giovanni Palma) ferite. Lo stesso commando è stato ritenuto responsabile dell'assalto compiuto un mese prima, il 2 novembre, ad un altro furgone blindato della Velialpol. Fra i reati commessi c'è anche la rapina alla gioielleria Valzano di San Pietro Vernotico, compiuta il 26 novembre del '99.
Le parti civili (vedove, figli, superstiti), assistite dagli avvocati Gaetano Gorgoni ed Ennio Cioffi, saranno risarcite. La Corte ha stabilito provvisionali per un milione di euro. Soddisfatta l'accusa, in aula con il pm Patrizia Ciccarese: «Si è soddisfatti per quanto lo si possa essere davanti ad episodi del genere. L'Accusa si augura che questa sentenza sia di monito per quanti non hanno deciso di collaborare con la giustizia».

 

Il giudizio della difesa
«Troppo clamore toglie la serenità»

«Troppa esposizione intorno al processo: così si rischia di condizionare la Corte». L'avvocato Luigi Corvaglia sbotta dopo la lettura del dispositivo. «C'è stato un clima pesante per questo processo - spiega il penalista - Un clima determinato dal fatto che negli ultimi tempi si è sovraesposto l'interesse delle parti civili soprattutto in relazione alla mancata contestazione della mafiosità e quindi al mancato riconoscimento delle provvidenze previste per le vittime di mafia».
Il dibattito non avrebbe garantito sufficiente serenità: «I processi devono essere celebrati senza condizionamenti. Non ho elementi per pensare che la Corte sia stata condizionata da questo clima. Ma è certo che si è parlato troppo fuori dalle aule. Per giunta, poi, la Corte si è ritirata in camera di consiglio in coincidenza con il quarto anniversario del terribile episodio».
«Dei processi - aggiunge Corvaglia - è bene parlare solo nelle aule di udienza. Soprattutto quando la Corte è composta non solo da tecnici ma anche da giudici popolari che più facilmente possono essere condizionati. Ripeto ancora una volta: non voglio dire che la Corte sia stata condizionata. Sussiste, però, un pericolo. Verificherò se questo pericolo sia diventato concreto quando leggerò la motivazione».
Il collegio difensivo era composto oltre che dall'avvocato Corvaglia, anche dagli avvocati Pantaleo Cannoletta, Alfredo Cardigliano e Sergio Milia.

 

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Da La Gazzetta del Mezzogiorno di Giovedì 11 Dicembre 2003

Ritorna in Appello l'assalto ai portavalori

La strage di Copertino torna in aula. Oggi si apre il processo d'Appello contro i due pastori sardi Gianluigi Congiu e Pierluigi De Pau. In primo grado sono stati condannati all'ergastolo. La Corte dovrà decidere se rinnovare il dibattimento ed ascoltare le dichiarazioni del collaboratore Marcello Laneve. Il pentito ha deposto nel processo bis per la strage che si è concluso martedì mattina con altre condanne all'ergastolo per Marcello Ladu, Pasquale Tanisi e Antonio Tarantini.
Se dovesse saltare l'ascolto del collaboratore brindisino, la Corte potrebbe decidere di aprire la discussione con la requisitoria del sostituto procuratore generale Claudio Oliva. E' già prevista un'altra udienza: il 16 dicembre ci saranno le arringhe dei difensori, gli avvocati Elvia Belmonte, Andrea Moreno, Pasquale Ramazzotti.

 

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