Da La Gazzetta del Mezzogiorno di Giovedì 20 Novembre 2003
La giovane vedova di Rodolfo
Patera e la figlia di Luigi Pulli assunte al Comune L'impegno preso da tempo. Intanto si attende la conclusione del processo bis VEGLIE
- Un posto di lavoro al comune per i parenti delle vittime della strage
della Grottella. L'assunzione non è ancora stata formalizzata. Ma ormai è
certo che dal primo dicembre la giovane vedova di Rodolfo Patera e la
figlia di Luigi Pulli saranno assunte dall'amministrazione comunale di
Veglie. E forse già nelle prossime ore il sindaco Roberto Carlà potrebbe
ufficializzare la decisione. |
Dal Nuovo Quotidiano di Lecce di Giovedì 20 Novembre 2003 Le vittime dell'eccidio e il mancato risarcimento, il procuratore aggiunto Cataldo Motta spiega i motivi «Aggravante senza riscontri. La legge è troppo restrittiva» Un Un feroce assassino divenuto loquace pentito, tre vigilantes ammazzati (da lui, ammazzati; da lui e dalla sua banda) e un'aggravante, quella della finalità mafiosa della strage della Grottella, non riconosciuta in sentenza, quel che basta per il no opposto dal ministero dell'Interno al risarcimento per i parenti delle guardie giurate uccise, vittime del mafioso Vito Di Emidio ma non di un'azione mafiosa o con fini mafiosi. Brutta parola, mafia. Brutti ricordi e pensieri. E brutta faccenda: niente aggravante per il boss pentito, niente indennizzo. Benché Di Emidio, che ha caricato a sé e ai suoi più vicini compari quell'eccidio, abbia detto che parte dei miliardi frutto di quella sanguinosa rapina è stato investito nell'associazione mafiosa. Era il dicembre 1999 - Dopo quattro anni la ferita è ancora aperta. Anche per questo.
Il giudice che, condannando a 16 anni Vito Di Emidio, ha escluso l'aggravante del fine mafioso di quella strage dice che è stata la stessa Direzione distrettuale antimafia a non aver mai creduto a quella contestazione, inserita pressoché alla fine del processo. Procuratore aggiunto Cataldo Motta, è così? «L'articolo 7 della legge sulla lotta alla mafia, cui fa riferimento quell'aggravante, parla del metodo o della finalità mafiosa di un'azione delittuosa. E noi a Di Emidio abbiamo contestato solo il fine. E di questo restiamo convinti. Per il resto, va aggiunto che ha ragione il giudice di merito quando sostiene che la rapina di per sé non è reato tipico di un gruppo organizzato qual è quello sanzionato dall'articolo 416 bis. Noi abbiamo sempre sostenuto che Di Emidio fosse mafioso, non i suoi complici in quelle rapine. E che per questo versasse parte dei proventi delle scorribande all'organizzazione. Solo lui, non anche gli altri».
A parlare del contributo pecuniario alla Scu è stato proprio Di Emidio, una volta cominciata la sua ampia collaborazione. Ma in sentenza si dice che mancano i riscontri a queste sue dichiarazioni. «Il passaggio di denaro non è stato provato. Del resto, a differenza di altri fatti, oggettivamente riscontrabili, questo tipo di condotta è difficilmente dimostrabile. Sicché restano solo le sue parole. E ad esse si applica quel che vale per tutti i collaboratori di giustizia ogni volta che occorre provare le loro dichiarazioni».
Crede che Di Emidio abbia cercato quell'aggravante per spuntare - attraverso l'articolo successivo, il numero 8, sulla dissociazione da un'organizzazione mafiosa - un ulteriore sconto di pena? «Non credo. L'imputato ha tante e tali condanne, tra cui un ergastolo definitivo, per cui il suo problema non è più quello dell'entità della pena, ma della sua esecuzione».
Lei ritiene quell'affermazione, aver cioè versato alla Scu parte dei soldi della rapina mortale, assolutamente genuina? «Ci sono i presupposti per dire di sì».
Perché la Procura allora non ha impugnato la sentenza? «Non avevamo uno specifico interesse processuale a farlo. Lo so che da questo, dall'esclusione dell'aggravante, è dipeso la mancata attribuzione ai familiari delle guardie giurate dello status di parenti di vittime della mafia e, pertanto, il no al risarcimento con i fondi dello Stato. Ma, è brutto dirlo, simili implicazioni non possono costituire oggetto del processo penale. La verità è un'altra».
Quale? «Andrebbe modificata la legge. Così com'è mi sembra oggettivamente troppo restrittiva. Invece di parlare di vittime della mafia, ai fini risarcitori, sarebbe più opportuno parlare di vittime della criminalità organizzata. Perché la strage della Grottella fu compiuta da un'associazione per delinquere. Di tipo semplice, non di stampo mafioso. Ma sempre associazione. E questo è stato affermato anche in sentenza».
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Da La Gazzetta del Mezzogiorno di Venerdì 21 Novembre 2003 Avviato l'iter da parte dell'Amministrazione per aiutare i parenti dei vigilantes trucidati alla Grottella Il contratto sotto l'albero di Natale
L'intervento sarà
possibile grazie alla legge per le vittime della criminalità
di Rosario Faggiano |
Dal Nuovo Quotidiano di Puglia e da La Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 25 Novembre 2003 Dal Nuovo Quotidiano di Puglia del 25/11/03 Aumentato il risarcimento anche per i parenti di Patera e Arnesano
Il ministero degli Interni, con provvedimento firmato lo scorso 19
novembre, ha equiparato il risarcimento per i parenti di tutte e tre le
vittime della strage della Grottella, le guardie giurate Luigi Pulii,
Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano, trucidati dalla banda di Vito Di
Emidio nell'assalto ai furgoni blindati della Velialpol del 6 dicembre
1999. Le provvidenze sono quelle previste dalla legge 302 del 1990 per
le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata. Il
risarcimento è pari al 90 per cento della provvisionale prevista per
legge e fin qui ammonta a quasi 98mila euro. A beneficiare della misura
massima era stata sinora solo la famiglia Pulli, non anche le altre per
un ritardo nella consegna dei necessari documenti. Presentati questi,
nel giro di pochissimi giorni il ministero ha provveduto a innalzare
anche la provvisionale riconosciuta ai parenti delle altre due vittime,
fermi ancora al 20 per cento della misura massima consentita. Nulla da
fare, com'è noto, per l'altro risarcimento, quello previsto dalla legge
512 del Da La Gazzetta del Mezzogiorno del 25/11/03
Il sottosegretario agli
Interni Alfredo Mantovano torna sull'indennizzo ai familiari della
strage della Grottella
VEGLIE -
Altri ottantatremila euro alle famiglie Patera ed Arnesano coi fondi
della legge per le vittime della criminalità. Si estende anche agli
altri due nuclei familiari, dopo quello di Pulli, l'allargamento della
provvisionale prevista dalla legge per i parenti dei tre vigilantes
rimasti uccisi nell'assalto ai furgoni della Velialpol. |
Da La Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 2 Dicembre 2003
Da ieri in servizio in
municipio la vedova di Raffaele Arnesano e la figlia di Luigi Pulli
VEGLIE - Gli impegni sono mantenuti. Da ieri ufficialmente alle
dipendenze del Comune due familiari delle vittime della strage della
Grottella. Hanno preso servizio, negli uffici centrali del municipio,
Romina Iacovelli, trentaquattro anni, vedova di Raffaele Arnesano, e
Anna Paola Pulli, ventisette anni, figlia di Luigi Pulli. A quattro anni
dal sanguinoso assalto ai furgoni della Velialpol, l'Amministrazione
guidata dal sindaco Roberto Carlà, dunque, ha portato a compimento un
atto concreto di solidarietà. di Rosario Faggiano |
Dal Nuovo Quotidiano di Puglia di Martedì 2 Dicembre 2003 Arringa di sette ore dell'avvocato difensore Luigi Corvaglia. Venerdì la sentenza La difesa: «Di Emidio mente» Sette ore di arringa per dimostrare la presunta infondatezza delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vito Di Emidio. L'avvocato Luigi Corvaglia, che con i colleghi Pantaleo Cannolletta e Alfredo Cardigliano difende Antonio Tarantini, Pasquale Tanisi e Marcelle Ladu continuerà a parlare nell'ultima udienza di venerdì prossimo del processo sulla strage della Grottella. Dopo la corte d'Assise si ritirerà in Camera di Consiglio per valutare le tesi dei difensori e le richieste di ergastolo avanzate dai pubblici ministeri Guglielmo Cataldi e Patrizia Ciccarese. Ieri intanto l'avvocato Corvaglia ha provato a minare la credibilità di Di Emidio, imputato di reato connesso (ha preso 18 anni in abbreviato) e principale accusatore dei suoi ex presunti compagni di scorribande e di rapine sanguinose: «Non è attendibile», ha ripetuto Corvaglia, «innanzitutto perché si è dimostrato un collaboratore interessato: prima di pentirsi ha preteso dal pm di parlare con la moglie e con il fratello per concordare con loro la sua scelta. E poi ha voluto garanzie sulla pena da scontare, sulle pene alle quali sarebbe stato condannato, sullo stipendio alla moglie, la casa, e su chi avrebbe pagato l'affitto, la luce l'acqua e il telefono». La difesa ha fatto riferimento anche a circostanze prive di riscontri, ma piene di contraddizioni, riferite da Di Emidio: «Ha parlato di una circostanza conosciuta solo dagli atti dei processi: uscendo dalla masseria "II capitano" di Melendugno dove abitavano Congiu e De Pau ha detto di essere stato seguito da un maresciallo dei carabinieri in borghese e, per più alla guida di un'anonima Seat. E ha anche detto che Ladu non si sarebbe mai allontano dalla provincia di Lecce tra un rapina e un'altra, mentre il 2 dicembre del '99 venne fermato in Sardegna dai carabinieri. Infine diversi testimoni hanno contraddetto Di Emidio quando ha parlato di luoghi e circostanze in cui sarebbe stato con Tanisi, Ladu e Tarantini». Il processo riprende venerdì. Giorno della sentenza.
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Da La Gazzetta del Mezzogiorno di Sabato 6 Dicembre 2003
La Corte in camera di
consiglio
VEGLIE - Sono in Camera di consiglio da ieri sera alle ore 16,
nell'aula bunker annessa al carcere di Borgo San Nicola, i due giudici
togati (presidente Giacomo Conte, a latere Pietro Silvestri) ed i sei
della giuria popolare (un uomo e cinque donne), chiamati a decidere
sulla richiesta del carcere a vita per i tre imputati nel processo-bis
sulla strage della Grottella, invocata dal pubblico ministero Guglielmo
Cataldi.
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Dal Nuovo Quotidiano di Puglia e da La Gazzetta del Mezzogiorno di Mercoledì 10 Dicembre 2003 dal Nuovo Quotidiano di Puglia del 10/12/03
Tre giorni e mezzo di camera
di consiglio e ieri mattina la sentenza. Carcere a vita per i complici
di Di Emidio e dei due pastori sardi Ergastolo per gli altri tre imputati della strage della Grottella in cui morirono tre vigilantes, nell'assalto ad un furgone blindato. I tre sono stati ritenuti complici del boss, ora pentito, Vito Di Emidio, che organizzò il colpo, e dei due pastori sardi già processati e condannati al carcere a vita. Sentenza durissima, non poteva essere diversamente: o dentro o fuori. Carcere a vita, decadenza della potestà di genitori e detenzione in isolamento per un periodo da sei a nove mesi. Dopo tre giorni e mezzo di Camera di consiglio, ieri mattina alle dieci e un quarto il presidente della Corte d'Assise Giacomo Conte ha letto la sentenza del processo che vede imputati tre dei sei presunti autori della strage della Grottella, la rapina ai furgoni portavalori della Velialpol del 6 dicembre di quattro anni fa che provocò la morte delle guardie giurate Luigi Pulli, Rodolfo Patera e Raffaele Arnsano, nonché il ferimento grave di Giuseppe Quarta, Flavio Matino e Giovanni Palma. Ergastolo per Marcello Ladu, 30 anni, di Villagrande Strisaili (Nuoro); Pasquale Tanisi, 40 anni, di Ruffano, e Antonio Tarantini, 29 anni, di Monteroni. La Corte ha così accolto le richieste dei pubblici ministeri Patrizia Ciccarese e Guglielmo Cataldi così come fece il 4 maggio dell'anno scorso quando inflisse la stessa condanna ai presunti complici Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau. Vito Di Emidio, il capo della banda, ha preso 16 anni con il rito abbreviato grazie anche allo sconto ottenuto per aver scelto di collaborare con la giustizia. Agli ultimi tre imputati del processo di primo grado della strage della Grottella è contestato un numero impressionante di capi di accusa, in particolare a Ladu (21) e a Tarantini (20). Tutti e tre sono accusati di aver partecipato in prima persona alla preparazione e all'esecuzione della rapina ai due furgoni della Velialpol, che fruttò un miliardo e 800 milioni di lire. Fu saccheggiato solo un blindato; l'atro, con un miliardo e 300 milioni a bordo, non fu aperto neppure con la bomba fatta esplodere contro, cosa che ottenne l'effetto di imprigionare la cassaforte. Furono rubati tutti i mezzi usati nell'assalto sanguinario; quella mattina, poi, Tarantini lanciò un camion contro il primo furgone della Velialpol provocando, nello scontro frontale, la morte di Pulli e il ferimento di Palma e Matino. Gli imputati - hanno ritenuto i giudici togati e popolari - piazzarono un Nissan Pick Up condotto da Ladu, una Saab 9000 guidata da Congiu e un'Alfa 164 guidata da Di Emidio in modo da bloccare le vie di fuga ai furgoni. Furono usati kalashnikov, fucili calibro 12, pistole calibro 9; fu usata anche una bomba - che l'accusa dice essere stata costruita da Tanisi - piazzata sul secondo furgone: non aprì la cassaforte, ma dilaniò Patera e Arnesano. L'altra guardia giurata a bordo, Quarta, miracolosamente rimase solo ferita.
Ladu e Tarantini
sono stati condannati anche per aver rapinato il 2 novembre di quello
stesso anno, insieme con Di Emidio, Congiu e Fabio Maggio (già
processato a parte), un altro furgone della Velialpol, sulla
Leverano-Veglie. Con pistole e kalashnikov si portarono via un miliardo
200 milioni di lire, ferendo le guardie giurate Andrea Pati, Aldo Nuzzo
e Augusto Tarantino. In questo processo i tre imputati rispondono pure
della rapina alla gioielleria Valzano di San Pietro Vernotico (26
novembre 1999) da dove portarono via preziosi per 250 Per questi episodi la Corte ha stabilito anche le provvisionali in favore dei parenti delle vittime: 30mila euro ad Antonio Patera e Rosa Niccoli; 15mila a Mauro e Genoveffa Patera; 61mila a Maria Conte, 46mila per i figli G.P. e S.P; 61 mila a Romina Jacovelli; 33mila a Luigi Arnesano e Teresa Parisi, 15mila per Marco Arnesano e 50mila a Giuseppe Quarta; 200mila euro alla Velialpol, di cui 75mila a carico di Ladu e Tarantini. Per la Luxoro 50mila euro. A Salvatore e Paola Valzano dovranno essere liquidati diecimila euro per i danni subiti. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Alfredo Cardigliano, Pantaleo Cannoletta, Luigi Corvaglia e Sergio Milia. Le parti civili erano rappresentate dai legali Gaetano Gorgoni, Ennio Cioffi, Paolo Spalluto e Claudio Di Candia. di Erasmo Marinazzo
Le reazioni in casa dei parenti dei tre vigilantes uccisi, dove il lutto è ancora dolore infinito
«Ora giustizia
è fatta» Un sussulto di silenzio «Bene, bene... Finalmente una buona notizia - esordisce Gianni Pulli, figlio maggiore di Luigi, carabiniere in servizio al comando di Firenze - ma è proprio così? Si tratta davvero di ergastolo?». E' fiero di suo padre, orgoglioso, adesso come all'epoca della strage. Un fiume in piena, giovane all'inizio della sua carriera allora e uomo cresciuto fin troppo in fretta adesso. «Dopo quattro anni e più - dice - stiamo finalmente ottenendo qualcosa di buono, la speranza è ora che le condanne rimangano immutate. Siamo in balìa di mille sussulti, da sempre. Basti pensare alla notizia di qualche settimana fa circa il mancato riconoscimento per noi dello status di vittime di mafia, mi gela il sangue. Ora invece sinceramente mi sento felice, specie per mia sorella Annapaola, che da qualche giorno lavora come le era stato promesso». Un posto part-time al comune di Veglie per la ragazza, 27 anni, e la vedova di Raffaele Arnesano, Romina lacovelli. «Mi trovo molto bene, sono tutti così gentili - racconta Annapaola, schiva di natura -; ho iniziato a lavorare il 1° dicembre e anche se i nostri ruoli non sono ancora ben definiti c'è sempre comunque un bel da fare». Si è caricata sulle spalle la propria famiglia, Annapaola. Giocoforza toccava a lei. Gianni è lontano e l'altra sorella è più piccola, ha bisogno di protezione. Anche la madre del resto, Antonietta Casavecchia. Il lutto lo porta negli occhi prima ancora che negli abiti, lei. Per Antonietta il tempo pare essersi fermato a quel 6 dicembre 99. Glielo leggi nelle pieghe del viso, in quella camminata mesta ogni giorno quando si reca in chiesa a pregare. Alla sentenza della Corte d'Assise sua figlia quasi quasi non ci crede. «Non sapevo - dice Annapaola -. Ma è davvero una bella notizia». A casa di Rodolfo Patera, invece, non risponde nessuno. Maria Carmela Conte, la vedova del vigilante, ha rifiutato l'incarico lavorativo. Nei suoi giorni, nella quotidianità, l'impegno e la gioia di veder crescere i due figlioletti, un maschio e una femmina. Piccola, minuta, senza un filo di trucco, mai, quasi nascosta in abiti rigorosamente neri non ha mai risparmiato la sua rabbia per quegli uomini che come bestie feroci le hanno ammazzato il compagno. Ora il suo numero di telefono, quello dell'abitazione al civico 20 di via Bellini, non risponde più. I desideri di Antonio Patera, padre di Rodolfo, si sono realizzati. «Vorrei prenderli con le mie mani, quelli là, ma ho comunque tanta fiducia nella giustizia e so che chi ha ammazzato il mio ragazzo avrà ciò che merita». Diceva così, Antonio. Anziano, piccolo piccolo e curvo, tenuto in piedi da un dolore divenuto tensione di muscoli e nervi, che piega anche gli arbusti più forti. Come lui. Come Gino Arnesano, padre di Raffaele. Chissà se l'ha mai accettata, Gino Arnesano, la morte del figlio. La foto di Raffaele campeggia in un grande fotoritratto dietro al bancone della rivendita di tabacchi gestita a Torre Lapillo. Gli si darebbero almeno dieci anni in più, a Gino, da quando il suo ragazzone gli è stato portato via. E' provato, distrutto, con lo sguardo quasi assente come se avesse lasciato gli occhi alla Grottella. Lì dove sventagliate di kalashnikov e chili di tritolo seminarono terrore, orrore, morte. «Come? l'ergastolo? - chiede Gino -. Siamo sicuri, vero? Io manco dall'altro giorno, ero a Manfredonia... Ma gli hanno dato il 416 bis, la condanna di mafia?». È pieno di domande, chiede, vuol documentarsi, vuol sapere tutto della sorte dei killer di suo figlio. «Sono contentissimo, finalmente... - aggiunge - gli ergastoli ora salgono a cinque. Dei risarcimenti che potrebbero essere elargiti non ci importa; sono le condanne agli autori della strage il nostro cruccio...». Si ferma, papa Gino. Tace. Un respiro sottile, i singhiozzi... Non ce la fa, l'emozione è tanta. Il nodo alla gola uguale e opprimente. «Certo non ci danno l'autorizzazione a farli fuori, ad ammazzarli noi, quelli là - sbotta poco dopo -. Quindi l'ergastolo è il meglio che potessimo ottenere». Soddisfatta anche Romina lacovelli, vedova di Raffaele. Giustizia è fatta. Ora rimane la prova più dura, convivere col dolore ed il ricordo. Rispettare il silenzio, come è giusto che sia. di Fabiana Pacella
Gli avvocati: «Le polemiche hanno influito sul verdetto»
Delusione sui
volti dei difensori degli imputati. L'avvocato Luigi Corvaglia sostiene
che il parlare del mancato parziale risarcimento alle vittime della
strage della Grottella ha reso l'atmosfera poco serena nei giorni che
hanno preceduto la sentenza: «Sentenza - afferma, infatti - oserei dire
scontata, visto il clima che c'era intorno a questo processo. La prima
impressione lascia perplessi, perché per uno degli imputati (Pasquale
Tanisi, ndr) Vito Di Emidio aveva manifestato perplessità sulla sua
partecipazione alla rapina alla gioielleria Valzano. I processi
dovrebbero essere celebrati fuori da ogni tipo di condizionamento, non
che voglia dire che la Corte sia stata condizionata da eventi esterni,
però in questi ultimi giorni si è parlato molto del processo con una
sovraesposizione degli interessi di parte civile. Si è creato attorno a
questo processo un clima pesante. Mi auguro che non abbia inciso sulle
motivazioni della Corte, lo potrò dire nel momento in cui esaminerò le
motivazioni. Comunque questo è solo il primo grado, vedremo cosa
succederà in Appello». Risarcimento danni, chiesta una modifica
«L'indennizzo
da parte dello Stato non solo alle vittime della mafia» Firmatari sono i senatori Maritati, Passone, Calvi, Ayala, Manzione, Dalla Chiesa, Donati e De Zulueta. La proposta di modifica punta a introdurre nel provvedimento legislativo l'estensione delle provvidenze anche alle vittime «dei delitti comunque commessi da soggetti condannati, anche in altro giudizio, in via definitiva per i delitti previsti dagli articoli 416 e 416 bis del codice penale», vale a dire associazione per delinquere di tipo semplice o di tipo mafioso. Quanto alla copertura finanziaria, previsto l'innalzamento da 20 miliardi di lire a 25 milioni di euro. Nella relazione al disegno di legge si spiega come proprio fatti tipo quello di Copertino «hanno evidenziato la eccessiva ristrettezza dei criteri di accesso al fondo, causati dalla formula che limita alle sole vittime di reati compiuti con finalità mafiose la possibilità di accendere al fondo di solidarietà». da La Gazzetta del Mezzogiorno del 10/12/03
Ieri mattina la
sentenza del processo-bis contro gli autori della rapina ai due furgoni
portavalori costata la vita ai vigilantes della Velialpol
«Ergastolo». Sono
le 10.30 quando la voce del presidente della Corte d'Assise riecheggia
in un'aula bunker semideserta. Il giudice Giacomo Conte legge il
dispositivo della sentenza per il processo bis contro gli autori della
strage della Grottella. Tre giorni e mezzo è durata la camera di
consiglio. Giudici e giuria popolare hanno ritenuto colpevoli il sardo
Marcello Ladu, Pasquale Tanisi, 40 anni, di Ruffano e Antonio Tarantini,
di 29, di Monteroni. Solo Ladu e Tarantini sono presenti in aula. Sono
nella prima gabbia alla sinistra del presidente: ascoltano la lettura
del dispositivo senza batter ciglio, appoggiati alle sbarre della cella,
con braccia che si spingono fuori dalle grate, e con le mani strette.
Il giudizio della difesa
«Troppa
esposizione intorno al processo: così si rischia di condizionare la
Corte». L'avvocato Luigi Corvaglia sbotta dopo la lettura del
dispositivo. «C'è stato un clima pesante per questo processo - spiega il
penalista - Un clima determinato dal fatto che negli ultimi tempi si è
sovraesposto l'interesse delle parti civili soprattutto in relazione
alla mancata contestazione della mafiosità e quindi al mancato
riconoscimento delle provvidenze previste per le vittime di mafia».
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Da La Gazzetta del Mezzogiorno di Giovedì 11 Dicembre 2003 Ritorna in Appello l'assalto ai portavalori
La strage di Copertino torna in aula. Oggi si apre il processo d'Appello
contro i due pastori sardi Gianluigi Congiu e Pierluigi De Pau. In primo
grado sono stati condannati all'ergastolo. La Corte dovrà decidere se
rinnovare il dibattimento ed ascoltare le dichiarazioni del
collaboratore Marcello Laneve. Il pentito ha deposto nel processo bis
per la strage che si è concluso martedì mattina con altre condanne
all'ergastolo per Marcello Ladu, Pasquale Tanisi e Antonio Tarantini.
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