Dalla Gazzetta del Mezzogiorno di venerdì 2 febbraio 2001 Strage, è l'ora della verità Ma si lavora ancora per fare luce sul commando Arriva
l'ora, della verità per la strage di Copertino. Una verità parziale. Questa mattina
Questa mattina in aula a difendere i sardi ci sarà un collegio di avvocati composto da Gaetano Contento, Elvira Belmonte ed Enrico Ramazzotti. Davanti al giudice perle indagini preliminari Maurizio Petrelli si sono costituiti parte civile i familiari di Rodolfo Patera e di Raffaele Arnesano, assistiti dall'avvocato Gaetano Gorgoni. Parte civile anche la Velialpol e le tre guardie giurate rimaste ferite con l'avvocato Claudio Di Candia. Questa mattina potrebbero costituirsi parte civile i familiari di Luigi Pulli, assistiti dall'avvocatessa Maura Centonze. L'Accusa in aula sarà sostenuta dai sostituti procuratori Guglielmo Cataldi e Patrizia Ciccarese.
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Dalla Gazzetta del Mezzogiorno di sabato 3 febbraio 2001 Anche le microspie per incastrare i sardi Strage di Copertino: gabbie vuote per la prima udienza. I due pastori sardi non erano in aula. Ci saranno alla prossima udienza. Ma prima della fine del processo, che si preannuncia lungo, in quelle gabbie, dietro le sbarre, potrebbe sedere qualcun altro. «Lavoriamo ancora - assicurano i magistrati - Non è una pagina chiusa». I sospetti, del resto, non mancano. Nelle indagini condotte dalla Squadra mobile e dal Reparto operativo dei carabinieri sono finite decine e decine di persone. Quaranta sono state le utenze telefoniche «spiate», intercettando il traffico in entrata ed in uscita. Mai sospetti sono rimasti tali. Nessuna prova. E così a rispondere dell'azione di guerra compiuta la mattina del 6 dicembre de1'99, che ha fruttato un miliardo ed ottocento milioni ma che è costata la vita di tre vigilantes (Luigi Pulli, Raffaele Arnesano e Rodolfo patera), ci sono solo i due pastori di Villagrande Strisaili nel Nuorese. Da ieri mattina sulla loro testa grava anche un altro peso. L'Accusa, sostenuta in aula dai sostituti procuratore Patrizia Ciccarese e Guglielmo Cataldi (era presente anche il dottor Leonardo Leone De Castris), ha chiesto ed ottenuto un'integrazione del capo d'imputazione. Così i pastori dovranno difendersi anche dall'accusa di lesioni personali gravi ai danni dei tre vigilantes scampati (Giuseppe Quarta, Flavio Matino e Giovanni Palma).
Nutrito il collegio difensivo. I due pastori sardi sono assistiti da tre avvocati: Elvia Belmonte, Enrico Ramazzotti e Gaetano Contento, ieri sostituito dall'avvocato Andrea Marmo. A sostenere le ragioni delle parti civili (i parenti di due delle vittime; la Velialpol e gli scampati) ci sono gli avvocati Gaetano Gorgoni e Claudio Di Candia. Sono parte offesa, ma non parte civile, i parenti di Luigi Pulli, morto nello scontro tra il portavalori e 1'autocarro dei rapinatori. I familiari assistiti dall'avvocatessa Maura Centonze, hanno avviato un rito civile: s'aspettano un risarcimento dalle assicurazioni del portavalori e del camion. Sono stati chiesti 712 milioni. Se ne discuterà il 13 marzo. In Corte d'Assise si tornerà il 26 aprile. Microspie in cella per controllare i due
sardi. E «cimici» in casa per ascoltare le conversazioni con le mogli. Sono stati intercettati per mesi
Daniele: «..Mi pensavo che erano bravi ragazzi e si sono impegnati per prendere poi i fucili, pulire le canne, tutto». Mario: «proprio lui ci aveva la 38
Michele: «All'avvocato loro?» Uomo: «Adesso non gli devi dare un cazzo poi tu hai sentito con le orecchie tue...»; Michele: « Si...come ha parlato con te»; Uomo: «Ha telefonato lu bullone a Luigi». Per gli inquirenti appare evidente che il «Bullone» per interessarsi o meno al pagamento degli avvocati deve essere coinvolto nella vicenda. Una battuta pronunciata in carcere da uno dei sardi appare, poi, come un'inconsapevole confessione. Commentando la seconda ordinanza di custodia cautelare esclama: «io ho portato le macchine». Per gli investigatori è l'ammissione della partecipazione alla rapina, almeno a livello organizzativo.
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Dal Quotidiano di Lecce di Sabato 3 febbraio 2001 Strage, in aula solo il dolore Assenti i 2 imputati, Si riprende ad arpile Il processo s'è aperto ieri. Solo questo è stato fatto. Niente di più. Proseguirà a fine aprile. E il giudizio davanti alla Corte d'assise per la strage della Grottella, tre vigilantes uccisi e tre feriti, due miliardi svaniti nel nulla come quasi tutto il gruppo di feroci assassini che quell'assalto compì la mattina del 6 dicembre '99. Sembra il processo ai fantasmi. I due imputati prefenscono non comparire in aula, il resto del commando chissà dove sta e - soprattutto - chissà ancora da chi è formato, da quanti era composto, e tutto questo al di là dei sospetti, dei mezzi indizi, delle ipotesi plausibili. Si comincia e subito si rinvia.
un camion fu lanciato contro il primo blindato, un fuoristrada bloccò il secondo, un gruppo di fuoco sparò all'impazzata raffiche micidiali di kalashnikov, qualcuno piazzò dell'esplosivo sotto il blindato di dietro, dilaniando due dei tre vigilantes che stavano dentro. Un miliardo e ottocento milioni il bottino portato via. Nei veicoli, i cadaveri dei tre vigilantes. Urla di dolore dei feriti. I due pastori furono arrestati praticamente subito. In una masseria di Melendugno da loro usata per il pascolo del bestiame (Congiu e Depau sono arrivati nel Salento nell'ottobre precedente, direttamente da Villagrande Strisaili, Nuoro) era stata trovata, con il cofano ancora caldo, l'Alfa 164 utilizzata dal commando per fuggire dal luogo dell'eccidio (l'altra auto era una Saab 9000, anch'essa subito recuperata, a Martano). Accusati di ricettazione e portati in cella, i due sono stati raggiunti qualche tempo dopo da una seconda ordinanza di custodia cautelare, questa volta per concorso in omicidio e rapina: una sene di indizi, incluso il riconoscimento di uno di loro in un luogo ben preciso poco prima dell'assalto, sembrerebbe incastrarli. Ma il processo si fa proprio per questo. Pubblici ministeri Patrizia Ciccarese e Gugliemo Cataldi; avvocati difensori Elvira Belmonte e Pasquale Ramazzotti; avvocato di parte civile per i parenti delle vittime l'avvocato Gaetano Gorgoni. Per la Velialpol, anch'essa parte civile, presente l'avvocato Claudio Di Candia.
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Dal Quotidiano di Lecce di Venerdì 27 Aprile 2001 L'eccidio della Grottella: Nel processo ai pastori arriva la verità di un collaborante. Un pentito parla: nuova pista per la strage Un Pentito potrebbe dare una svolta alle indagini sulla strage della Grottella, aprendo nuove piste rispetto a quelle fin qui seguite dagli investigatori. Il colpo di scena durante il processo ai due pastori sardi, per ora unici imputati per l'assalto al furgone blindato in cui morirono tre vigilantes. Potrà da un pentito arrivare quella verità ancora assente in un processo in cui due sono gli imputati e molti gli assenti ingiustificati? La verità è quella che ancora manca nell'inchiesta sulla strage della Grottella, tre vigilantes uccisi il 6 dicembre '99 da un commando spietato, armato con kalashnikov ed esplosivi ad assaltare due furgoni della Velialpol con sei uomini e tre miliardi di lire a bordo. Tre i morti, tre i feriti, due i miliardi rapinati. Una strage. Ieri - nella seconda udienza del processo in Assise ai pastori sardi Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, prima accusati di ricettazione e favoreggiamento e poi di concorso pieno nella rapina e nell'eccidio - la difesa degli imputati ha ottenuto di ascoltare in aula le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia di Andria, tal Salvatore Lovaglio, che sostiene di sapere qualcosa in più su quel delitto, diversa dalla ricostruzione dei fatti che ipotizza la partecipazione di leccesi, brindisini e Sardi e che vede unici accusati i due pastori.
Il processo riprenderà il 14
maggio. Nel frattempo verranno riesaminate le intercettazioni ambientali. A
difendere gli accusati, gli avvocati Elvia Belmonte e Pasquale Ramazzotti.
Non c'è più il professor Gaetano Contento, morto pochi giorni fa a Bari:
ieri in udienza è Dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Venerdì 27 Aprile 2001 Il processo entra nel vivo. Saranno ascoltati 70 testimoni. C'è anche un collaboratore di giustizia barese Strage, un pentito sfilerà in aula L'Accusa non lo ritiene credibile, ma la difesa lo convoca La difesa gioca la carta del pentito. E chiama a testimoniare un collaboratore di giustizia nel processo per la strage della Grottella. E' Salvatore Lovaglio di Andria. Quattro mesi dopo il sanguinoso assalto ai furgoni portavalori raccontò agli investigatori della Sezione criminalità organizzata della Squadra mobile della Questura di Roma di conoscere uno dei rapinatori che aveva partecipato alla rapina. Così i difensori dei due pastori sardi, gli unici accusati dell'azione di guerra che fruttò quasi due miliardi e lasciò sul campo tre guardie giurate, sperano di aprire linee alternative che - a loro dire - sarebbero state trascurate dagli investigatori. Lovaglio, infatti, ha fatto un nome. E' quello di un pregiudicato di Andria con il quale il pentito avrebbe avuto anche dei contatti telefonici. Il suo è stato un racconto ricco di particolari. Ma l'esame dei tabulati del traffico telefonico transitato sulle utenze del collaboratore avrebbe smentito quei contatti. Dagli investigatori dunque il pentito non è stato ritenuto credibile. I difensori di Pierluigi Congiu e Gianluigi Depau, però, lo porteranno in aula. Ieri mattina i giudici della Corte d'Assise presieduta da Elio Romano hanno accolto la richiesta dei difensori. I sardi sono assistiti dagli avvocati Elvia Belmonte, Enrico Ramazzotti e Andrea Moreno. In verità di pentiti che parlano della strage ce ne sono almeno altri due, ma anche la difesa ha rinunciato alla loro audizione. Con
l'udienza di ieri (la seconda) si è aperto ufficialmente il
dibattimento. Sono stati sentiti i primi cinque testimoni. Ne seguiranno
altri 60. Quelli ascoltati ieri, il 6 dicembre del '99 transitavano
sulla via della Grottella, mentre il commando, composto da almeno dieci
uomini mascherati, era in azione.
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Dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 15 Maggio 2001 "Srage della grottella", continua l'audizione dei testimoni COPERTINO - Continua l'audizione dei testimoni, al processo in Corte d'assise sulla strage della «Grottella». Ieri nel corso della terza udienza, che vede alla sbarra in qualità di imputati Pierluigi Congiu e Gianluigi Depau (assistiti dagli avvocati Elvia Belmonte, Enrico Ramazzotti ed Andrea Moreno), sono comparsi i titolari delle due vetture utilizzate per l'assalto ai furgoni portavalori della Velialpol, in cui persero la vita tre guardie giurate. Si tratta dei titolari della Saab e del Pick up Nissan Patrol, quest'ultimo comparso sulla scena della strage, mentre la vettura di fabbricazione svedese venne recuperata dai carabinieri nelle campagne di Martano. Quindi è stata la volta di uno dei testimoni oculari della sanguinosa rapina, che fruttò circa due miliardi di Lire in contanti, e dopo il suo ascolto, il processo è stato rinviato all'ultimo giorno del mese. In tale occasione, al cospetto dei giudici della Corte e dei rappresentanti dell'accusa, i sostituti Patrizia Ciccarese e Guglielmo Cataldi, dovrebbero sfilare altri due testimoni oculari, nonché uno degli investigatori dell'Arma titolari delle indagini. Indagini che sino ad ora portano solo all'arresto dei due sardi, entrambi accusati di concorso in omicidio.
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Dal Quotidiano di Lecce di Mercoledì 30 Maggio 2001 Strage di Copertino: Verità più vicina Catturato tra Brindisi e Sandonaci il latitante chiamato in causa per l'uccisione dei tre vigilantes Vito Di Emidio. Il suo nome fu fatto subito, nelle ore immediatamente successive alla "strage della Grottella", l'assalto che il 6 dicembre del 1999 costò la vita a tre vigilanti della Velialpol, massacrati in un assalto con 1'esplosivo contro due furgoni portavalori, alla periferia di Copertino. Tre guardie giurate uccise, altre tre ferite. Ed un commando di assassini sanguinari, non si sa ancora con certezza quanti fossero, in fuga con un bottino di due miliardi. Tra
quei killer - dissero subito gli investigatori - di sicuro doveva esserci
stato anche "Bullone", ovvero Di Emidio. Sia Si parlò di Di Emidio, allora, e dei rapporti malavitosi esistenti tra la provincia di Lecce e quella vicina di Brindisi. Ma sono state un comune denominatore anche per molti altri fatti di sangue e di criminalità negli ultimi tempi le alleanze tra leccesi e brindisini, le ruggini reciproche, i conti rimasti a lungo sospesi e alla fine saldati, i nuovi assetti per i nuovi, lucrosissimi, affari. E la ripresa dei delitti e delle ostilità, il 18 maggio del 2000, quando sulla provinciale Collepasso-Casarano Cosimo e Fabrizio Toma, padre e figlio, vennero falciati da una raffica di kalashnikov mentre rientravano a casa, a metà mattinata, con la loro Fiat Uno. Colpiti alle spalle i due urtarono violentemente con l'auto il costone laterale della strada, venendo alla fine sbalzati fuori dall'abitacolo frantumato dai colpi di proiettile. I killer avevano provato a farli fuori già qualche un mese prima, ai primi di marzo: i due vennero feriti a colpi di pistola e fucile. L'agguato non andò oltre per l'arrivo di una pattuglia dei carabinieri, giunta a casa Toma per controllare il capofamiglia, sottoposto ad un regime di sorveglianza speciale. Non
ebbero molte difficoltà ad inquadrare il duplice delitto, gli
investigatori dell'antimafia leccese: erano stati per lungo tempo amici di alcuni boss
della Sacra corona unita brindisina, i Toma. Così amici che ospitarono la
latitanza del boss Salvatore Buccarella nel 1991. In seguito molti elementi e
diverse testimonianze li avevano indicati come molto vicini anche ad un altro
personaggio di grosso calibro della criminalità brindisina, Vito Di Emidio appunto,
superlatitante della Scu che in più occasioni pare avesse trovato
rifugio e ospitalità proprio in
quell'area. Ma così come erano stati suoi grossi amici, le cose altrettanto radicalmente cambiarono: Ma
l'aggancio con Brindisi nel lavoro degli investigatori salentini è ritornato anche
in molte altre occasioni, e non
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Dal Quotidiano di Lecce di Mercoledì 31 Maggio 2001 La Dda di Lecce smentisce sviluppi per i tre vigilantes uccisi a Copertino «All'epoca dei fatti si parlò tra le altre cose anche di un possibile coinvolgimento del latitante Vito Di Emidio nella sanguinosa rapina di Copertino ma posso escludere che allo stato esistano elementi tali non solo da portarne all'arresto ma neanche da inserirlo nel registro degli indagati»: il pubblico ministero antimafia Leonardo Leone de Castris, titolare dell'inchiesta sulla rapina che costò la vita a tre vigilantes vegliesi, ha commentato così ieri mattina le voci su un imminente emissione di ordinanze di custodia cautelare relative a quell'episodio che coinvolgano Vito di Emidio. De Castris, che conosce molto bene la criminalità brindisina avendo svolto per anni le mansioni di sostituto procuratore presso il palazzo di via Palmiro Togliatti, ha infatti sì incriminato Di Emidio ma con l'accusa di associazione mafiosa e di traffico di stupefacenti nell'ambito di un'inchiesta sul troncone brindisino della Sacra corona unita. Ed è probabile che il magistrato si porti a Brindisi nei prossimi giorni per ascoltare Di Emidio su quella vicenda.
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Dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Venerdì 1 Giugno 2001 La
Difesa dei due sardi incassa i primi punti
Sfilano i testimoni in Assise nel processo per la strage della Grottella e la difesa dei due pastori sardi (Gianluigi De Pau e Pierluigi Congiu) incassa i primi punti. Uno scossone all'impianto accusatorio è venuto dalle dichiarazione del maresciallo Gianluca Piconese. Il sottufficiale la sera del primo dicembre ha visto uscire dalla masseria il "Capitano" di Melendugno (la stessa dove lavoravano i due pastori sardi) una Thema con quattro persone a bordo, armate e travisate. Ebbene il maresciallo ha precisato che la targa della vettura era AA476TJ e non AA976TJ, come riportato negli atti della delicata inchiesta. La differenza potrebbe non essere di poco conto. La targa AA976TJ era stata notata, qualche giorno prima della strage, da una guardia giurata nei pressi di Boncore. La targa era montata su una Thema: fra gli occupanti dell'auto, il vigilante avrebbe riconosciuto Gianluigi De Pau. E la stessa targa era annotata a penna sul bloc-notes ritrovato nella tasca di Raffaele Arnesano, uno dei vigilantes rimasti uccisi durante l'assalto. Vale ricordare che la targa AA976TJ era stata smontata da una Fiat Uno qualche giorno prima della strage. C'è di più: un testimone ha confermato la presenza dei sardi nella masseria alle 9 del 6 dicembre. E nonostante le decine di militari impegnati in una perquisizione, i due non si sono allontanati fino all'arresto.
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