Indice di Indice Generale                            Indice Giornali Indice Giornali

Dal Nuovo Quotidiano di Puglia e da La Gazzetta del Mezzogiorno di venerdì 23 gennaio 2004

dal Nuovo Quotidiano di Puglia del 23/01/04

Il tribunale amministrativo dà ragione ai familiari delle tre guardie giurate uccise nella rapina. I risarcimenti sono quindi legittimi

Quella strage fu mafia: il Tar rende giustizia

Accolto il ricorso per la Grottella

VEGLIE - Mafia e agevolazione mafiosa ricorrono nella strage della Grottella. Per questo il "Comitato di solidarietà per le vittime di reati di tipo mafioso" deve riesaminare le istanze presentate dai parenti di Luigi Pulli, Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano. Le guardie giurate uccise a lanci di bombe e raffiche di Kalashnikov la mattina del 6 dicembre di cinque anni fa a Copertino sulla strada della Grottella mentre trasportavano oltre tre miliardi di lire per conto della Velialpol. Lo ha stabilito il Tar di Lecce (presidente Aldo Ravalli, a latere Enrico D'Arpe e Giovanni Palatiello) accogliendo il ricorso presentato dagli avvocati Ennio Cioffi e Gaetano Gorgoni per conto di Romina Iacovell, Luigi Arnesano, Marco Arnesano, Genoveffa Patera, Mauro Patera, Teresa Parisi e Maria Conte, contro la decisione presa l'anno scorso dal Comitato di non concedere loro il risarcimento previsto per le vittime di mafia. Il Comitato aveva respinto la richiesta ritenendo che mancassero i requisiti secondo quanto stabilito da sentenze e capi di imputazione sui sei autori della strage.

Il Tar invece ribalta il principio: «Le condotte delittuose in questione hanno una evidente natura mafiosa», scrivono i giudici. «E cioè in particolare l'appartenenza del capo della banda (il boss brindisino Vito Di Emidio, detto "Bullone"), acclarata con sentenza passata in giudicato, ad una organizzazione associata alla Sacra corona unita». I giudizi del Tar sostengono il legame di Di Emidio e del suo clan alla Scu anche perché il boss ha ammesso che parte dei proventi della rapina (fruttò un miliardo e 800 milioni di lire) servì a sostenere gli affiliati detenuti in carcere. Ed infine hanno ricordato le modalità particolarmente violente: un camion speronò uno dei furgoni e tre auto bloccarono le vie di fuga prima di piazzare la carica di esplosivo e aprire il fuoco con mitra kalashnikov, fucili calibro 12 e pistole calibro 9. Circostanze che non sono state prese in considerazione nel corso della valutazione, hanno ritenuto i giudici: «L'omessa valutazione, da parte del Ministero dell'Interno, è di per sè ragione di illegittimità dei provvedimenti impugnati». E invitano il Comitato ad approfondire la presunta mafiosità degli imputati. In modo autonomo: «Il Comitato di solidarietà non deve semplicemente limitarsi a riscontrare la mancata corrispondenza tra i reati per i quali gli imputati sono stati condannati, ma deve compire un approfondito esame delle sentenze di condanna che hanno sancito la colpevolezza degli imputati, ivi comprese le relative motivazioni, nonché degli atti di indagine e degli atti dibattimentali». Il Comitato ha ora tre mesi per riesaminare l'istanza dei parenti delle tre vittime.

di E. M.


da La Gazzetta del Mezzogiorno del 23/01/04

La decisione del Tar sulle richieste dei parenti dei vigilantes trucidati dalla banda di Di Emidio

Grottella, risarcimento più vicino

Secondo il Tribunale amministrativo fu un delitto di «evidente natura mafiosa». «Il Comitato di solidarietà deve approfondire le sentenze di condanna

VEGLIE - Il Tar dà ragione ai parenti delle vittime della strage della Grottella. E' illegittima la loro esclusione dal Fondo di rotazione. E adesso il Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso ha novanta giorni di tempo per riesaminare le richieste di risarcimento.

L'ordinanza della Prima sezione del Tar (presidente Aldo Ravalli, consigliere Enrico D'Arpe, estensore Giovanni Palatiello) rimette ordine in una vicenda che non ha mancato di alimentare polemiche. Ma i giudici fissano anche alcuni criteri di cui il Comitato deve tenere conto nell'esame della richiesta di risarcimento.

Il primo riguarda l'«evidente natura mafiosa» della strage della Grottella. E i giudici si soffermano sull'appartenenza del capo della banda, quel Vito Di Emidio detto Bullone, ad un'organizzazione associata alla Sacra corona unita; appartenenza «acclarata con sentenza passata in giudicato». Ci sono poi altri elementi che evidenziano la natura mafiosa dell'assalto: «L'invio di parte dei proventi della rapina ad affiliati detenuti in carcere, nonché le modalità, di inaudita violenza, con cui è stato compiuto l'assalto ai due furgoni portavalori della Velialpol, chiaramente intese ad intimidire la società civile».

Eppure di tutto questo non v'è traccia nella valutazione fatta dal Comitato che si è limitato riscontrare la corrispondenza dei reati per i quali gli imputati sono stati condannati. Una valutazione censurata dal Tar: «Il Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso deve compiere un approfondito esame delle sentenze di condanna che hanno sancito la colpevolezza degli imputati, comprese le relative motivazioni, nonché gli atti di indagine e quelli del dibattimento allo scopo di verificare in maniera autonoma se, al di là degli specifici titoli di reato contestati, la condotta degli autori fosse caratterizzata da una matrice chiaramente mafiosa». E il legislatore individua in «tale matrice il presupposto necessario e sufficiente per la concessione dei benefici».

Il Tar, poi, ricorda che il Comitato può vantare ampi poteri di integrazione istruttoria e autonomia di accertamenti e che non è vincolato al giudicato penale. Si tratta dunque di un'ordinanza che spiana la strada ai risarcimenti, chiesti dai parenti delle vittime, assistite dagli avvocati Gaetano Gorgoni ed Ennio Cioffi.

Sommario articoli sull'argomento

Dal Nuovo Quotidiano di Puglia e da La Gazzetta del Mezzogiorno di mercoledì 28 gennaio 2004

dal Nuovo Quotidiano di Puglia del 28/01/04

Cancellato l'ergastolo ai due pastori sardi

Strage della Grottella: pene ridotte in appello

VEGLIE - Pene ridotte in appello per i due pastori sardi accusati della strage della grottella, in cui furono uccisi tre vigilantes: la Corte ha cancellato l'ergastolo, comminato in primo grado, condannandoli a 22 anni.

Non fu omicidio volontario, ma concorso anomalo quello dei due pastori sardi accusati di aver preso parte alla strage della Grottella, il 6 dicembre 1999, assalto furibondo della banda Di Emidio a due furgoni della Velialpol sulla Copertino-San Donato: tre morti e tre feriti. La diversa configurazione del fatto ha portato la Corte d'assise d'Appello, presieduta dal giudice Mario Buffa, ad eliminare l'ergastolo e a infliggere 22 anni di reclusione a Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, difesi dagli avvocati Elvia Belmonte, Andrea Moreno e Pasquale Ramazzotti.

In sostanza, il concorso anomalo deriva dalla considerazione dei magistrati di secondo grado secondo i quali la strage costituisce un fatto diverso e più grave rispetto a quello concordato. I due pastori avrebbero così partecipato ad una rapina, mettendo comunque in conto la possibilità che dall'azione armata sarebbe potuto derivare anche l'omicidio.

Si chiude così il secondo grado di uno dei tre tronconi in cui si è divisa l'inchiesta su quell'assalto mortale. Giovedì prossimo la Corte d'Assise d'appello prenderà in esame la posizione di Vito Di Emidio, l'ex boss ora pentito, che ha presentato appello contro la sentenza di primo grado, con rito abbreviato, in cui non gli è stata riconosciuta l'aggravante del fine mafioso di quell'operazione. Non è un'operazione di autolesionismo: con quello, l'imputato potrebbe accedere a dei benefici che porterebbero ad una riduzione della pena.

Vale la pena di ricordare come la mafiosità dell'agguato sia stata riconosciuta pochi giorni fa dal Tar, che ha accolto il ricorso dei parenti delle
vittime per accedere ad uno speciale fondo di risarcimento dello Stato.


da La Gazzetta del Mezzogiorno del 28/01/04

Riformata la sentenza per Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau
Strage, cade l'ergastolo

Per la rapina della Grottella 22 anni di carcere

VEGLIE - Non più il carcere a vita per i due pastori sardi che avrebbero preso parte alla strage della Grottella, ma una condanna a 22 anni di reclusione ciascuno.

La Corte d'assise di Appello ha riformato così la sentenza a carico di Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, i due cugini sardi arrestati poche ore dopo il sanguinoso assalto - avvenuto il 6 dicembre di quattro anni fa - a due furgoni portavalori della Velialpol in cui rimasero uccisi tre vigilantes.

La corte, presieduta da Mario Buffa, ha riconosciuto per entrambi una diminuente che ha ridotto loro la pena.

Sposando la tesi del collegio difensivo, composto dagli avvocati Elvia Belmonte, Pasquale Ramazzotti e Andrea Moreno, la Corte avrebbe stabilito - ma le motivazioni della sentenza si avranno solo fra novanta giorni - che non sussisterebbero elementi tali da attribuire ai due la volontà che quella rapina culminasse con le morti di Luigi Pulli, Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano. Quell'esito, almeno per i due sardi, non sarebbe stato previsto, così come non sarebbe stato previsto il ferimento di altri tre vigilantes, sempre di scorta ai portavalori.

La nuova sentenza alleggerisce di molto la posizione dei due, che si sono sempre dichiarati innocenti. Il procuratore generale Claudio Oliva, infatti, al termine della requisitoria aveva chiesto la riconferma dell'ergastolo per entrambi i sardi. Così non è stato.

La sentenza ha stabilito anche il pagamento delle spese di giudizio a favore delle parti civili, stabilite in rispettivi ottomila e quattromila euro.
Il prossimo passo sarà la Cassazione, dove il collegio difensivo spera di trovare una nuova vittoria.

Sommario articoli sull'argomento

Dal Nuovo Quotidiano di Puglia e da La Gazzetta del Mezzogiorno di venerdì 30 gennaio 2004

dal Nuovo Quotidiano di Puglia del 30/01/04

La Corte d'appello non cambia la configurazione dei fatti: pena confermata per Di Emidio. Uno dei pastori sardi assolto per le rapine precedenti

Grottella, ricorso respinto: la strage non fu mafiosa

VEGLIE - Il pentito resta senza ulteriore aggravante, il fatto senza la qualificazione di mafiosità. Il processo di secondo grado per la strage della Grottella, secondo filone, non cambia di una virgola la sostanza dell'accusa ne sposta di un giorno la condanna al principale imputato, il boss Vito Di Emidio, 36 anni, di Brindisi, capobanda allora e pentito ora. Per lui, considerata la collaborazione e il rito abbreviato fatto in primo grado, erano e restano 16 anni di reclusione per l'assalto ai due blindati della Velialpol, 6 dicembre 1999, tre morti, tre feriti e un miliardo e 300 milioni di lire come bottino. Conteggiati, nell'accusa come nella pena, anche i due assalti precedenti: il 2 novembre ad un altro furgone Velialpol (un miliardo e due, tre feriti) e il 26 novembre alla gioielleria Valzano, di San Pietro Vernotico (250 milioni).

La Corte d'Assise d'appello, presidente Mario Buffa, ha rigettato il ricorso presentato dal pentito con gli avvocati Vera Guelfi e Alberto Chiriacò per il riconoscimento del fine mafioso di quell'assalto: se accolto, Di Emidio - in virtù delle leggi sui collaboratori di giustizia - avrebbe spuntato un'attenuante in più, con riduzione di pena. Ma se accolto, soprattutto, ai parenti dei tre vigilantes uccisi (Luigi Pulii, Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano) avrebbe aperto automaticamente l'accesso al fondo ministeriale per le vittime della mafia (cosa comunque possibile grazie a una recente ordinanza del Tar che, valutando quell'eccidio come mafioso, ha detto al ministero di considerare complessivamente i fatti a prescindere dalle sentenze del giudice ordinario). Sotto questo aspetto, rigettato anche il ricorso presentato con lo stesso fine dall'avvocato Paolo Spalluto, difensore di parte civile per i titolari della gioielleria Valzano (anch'essi puntavano allo status di vittime di fatti mafiosi).

La stessa Corte d'Assise d'appello, poi, non ha ritenuto suffragate da riscontri oggettivi le dichiarazioni di Di Emidio sulla partecipazione del pastore sardo Pierluigi Congiu agli assalti del 2 e 26 novembre (lo stesso imputato pochi giorni fa s'è visto ridurre, insieme con il cognato Gianluigi De Pau, in altro processo, la condanna per la strage dall'ergastolo a 22 anni di reclusione). Così Congiu, destinatario in primo grado di una pena a 7 anni, ieri è stato assolto, come chiesto dai suoi avvocati difensori Elvia Belmonte e Pasquale Ramazzotti. Infine, pena concordata (riduzione della sanzione in cambio della rinuncia ai motivi d'appello) per Fabio Maggio, di Brindisi, presente al primo assalto al blindato della Velialpol. Per lui, difeso dall'avvocato Paola Giurgola, 3 anni e 4 mesi di reclusione a fronte dei 4 rimediati in primo grado con abbreviato.


da La Gazzetta del Mezzogiorno del 30/01/04

Sentenza della Corte d'Assise d'Appello sulla strage

Di Emidio, confermata la condanna a 16 anni

VEGLIE - Niente sconti in Appello per il pentito Vito Di Emidio. La Corte, presieduta dal giudice Mario Buffa, ha ribadito la condanna a 16 anni di reclusione rimediata davanti al gup con il rito abbreviato per la strage della Grottella e per una serie di reati satellite. Il dispositivo della sentenza è stato letto ieri pomeriggio. Ma c'è attesa per il deposito delle motivazioni per verificare se i giudici (sollecitati dal collegio difensivo che aveva impugnato la sentenza di primo grado) hanno rilevato la natura mafiosa della strage in cui persero la vita tre guardie giurate della Velialpol.

La questione non è di poco conto. Soprattutto dopo la decisione del Tar che ha ordinato al Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di riesaminare le istanze presentati dai parenti dei vigilantes uccisi per accedere al risarcimento previsto dal Fondo di rotazione.

La Corte d'Assise d'Appello ha assolto, invece, Pierluigi Congiu escludendo la sua partecipazione alla rapina del 2 novembre del 99, una sorta di prova generale dell'agguato della Grottella. Il sardo, proprio l'altro giorno, si era vista ridurre la pena dall'ergastolo a 22 anni, per aver preso parte anche alla strage insieme con il cognato Gianluigi De Pau. Il brindisino Fabio Maggio, infine, accusato di aver fatto parte del commando della prima rapina, ha concordato con il procuratore generale Claudio Oliva la condanna a 3 anni e 4 mesi.

Sommario articoli sull'argomento

  Indice Giornali Indice Giornali

Indice di Indice Generale