Dopo il Consiglio di Stato, parla il sottosegretario Mantovano «Tutta colpa di prefetti e giudici ottusi» Strage della Grottella: no al risarcimento, Mantovano accusa
Sottosegretario Alfredo Mantovano, il Consiglio di Stato ha chiuso le porte alle vedove della strage della Grottella: non possono accedere al Fondo per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso perché non è stata riconosciuta la mafiosità della strage. Lei che ne pensa? «È una vicenda in cui purtroppo ha vinto il burocratismo e il formalismo ottuso». In che senso? «Mi spiego. La Legge 512 del 99, che ha istituito il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, viene fuori da una mia proposta presentata nella tredicesima legislatura e funziona in questa maniera: se vi è una condanna per mafia o per qualsiasi altro reato aggravato dalla finalità mafiosa, chi si costituisce parte civile ed ottiene dal giudice il riconoscimento di un risarcimento in suo favore, invece di provare inutilmente ad azionare questo titolo verso il condannato che, normalmente risulta impossidente, si rivolge al Fondo che è stato istituito presso il Ministero dell'Interno dal quale riceve la somma che è stata stabilita dal giudice. Poi il Fondo si surroga nei diritti della parte civile per recuperare le somme». Questo è il meccanismo della sua legge. Ma, visto che la sentenza ha ritenuto che la strage della Grottella non fu un agguato mafioso, lei come si mosse? «Nel 2003 i familiari delle vittime si sono rivolti a questo Fondo. Ed io invitai caldamente, anche nel rispetto dell'autonomia tecnica del Comitato, a non fermarsi alla lettera della sentenza (nel merito della quale non entro per rispetto di un altro organo dello Stato) ma a valutare la mafiosità dal contesto e dal profilo di Di Emidio e ci fu anche una valutazione favorevole da parte della prefettura di Lecce. Ma in maniera inopinata il Comitato si attestò sul dato formale del giudice». Il Tar, però, ha ridato speranza alle famiglie delle tre guardie giurate. «Il Tar ha riconosciuto le loro ragioni. Ed ha spiegato che se c'è un comitato che è chiamato a valutare la richiesta delle vittime, evidentemente il comitato ha un margine di discrezionalità altrimenti basterebbe un funzionario pagatore: se c'è mafiosità paga, altrimenti no. Ma non essendo così meccanico, ma c'è un Comitato presieduto da un prefetto un minimo di discrezionalità tecnica c'è». Ieri, però, è giunta la decisione del Consiglio di Stato: ed è stata una doccia fredda... «Ritenevo che le cose si fossero fermate lì. Invece ho scoperto in questi giorni che il prefetto che presiedeva quel Comitato non pago della sentenza del Tar l'ha impugnata davanti al Consiglio di Stato che ha fornito daccap una lettura formalistico-burocratico. Io sono rammaricato e mortificato per questo». Ma, come autore di quella legge sull'istituzione del Fondo di rotazione, come giudica tutto questo? «Ritengo che la decisione del Comitato e la sentenza del Consiglio di Stato siano estremamente ingiuste. Ed essendo, tra l'altro, l'autore della legge avevo sollecitato legittimamente (spero che questo non sia utilizzato come un tentativo di abuso in atti d'ufficio) una decisione conforme a quello che ritengo lo spirito della legge». E adesso cosa resta da fare per i familiari delle vittime? «In presenza di una decisione del Consiglio di Stato anche se io adesso sollecitassi il Comitato nessuno si assumerebbe la responsabilità perché altrimenti verrebbero fuori illeciti sul piano contabile». Chi ha perso in questa vicenda? «La ritengo una sconfitta della sostanza e di tutti. È una vittoria soltanto del formalismo più ottuso che spesso passa attraverso le persone di alcune prefetti e di alcune sezioni giurisdizionali.» E chi risarcirà i parenti? «Hanno il titolo giudiziario che possono mettere in esecuzione nei confronti dei condannati, con tutte le difficoltà del caso. Se questi risultano impossidenti, purtroppo, il titolo è virtuale». Per le vedove oltre al danno, anche la beffa? «Per loro in prima persona. Immagini lei come posso sentirmi io essendo ancora adesso in quel ministero. Purtroppo questo tipo di difficoltà le riscontriamo anche nelle pratiche di ristoro dal racket e prevenzione usura. Spesso l'ostacolo non è l'avversario politico, ma il burocrate che guarda alla lettera ma non allo spirito della norma».
Gianfranco Lattante
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