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Da La Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 28 Gennaio 2014  (di p.t.)

 

Chiuso il processo a Modena

Sedici anni a testa agli assassini del maresciallo

 

 

VEGLIE - Sedici anni di carcere per gli assassini di Salvatore Spedicato, il maresciallo dell’accademia militare originario di Veglie ucciso a Modena il 18 maggio 2012.

Ieri mattina il giudice Paola Losavio ha condannato i due fratelli nigeriani Moses Oluwatobi e Babatunde Raphael Oloyede - 21 e 24 anni — dopo due ore di camera di consiglio. Il pubblico ministero Enrico Stefani aveva chiesto 27 anni (da ridursi a venti con lo sconto di pena per il rito abbreviato) per l’omicidio e 3 per la rapina. I due fratelli, che dovranno anche risarcire la famiglia del militare con una provvisionale di 100mila euro, sono stati riconosciuti colpevoli di omicidio volontario in concorso e rapina. La difesa, rappresentata dagli avvocati Alessia Gonzo e Cosimo Zaccaria, aveva chiesto l’assoluzione per il più giovane.

Spedicato trovò la morte nel suo appartamento di via Barozzi. Gli assassini si presentarono alla sua porta e la vittima, che probabilmente li conosceva, aprì senza indugio. Scoppiò un litigio che terminò in tragedia. Il militare fu accoltellato diverse volte e, mentre era agonizzante, fu derubato del portafogli, delle chiavi dell’auto e dell’abitazione, di un televisore, di una catenina e di un orologio. Uno dei due assassini, poi, tornò nell’abitazione il giorno seguente e trovò il corpo del sottufficiale non più nel corridoio, ma in camera da letto (con le ultime forze il militare era riuscito a trascinarsi nella vana ricerca di aiuto). Lo spinse quindi sotto al letto.

Uno dei due fratelli fu tradito dalle numerose impronte ritrovate sul posto e da un prelievo effettuato con il bancomat della vittima a Reggio. L’altro fu scoperto dopo aver venduto la catenina in un negozio. Inoltre l’arrivo in casa dei due arrestati fu immortalate dalla telecamera di un  bar.

Soddisfatti per la condanna i fratelli e i familiari della vittima, assistiti come parte civile dall’avvocato Giuseppe Cricchio.

p. t.

 

 

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