Dal
Quotidiano di Lecce di Giovedì 5 e Venerdì 6 Luglio 2001
Giovedì
5 Luglio
Lunedì
prossimo ricomincia il processo per la strage
"Bullone"
arriva in aula? Voci, ma nessuna conferma
Il
processo per la strage della Grottella ricomincia Lunedì in Corte
d'Assise. Due per ora gli imputati: i due giovani pastori sardi
Gianluigi Depau e Pierluigi Congiu, arrestati all'inizio solo per
favoreggiamento e ricettazione e poi accusati di concorso pieno
nell'assalto ai due furgoni della Velialpol, rapina che provocò la
morte dei tre vigilantes della Velialpol e il ferimento di altri tre.
Vito
Di Emidio, "Bullone" nell'ambiente, sarà in aula? Nella
Direzione distrettuale antimafia le opinioni non sono ancora concordi:
qualcuno preferirebbe portarlo subito in Corte d'Assise; qualcun altro
preferirebbe aspettare, per cristallizzare prima di tutte le
dichiarazioni del boss pentito e poi sottoporle ad un accurato lavoro di
verifica per evitare per evitare sorprese alla prova dei fatti con il
dibattimento.
Così
Lunedì prossimo tutto può accadere: qualcuno si aspetta che Di Emidio
faccia la sua apparizione, ma per ora una voce simile non trova alcuna
conferma.
Venerdì
6
Luglio
Il
boss pentito lunedì in Corte d'Assise per testimoniare sulla strage della
Grottella
Di
Emidio, in aula le sue verità
L'appuntamento è per lunedì.
E parlerà, Di Emidio; parlerà in aula, se le indiscrezioni trapelate in queste ore troveranno tutte
conferma, quando il presidente della Corte d'assise Elio Romano aprirà la nuova udienza
per la strage di Copertino, per quei tre vigilantes spazzati via con esplosivo e
kalashnikov e per una rapina che lui, Vito Di Emidio, ha voluto, progettato e compiuto.
A un mese e mezzo dall'inizio
della sua collaborazione, il sanguinario boss brindisino farà la sua prima
apparizione in pubblico per dire chi partecipò quel 6 dicembre '99 all'assalto ai due furgoni della
Velialpol; chi stava con lui, appostato ai margini della strada, armato
fino ai denti; chi alla guida di un camion; chi al volante di un
fuoristrada, tutti fermi lì ad attendere quegli uomini in viaggio verso
il Basso Salento con tre miliardi di lire da distribuire in 18 uffici
postali.
Ha
già detto con chi uccise Luigi Pulli, Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano,
le vittime di quella strage. Di Emidio, che tutti nel suo ambiente
conoscono come "Bullone", ha fatto già ai magistrati i nomi dei
suoi complici. Ci sarebbe stato Marcello Ladu, quel latitante sardo che
con lui sembra aver diviso quasi tutte le azioni di sangue che ora il boss
s'accolla. E poi i due pastori sardi per i quali questo processo è stato
avviato e continua. E infine due leccesi, uno di Ruffano e l'altro di
Monteroni.
Eccolo
il gruppo di fuoco di quel giorno e di altri ancora. Chissà se ad
ascoltare il racconto di "Bullone" lunedì ci saranno in aula i
due unici imputati del processo, Pierluigi Congiu e Gianluigi Depau, i
soli fin qui finiti in manette per la strage, arrestati all'inizio solo
per favoreggiamento e ricettazione di una delle auto usate dal commando e
poi accusati anche di concorso in rapina e omicidio plurimo. Non hanno
partecipato ad un'udienza finora.
L'arrivo
di "Bullone" dar una sterzata al processo, fin qui costruito e
alimentato indizio su indizio, mai una prova che da sola si sia rilevata
decisiva, schiacciante. I riscontri alle sue dichiarazioni determineranno
le sorti delle persone da lui chiamate in causa. In questi 40 giorni di
racconti incessanti Di Emidio s'è rivelato collaboratore attendibile: ha
fatto trovare depositi di armi; ha consentito il recupero del cadavere di
un uomo scomparso; ha indicato i nomi di chi era con lui, nella lancia
Thema, la sera in cui a fine maggio venne intercettato dai carabinieri,
inseguito ed arrestato dopo un pauroso incidente stradale, lui
rimasto ferito al volante e i due amici che lo accompagnavano lesti a
saltar fuori dall'abitacolo e darsela a gambe.
E'
un fiume in piena: s'è addossato anche 20 omicidi. Ora si tratta di
"impacchettare" - e bene - i suoi complici.
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Dal
Quotidiano di Lecce e dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Domenica 8 Luglio 2001
Quotidiano
di Lecce 8 Luglio 2001
Il
raccapricciante film dell'assalto al portavalori della Velialpol nel
racconto del pentito Vito Di Emidio
Presi
gli autori della Strage di Copertino
Antonio Tarantini,
soprannominato "Kamikaze" si lancia con il camion contro il primo furgone, Pierluigi
Congiu chiude la via della fuga con la sua Saab al secondo portavalori che aveva innestato
la retromarcia. I1 sardo comincia a sparare contro i vigilantes e un secondo dopo gli si
affiancano Gianluigi De Pau, Marcello Ladu, Pasquale Tanisi e lo stesso Tarantini. Vito Di
Emidio è attaccato al portellone del primo furgone e inizia a scaricare i sacchi
azzurri con il denaro. Il più anziano dei vigilantes ha il corpo schiacciato tra il
sedile e il cruscotto dopo lo scontro con il camion; una seconda guardia, quella al
volante, è stordita dall'impatto mentre la terza è a terra, sempre all'interno del furgone. Mentre
Di Emidio scarica i sacchi i colpi continuano a riecheggiare. Tanisi appende con un
gancio una bomba di due chili al portellone del secondo furgone. Esplosione. I corpi delle
guardie sono dilaniati: sul pavimento del furgone un vigilante è decapitato, un altro ha il
volto insanguinato e dondola il capo stordito, il terzo alla guida dà pochi
segnali di vita. I1 portellone non si è aperto, Di Emidio tenta di armeggiare con i
comandi interni ma non ci riesce. Qualcuno pensa di far
esplodere altre due bombe ma alla fine decidono di scappare.
I1 film della strage della
Grottella viene riscritto con dovizia di particolari da Vito Di Emidio. Una
memoria fotografica eccezionale, un gusto macabro per gli aspetti più
sanguinari. E il quadro è completo con qualche interrogativo naturale: ma possibile che
"Bullone" non abbia sparato neanche
un colpo? Possibile che il lavoro di macelleria sia spettato solo agli altri? Sul team di killer
però gli inquirenti ormai non
nutrono più dubbi e ieri mattina sono scattate le manette in
un'operazione condotta congiuntamente dalla Squadra mobile (diretta dal vicequestore
Paolo Leaci) e dai carabinieri del Ros di Lecce (comandato dal capitano Vincenzo
Molinese).
L'ordinanza di custodia
cautelare in carcere, emessa dal gip Vincenzo Scardia su richiesta del pm Guglielmo Cataldi e
Patrizia Ciccarese, riguarda due leccesi, Pasquale Tanisi e
Antonio Tarantini, e due sardi, Pierluigi Congiu e Marcello Ladu. Dei quattro solo Tarantini
era libero: Tanisi era stato catturato nei giorni scorsi dopo il pentimento di Di Emidio,
Congiu è in carcere dal dicembre 1999 per la strage di Copertino. Ladu è invece latitante.
Nessun provvedimento d'arresto per il boss pentito.
La banda, oltre al
drammatico assalto di Copertino, si sarebbe resa protagonista di altre due rapine: quella a un furgone
della Velialpol a Leverano (2 novembre 1999) e quella, pochi giorni dopo, presso la
gioielleria Valzano di San Pietro Vernotico.
La strage della Grottella.
Trecentoquindici milioni di lire a testa: questo fu il bottino per
l'uccisione di Luigi Pulli, Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano. Tarantini fu costretto a un
ciclo di fisioterapia perché speronando il primo furgone e uccidendo sul colpo Pulli
lamentò un colpo di frusta. Ladu zoppicò per qualche giorno per via di una storta. Per il colpo
non furono telefonini cellulari ma solo ricetrasmittenti, alcune delle
quali sintonizzate sulle frequenze delle forze dell'ordine.
Antonio
Tarantini studiò il percorso che avrebbero compiuto i due furgoni della
Velialpol. Era stato lui ad accorgersi che spesso compivano il viaggio insieme: un
bocconcino prelibato dopo il successo della rapina di Leverano. I1 giorno della rapina Di Emidio,
Ladu, Tarantini e Tanisi dormirono in un'Alfa 164 parcheggiata nelle campagne di San
Pietro in Lama. Alle quattro del mattino l'appuntamento
con gli altri due sardi. Cinque kalashnikov, cinque fucili automatici calibro 12 a canne
mozzate, due pistole calibro 9, sei bombe a mano provenienti dal Montenegro e tre bombe
artigianali. Di Emidio era nella 164 con Tanisi e De Pau; Ladu era sulla jeep, Congiu sulla
Saab e Tarantini sul camion. Durante la fuga il fuoristrada e il mezzo pesante furono
abbandonati e poi anche la Saab. Dopo il colpo si rifugiarono presso la
masseria Santa Chiara di Martano dove Ladu aveva preparato un nascondiglio. Tutti
tranne Congiu e De Pau che avevano appuntamenti per questioni legati ai
loro affari.
L'Alfa 164 venne smontata,
le armi nascoste. Grazie a una
radio sintonizzata sulle frequenze della polizia scoprirono che quella
masseria stava per essere perquisita. Scapparono attraverso un campo di girasoli e si
fermarono a 300 metri dalla masseria. Poi percorsero ancora qualche chilometro a piedi
sino a un trullo abbandonato finché non rubarono una Panda 750 e tornarono nella zona
della masseria dove incrociarono 1'Alfa 156 dei carabinieri che avevano appena arrestato
Congiu e De Pau.
Rapina di Leverano.
Fu la prova generale di quello che sarebbe avvenuto un mese dopo
a Copertino. Tarantino effettuò il solito giro di perlustrazione, Di Emidio e Ladu scelsero di
inserire nella banda anche Congiu e Fabio Maggio. Quest'ultimo, un giovane
brindisino da tempo vicino al superlatitante, è stato recentemente arrestato
per aver compiuto una rapina nel Barese proprio insieme a Di Emidio. Per
l'assalto di Leverano invece gli inquirenti non ne hanno chiesto l'arresto
non avendo trovato elementi validi a riscontro delle dichiarazioni di "Bullone". Maggio -
secondo Di Emidio - avrebbe esitato molto dimostrando nervosimo tanto che per
l'assalto di Veglie fu deciso di sostituirlo.
Tarantini si mise alla guida
di un autocarro, seguito da un
furgone condotto da Congiu (con a fianco Maggio), da una
Fiat Tipo guidata da Ladu e dalla 164 di Di Emidio. I1 portavalori fu bloccato sulla strada
che da Veglie porta a Leverano. Le guardie furono fatte uscire: una era stesa per terra e
l'altra, in piedi, si lamentava per il dolore, la terza era nei pressi di un muretto
completamente impaurita. Di Emidio
sparò per terra alcune raffiche di kalashikov per convincere il vigilante ad aprire il
portellone: erano tutti con i passamontagna tranne lui. Scaricarono il denaro e fuggirono con la Tipo
e la 164. Qualche ora dopo erano sulla terrazza di una villetta in costruzione a spartirsi il denaro, circa duecento milioni di
lire.
La rapina di San
Pietro. In questo caso fu Di Emidio a scegliere l'obiettivo: la gioielleria Valzano, sulla strada
per Brindisi, a San Pietro. Fu sufficiente una sola auto: la solita 164, e quattro uomini: oltre
a "Bullone", Ladu, Tarantini e Congiu. Tarantini rubò un camion e lo usò come
ariete sfondando l'ingresso della gioiellena. Dopo di lui entrò anche Di
Emidio. Erano armati di pistola e afferrarono la figlia del titolare. Svuotarono la cassaforte
portando via un sacco e mezzo di gioielli. All'uscita incrociarono una pattuglia dei
carabinieri contro la quale esplosero alcuni colpi di kalashnikov. Fuggirono verso Torre San Gennaro.
Poco dopo il bottino della rapina venne consegnato a Tarantini che provvide a
rivenderlo ad alcune gioiellerie del Leccese ricavando soltanto 27 milioni
di lire che vennero divise in
quattro parti.
Domani mattina cominciano
gli interrogatori in carcere. A difendere gli indagati, gli avvocati Massimo Bellini, Elvia
Belmonte e Alfredo Cardigliano.
di
GianMarco Di Napoli
Tra
il boss brindisino e il sardo un patto d'acciaio, poi le rapine
Mancavano i
carabinieri della compagnia di Brindisi, ieri mattina, alla conferenza-stampa nello studio
del procuratore Cataldo Motta. Eppure la svolta alle indagini sulla strage di Copertino parte
proprio dalla cattura di Vito Di Emidio avvenuta alle 22.45 del 28 maggio, pochi
chilometri lontano da Brindisi. Neanche il tempo di riprendersi dalle ferite che
il temuto e sanguinano boss si dichiara pronto a collaborare
con la giustizia. Si autoaccusa subito di venti omicidi e racconta anche della strage di
Copertino. I magistrati della procura di Lecce hanno fatto i diavoli a quattro per non essere
costretti a portarlo in aula domani mattina alla ripresa del processo per
la strage di Copertino (alla sbarra finora c'erano solo i sardi Congiu e De Padu). E ci sono
riusciti serrando i tempi degli interrogatori e delle verifiche alle dichiarazioni, fornendo al gip
una serie di elementi-chiave per l'emissione di altre quattro ordinanze d'arresto.
Agli inquirenti Di Emidio ha spiegato che fu Ladu, navigato bandito emigrato in
Puglia dalla Sardegna (la sorella è in carcere a Lecce per traffico di droga
e lui fuggì prima dell'arresto), a proporgli di mettere su una banda che assaltasse i furgoni. Una
tecnica tipicamente sarda quella
dell'agguato lungo la strada. Di Emidio accettò e vennero scelti gli
altri componenti. Pochi, molto di meno di quanto si supponesse, in quanto né Ladu né
Di Emidio si fidano di molte persone. Due sardi, perché quelli non parlano neanche se li
torturi, due leccesi di cui uno specializzato nella guida spericolata dei
camion da utilizzare come arieti (Tarantini) e l'altro esperto di esplosivi per far saltare in
aria i furgoni. Di Emidio e Ladu dividono il bastone del comando, senza
liti, senza una discussione. Gli altri eseguono ma poi la spartizione del bottino avviene
sempre in maniera equa. Ai capi spetta la stessa identica somma degli
altri complici. Un team con le sue leggi precise, che evita accuratamente di usare i telefonini
(facilmente intercettabili) e che fa largo uso di radio ricetrasmittenti. E la notte
prima del colpo tutti a dormire nella stessa auto per dividere la tensione e l'eccitazione. Niente droghe, almeno
questo sostiene Di Emidio. Niente alcol.
Di Emidio
ricorda tutto come un computer e questa sua capacità funge già da verifica
per quello che racconta. Emergono infatti particolari che nessuno conosceva e che effettivamente
risultano essere reali: circostanze di luogo, di tempo e di persone in
cui sono avvenuti i furti dei veicoli utilizzati per le rapine, la cromatura di una delle
pistole sottratte ai vigilantes, il tentativo di furto di un autocarro ad Avetrana mai denunciato
dalla vittima, la riparazione di un camion presso un'autofficina, il furto di una Fiat Panda
due giorni dopo la sanguinosa rapina di Copertino.
Sull'attendibilità di
quanto Di Emidio ha raccontato gli inquirenti non hanno davvero dubbi. Gli unici interrogativi
riguardano la possibilità che il pentito abbia nascosto qualche altro nome o abbia cercato
di ammorbidire la sua posizione. Ma ieri mattina i magistrati della procura di Lecce lo hanno
spiegato a chiare lettere: Di Emidio ha deciso di collaborare sperando un giorno di lasciare
il carcere. E dunque ogni sua dichiarazione dovrà essere soppesata.
Per le altre accuse, quelle relative agli omicidi e ad altri fatti delittuosi se ne riparlerà
dopo l'estate quando gli interrogatori e i riscontri saranno completati.
di
G.D.N.
Gli
amici dei «mesagnesi»
Prologo
comico della rapina di Copertino.
Di
Emidio, Tanisi, Tarantini e Ladu cercano un autocarro da utilizzare per
assaltare i furgoni della Velialpol. Si fermano ad Avetrana, puntano un
capannone, forzano un camion, ma arrivano i proprietari a bordo di una
Fiat Panda. Nel corso della discussione Di Emidio e soci dicono di
essere mesagnesi e quegli altri iniziano a urlare di essere amici di
alcuni mesagnesi che avevano conosciuto in carcere. A questo punto il
pestaggio si interrompe, i derubati vengono rimessi in piedi e ripuliti.
Così Di Emidio chiede loro se in zona esista qualche altro camion da
rubare e quelli spiegano che poco lontano ce n'è uno dentro ad un altro
capannone.
Domani
riprenderà il processo
Il processo per la strage di Copertino riprenderà
giusto domani mattina. L'appuntamento è in Corte d'assise, a Lecce, davanti al presidente Elio
Romano. Due soli gli imputati a giudizio: Pierluigi Congiu e Gianlugi De Pau, finiti in manette lo stesso
giorno in cui avvenne la strage, a poche ore di distanza dall'assalto ai due furgoni della Velialpol,
costato la vita a tre guardie giurate (mentre altre tre rimasero ferite).
Riprenderà, ma non verrà fatto molto. Vito Di Emidio non comparirà in aula, cosa che invece
accadrà in una delle prossime udienze. Al suo posto entreranno nel dibattimento i verbali delle sue
dichiarazioni che hanno portato ieri all'arresto della restante parte del gruppo armato entrato in azione la
mattina del 6 dicembre '99. Comunque gli avvocati chiederanno termine a
difesa e il processo verrà aggiornato per consentire ai legali di Congiu e De Pau di studiare le nuove carte
presentate dalla Direzione distrettuale antimafia.
Gazzetta
del Mezzogiorno 8 Luglio 2001
Polizia
e carabinieri trovano riscontri alle dichiarazioni del pentito.
Di
Emidio fa i nomi degli autori della tragica rapina
LECCE
- Carabinieri e polizia hanno già trovato i riscontri, ed a
distanza di un mese dalle prime parole di pentimento, l'ex latitante
della Sacra corona, Vito Di Emidio, detto «Bullone», alza il velo su
tre sanguinose rapine. Delle quali si autoaccusa, tirando in ballo sei
complici.
E sei ordinanze di custodia cautelare, sono state emesse a carico degli
autori della strage della Grottella (tre guardie giurate uccise la
mattina del 6 dicembre '99, bottino un miliardo ed 800 milioni); del «colpo»
con sparatoria tra la folla messo a segno il 26 novembre dello stesso
anno ai danni della gioielleria «Valzano», di San Pietro Vernotico, e
dell'altra rapina, targata 2 novembre, sempre del '99, ad un furgone
portavalori assaltato nei pressi di Leverano (tre vigilantes feriti,
bottino un miliardo).
Capeggiato dallo stesso Di Emidio, il «gruppo di fuoco» risulta
composto dal sardo domiciliato a Nociglia, Marcello Ladu, uccel di bosco
da mesi; dagli altri isolani trapiantati nel Salento, Gian Luigi De Pau
e Pier Luigi Congiu (i due sono già alla sbarra per la strage della
Grottella: il processo a loro carico riprenderà giusto domani); da
Pasquale Luigi Tanisi, di Ruffano e da Antonio Tarantini, di Monteroni.
Sono tutti accusati di aver assaltato i due furgoni portavalori
dell'istituto di vigilanza «Velialpol», di Veglie: un assalto messo a
punto con un camion guidato a tutta velocità da Tarantini, detto
kamikaze, un fuoristrada e due vetture, una Saab ed un'Alfa 164, ordigni
artigianali confezionati da Tanisi e una pioggia di fuoco sputato da
kalashnikov, pistole e perfino bombe a mano.
A parte Tanisi e De Pau, gli stessi sono accusati anche delle altre due
rapine. Nel caso dell'assalto all'altro furgone portavalori, anch'esso
della «Velialpol», Di Emidio ha tirato in ballo anche il brindisino
come lui Fabio Maggio, già detenuto. Ma per quest'ultimo non sono stati
trovati riscontri, e pertanto nei suoi confronti l'ordinanza di custodia
cautelare non è stata neppure richiesta.
Fin qui le tre sanguinose rapine. Ma Di Emidio si è autoaccusato di
altri quindici omicidi, di altre rapine, ed ancora di estorsioni ed
attentati. Per sapere chi altri ha tirato in ballo, però, bisognerà
attendere la fine dell'estate.
Toti Bellone
Squarci
di luce e di verità sull'assalto che costò la vita a tre poveri
vigilantes. Le confessioni di Vito Di Emidio
In
sei dovranno fare i conti con il massacro
Cinque
arresti e un latitante tra Nociglia, Melendugno, Ruffano e Monteroni
«Per
la rapina ai due furgoni portavalori portammo cinque kalashnikov, altri
cinque fucili automatici calibro 12 a canne mozzate, ed un paio di pistole
calibro 9, sei o sette bombe a mano tipo ananas provenienti dal
Montenegro, che io stesso avevo introdotto all'epoca della mia latitanza
in quei posti. Avevamo anche tre bombe artigianali. Quando il primo
furgone è giunto a tiro, uno di noi si è lanciato contro con il camion e
gli altri hanno cominciato a sparare contro le guardie giurate. Ricordo di
avere visto una guardia più anziana già con il corpo schiacciato tra
cruscotto e sedile. Ad un certo punto è esplosa una bomba di due chili:
ho visto i corpi dilaniati delle guardie ed ho notato che ad uno, posto
sul pavimento del furgone, mancava la testa, mentre un altro aveva il
volto insanguinato e dondolava il capo stordito, ed il terzo alla guida
dava pochi segni di vita. Un furgone non si apriva e non potevamo prendere
tutti i soldi: gli altri volevano posizionare le altre due bombe ma io ho
preferito andar via».
E' solo una
parte del raccapricciante racconto - fin qui relativo solo alla strage
della Grottella - che l'ex latitante della Sacra corona, Vito Di Emidio,
detto «Bullone», ha fatto lo scorso 8 giugno agli investigatori che
stanno raccogliendo le dichiarazioni del pentimento avvenuto subito dopo
la cattura, risalente a poco più di un mese fa.
Al procuratore aggiunto dell'Antimafia, Cataldo Motta, «Bullone» ha
parlato chiaro: «Mi pento perché voglio stare in carcere quanto meno
tempo possibile».
Ecco allora la verità sull'assalto del 6 dicembre del '99 ai due furgoni
della «Velialpol», in cui vennero trucidati i vigilantes Luigi Pulli,
Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano, ma anche come andò il 2 novembre
dello stesso anno a Leverano, quando venne assaltato un altro furgone
portavalori.
Quel «colpo» fruttò quasi un miliardo, e tre guardie giurate (Augusto
Tarantino, Aldo Nuzzo ed Andrea Pati) restarono ferite.
Di Emidio ha parlato anche di un'altra rapina: quella messa a segno il 26
novembre, sempre del '99, a San Pietro Vernotico, ai danni della
gioielleria Valzano». Subito dopo l'assalto, giunsero i carabinieri, ed
il commando prese a sparare all'impazzata tra la folla.
Riempimmo due sacchi di ori - ha raccontato Di Emidio -, ma quando li
vendemmo, dalle parti di Monteroni e Carmiano, ricavammo solo 27 milioni».
Con il pentimento sono venuti anche i primi arresti. I pubblici ministeri
Guglielmo Cataldi e Patrizia Ciccarese, hanno chiesto ed ottenuto dal
giudice delle indagini preliminari, Vincenzo Scardìa, sei ordinanze di
custodia cautelare.
A Di Emidio, al suo luogotenente Pasquale Luigi Tanisi, di Ruffano ed ai
cugini sardi domiciliati a Melendugno, Gian Luigi De Pau e Pier Luigi
Congiu (i due sono già sotto processo per la strage della Grottella),
sono state notificate in carcere. Quanto all'altro componente il commando,
Marcello Ladu, domiciliato a Nociglia, l'uomo è da tempo latitante.
L'unico del gruppo a piede libero, Antonio Tanisi, di Monteroni, è stato
prelevato ieri mattina dalla sua abitazione.
Tutti - tranne il latitante che dovrebbe aver già trovato riparo in
Sardegna - verranno interrogati domani: i salentini Tanisi e Tarantini,
sono assistiti rispettivamente dagli avvocati Alfredo Cardigliano e
Massimo Bellini.
E' da sottolineare che le dichiarazioni di «Bullone», costituiscono la
conferma di quanto gli investigatori (gli agenti della Squadra mobile e
della Sezione criminalità organizzata della Questura, ed i carabinieri
del Nucleo operativo e del Raggruppamento operativo speciale dell'Arma),
ebbero a supporre all'indomani della strage. E cioè, che l'assalto era
opera di Di Emidio, e che del «gruppo di fuoco» avevano fatto parte
anche i sardi residenti e radicatisi in provincia di Lecce.
|
Dal
Quotidiano di Lecce di Lunedì 9 Luglio 2001
Dopo
l'arresto dell'intero commando assassino, parlano le vedove dei
vigilantes trucidati.
«Il
nostro lutto non passa, almeno restino in carcere»
Tutta la banda è dentro.
Gli autori dell'assalto ai due furgoni portavalori della Velialpol, noto come
"Strage della Grottella" sono stati consegnati alla giustizia dopo le
scottanti rivelazioni dell'ex primula rossa della Scu, Vito Di Emidio. C'era
anche lui, "Bullone" quella mattina, sulla Copertino-San Donato, a fare ferro e fuoco. All'appello
ora manca solo il sardo Marcello Ladu, latitante. La notizia
della cattura dei componenti del commando sanguinario è entrata,
prepotente, nelle case dei tre vigilantes - Raffaele Arnesano, Rodolfo Patera e Luigi
Pulli - trucidati il 6 dicembre '99. È entrata come un uragano, ha squarciato quella
calma apparente, protettiva e irrespirabile insieme.
«Non voglio dire
niente», esordisce con voce sommessa Anna Paola Pulli, una delle figlie di Luigi. Le manca il
padre. Lo si avverte nel dolore che accompagna i suoi 25 anni. «Li hanno presi, quelli lì... -
riflette - ma cosa gli faranno mai? Sì, sono contenta per gli sviluppi nelle indagini, ma
ciò che è fatto è fatto. Papà non tornerà mai più a casa e per me conta solo questo». I1 futuro?
Non ci pensa poi più di tanto, Anna Paola. «Starò a guardare - dice - spero solo che gli
arrestati siano davvero colpevoli della strage. Per il resto, sono sicura che la giustizia degli
uomini non li punirà mai abbastanza». La paura, per la ragazza come per gli
altri familiari delle tre guardie giurate è di vedere un giorno, quegli assassini di
nuovo in libertà. Dolore, rabbia e sete di giustizia nei loro animi. Comprensibili e degni di
rispetto.
Gianni
Pulli, figlio
maggiore di Luigi, carabiniere in servizio a Firenze, ha telefonato di prima mattina, l'altro
giorno, a casa, giù a Veglie. Aveva sentito da qualche parte che gli assassini erano dentro ed ha
chiesto alla sorella di acquistare il giornale. «Devo sapere tutto - conferma Gianni - ma penso
che potrebbero anche esserci altre persone coinvolte in quell'assalto. Gli inquirenti faranno
di certo il loro dovere, per ora sono davvero soddisfatto». Un sorriso, quasi
beffardo, maschera tanti mesi di sofferenza e le preoccupazioni per la madre,
Antonietta Casavecchia, che
non ha mai più sorriso da quel giorno e si è da poco ripresa da una forma di depressione che
l'ha colpita lo scorso inverno. «Ho sempre pensato che Congiu e De Pau - i due sardi
arrestati subito dopo la mattanza, ndr - fossero solo capri espiaton - aggiunge il giovane
carabiniere, invece mi ero sbagliato. Fortunatamente non furono rilasciati, come si temeva all'inizio.
Fortunatamente...». I1 giovane si ferma un attimo, ammette la sfiducia dei
primi tempi. «Si sa come vanno queste cose - dice - il tempo passa, i
ricordi scemano... Pensavo che non avrei mai visto quei malfattori con le
manette ai polsi. Da una parte però è giusto tenere presente che il loro arresto non
riparerà mai il danno che hanno fatto». Nella malcelata voglia di vendetta c'è il
desiderio che gli assassini restino per sempre in carcere. Lo si evince dalle
parole ferme e strozzate di Maria Conte, giovane vedova di Rodolfo Patera e madre di due
bambini. «Non si torna indietro - batte i pugni la donna - per questo mi sono imposto di non
informarmi, di non sapere, mai... Camminando per strada mi capita spesso di notare le
locandine dei giornali fuori dalle edicole e allora alzo il passo
perchè ho paura. Lo faccio di proposito». Degli ultimi sviluppi sulla vicenda ha sentito dire
qualcosa, Maria, ed è contenta, in parte. «Ho solo chiesto se ci fossero
nostri compaesani tra gli arrestati, poi non mi interessa altro. Perchè si riapre ogni
volta una piaga, che è mia e solo mia e nessuno può capire. I colpevoli stanno comunque
meglio di me. Loro sono vivi, mio marito no».
Romina Iacovelli,
invece, vedova di Raffaele Arnesano, ha rotto in qualche modo il suo silenzio. Ha deciso di
sapere, di capire. «Romina legge i giornali e guarda i notiziari, adesso - spiega Maria Conte,
che la conosce bene - parla con i legali, lei ce la fa.». Non riesce ad andare avanti, non
può.
Tre famiglie diverse in uno
stesso paese, un unico dramma
ad accomunarle, per sempre. Ora per loro un nuovo spiraglio, nuove aspettative. I1
coraggio e il bisogno di ricominciare, si spera, da capo.
di
Fabiana Pacella
|
Dal
Quotidiano di Lecce e dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 10 Luglio 2001
Quotidiano
di Lecce 10 Luglio 2001
Strage,
a settembre in aula la verità del superpentito
Per
la strage di Copertino processo rinviato: se ne riparlerà il 17
settembre. L'ha chiesto il pubblico ministero Patrizia Ciccarese, l'ha
accordato il presidente della Corte d'assise Elio Romano. Motivo:
l'arrivo in aula del boss brindisino, fresco di pentimento, Vito Di
Emidio.
Sarà
lui a raccontare dal vivo le fasi drammatiche di quell'avvenimento
terribile: era il 6 dicembre '99, un commando assassino assaltò due
furgoni della Velialpol con kalashnikov e esplosivi. Alla fine furono
tre vigilantes uccisi e tre feriti, oltre ad un bottino di un miliardo e
ottocento milioni di lire. Per quei fatti sono sottoprocesso due pastori
sardi, Gianluigi De Pau e Pierluigi Congiu. Ma da sabato è in galera
anche il resto del gruppo, acciuffato proprio grazie alle dichiarazioni
di Di Emidio, che guidò di persona quell'assalto armato ai blindati
portavalori: si tratta di Pasquale Tanisi di Ruffano, e Antonio
Tarantini. resta da ammanettare solo l'ultimo componente del gruppo,
quel Marcello Ladu, anche lui sardo, ricercato da tempo per altri fatti
e ora anche per questi. Nell'ordinanza di custodia cautelare eseguita
sabato ricompare anche il nome di Congiu, accusato di aver partecipato
con Ladu, Tarantini, Di Emidio e il brindisino Fabio Maggio all'assalto
che precedette di un mese la strage: quello del 2 novembre, quando tra
Veglie e Leverano fu bloccato un altro furgone Velialpol. In quel caso
tre i feriti e poco più di un miliardo il bottino.
Poco
prima che il processo venisse rinviato, ieri in carcere sono stati
sottoposti ad interrogatorio proprio Congiu, Tanisi e Tarantini. Ad
interrogarli, il gip Vincenzo Scardia, che ha emesso l'ordinanza di
custodia cautelare su richiesta dei sostituti procuratori Patrizia
Ciccarese e Guglielmo Cataldi. Difesi dagli avvocati Elvia Belmonte,
Massimo Bellini e Alfredo Cardigliano, tutti e tre gli indagati si sono
avvalsi della facoltà di non rispondere.
A
fronte di quest'atteggiamento di chiusura, ieri in Assise i due pastori
sardi imputati della strage (vennero arrestati lo stesso giorno
dell'assalto, dopo poche ore) hanno fatto per la prima volta la loro
apparizione in aula. A sentire i difensori (con l'avvocato Belmonte,
anche i legali Pasquale Ramazzotti e Andrea Moreno), un atteggiamento
per dimostrare sicurezza sulla propria innocenza anche di fronte alle
nuove pesanti accuse del boss pentito.
Gazzetta
del Mezzogiorno 10 Luglio 2001
Ieri
l'interrogatorio davanti al gip
Strage
della Grottella, Tacciono i sospettati
Neppure una
parola sulla strage di Copertino (tre guardie giurate
uccise, bottino due miliardi), né sull'assalto al furgone portavalori
della «Velialpol» (tre guardie ferite, bottino 800 milioni), e
tantomeno sulla rapina alla gioielleria «Valzano», di San Pietro
Vernotico (sparatoria con la polizia, bottino due sacchi di preziosi
venduti ai ricettatori di Monteroni e Carmiano per
27 milioni).
Pasquale Tanisi, 38 anni, di Ruffano (assistito
dall'avvocato Alfredo Cardigliano); Antonio
Tarantini, 27, di Monteroni (avvocato Massimo Bellini),
e Pierluigi Congiu, 26, di Melendugno (avvocato
Andrea Moreno, del foro di Bari), si sono avvalsi della facoltà di non
rispondere.
L'interrogatorio reso ieri mattina al giudice delle indagini
preliminari, Vincenzo Scardìa, così, si è aperto e
chiuso nel volgere di una manciata di minuti.
Unitamente al pentito della Sacra Corona, Vito Di Emidio,
al latitante sardo Marcello Ladu, di Nociglia,
ed all'altro isolano di Melendugno, Gian Luigi De Pau,
Tanisi, Tarantini e Congiu, sono accusati di aver fatto parte del commando
che il 6 dicembre del '99, assaltò i due furgoni portavalori della «Velialpol»,
trucidando i tre vigilantes. Ma anche, ora con l'assenza di
uno, ora con l'assenza dell'altro, gli altri due «colpi» di cui s'è
detto.
Che il «gruppo di fuoco» agisse e ragionasse con scaltrezza, gli
investigatori lo avevano capito analizzando le modalità con cui vennero
portati i tre sanguinosi «colpi»; poi, con le dichiarazioni del capo
bastone della Scu noto col soprannome di «Bullone», le considerazioni
sono diventate certezze.
«Badavamo a non usare mai due volte la stessa arma - ha detto
tra l'altro Di Emidio -. Io stesso indossavo sempre un paio di
guanti, ed al posto dei cellulari, utilizzavano le radio
ricetrasmittenti».
Ma che ieri nessuno dovesse aprire bocca, neppure per dichiararsi
innocente o per riferire un qualche alibi, forse neppure il giudice se
lo aspettava. Meno che mai i magistrati titolari delle inchieste sulle
tre rapine: il procuratore aggiunto Cataldo Motta ed i
sostituti Guglielmo Cataldi e Patrizia
Ciccarese.
Nella stessa mattinata, così, l'attenzione si è accentrata sulla sesta
udienza che, per la sola strage di Copertino, vede già sotto processo i
cognati sardi Congiu e De Pau. L'udienza si è aperta e chiusa in breve
tempo, riservando comunque una grossa novità. Su richiesta dei pubblici
ministeri, la Corte d'assise ha dato il via all'ascolto, il prossimo 17
di settembre, del pentito Vito Di Emidio. Lo stesso che con le sue prime
dichiarazioni, ha consentito di scoprire gli autori della strage e delle
altre due rapine.
«Quanto
alla seconda rapina ai furgoni portavalori, l'idea nacque subito dopo
l'esecuzione dell'altra all'altro furgone - ha dichiarato
"Bullone" nell'interrogatorio reso il 7 giugno scorso, a soli
nove giorni dalla cattura, dopo sei anni di latitanza, avvenuta il 28
maggio -. Marcello Ladu mi aveva chiesto di sostituire Fabio Maggio (il
brindisino presente nell'altro assalto) con qualcuno più grintoso
ed affidabile. Anche Tarantini aveva detto che il Maggio andava
sostituito. Io a Brindisi non avevo nessuno da poter chiamare, e nel
basso Salento avevo solo Tanisi. Quest'ultimo, dopo il buon esito della
prima rapina, aveva deciso di unirsi a noi per l'eventuale effettuazione
di un'ulteriore rapina ai furgoni portavalori. Un giorno incontrandoci
con Tarantini e Ladu, l'Antonio ci disse che aveva visto due furgoni
portavalori che effettuavano lo stesso percorso assieme. Venimmo
pertanto invogliati a rapinare contemporaneamente i due furgoni. Fu
così che si decise di unire al gruppo anche Gigi che non so come si
chiama ma che so essere il secondo degli arrestati. In quei giorni
antecedenti la seconda rapina sono andato in più occasioni nella
masseria dove abitavano Gigi e il cognato a Melendugno. Debbo precisare
che ho letto, sui giornali o sui fascicoli processuali, che erano in
possesso di Ladu, che qualche giorno prima della rapina, un carabiniere
li aveva visti uscire dalla masseria a bordo di una Lancia Thema. Io ho
ricollegato quell'avvistamento all'occasione nella quale io, Ladu e
Tanisi eravamo andati da Gigi e suo cognato perché pulissero le armi
che poi avremmo utilizzato per la rapina; in quell'occasione noi
comunque eravamo sempre armati di kalashnikov e fucili».
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