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Dalla Gazzetta del Mezzogiorno e dal Quotidiano di Lecce di Mercoledì 3 Ottobre 2001

Gazzetta del Mezzogiorno

 

«Bullone» supera il controesame della difesa

Assalto al portavalori Velialpol

Di Emidio conferma le accuse

Il controesame della Difesa non scalfisce la qualità delle dichiarazioni rese in aula dal pentito Vito Di Emidio, relative al processo in corso sulla strage della Grottella. Il micidiale assalto contro i due furgoni portavalori della Velialpol, in cui il 6 dicembre di due anni fa vennero trucidate tre guardie giurate ed altre tre restarono ferite.
Alla sbarra in Corte d'assise (presidente Elio Romano, a latere Pietro Silvestri), per ora ci sono soltanto due dei sei componenti il commando che a detta dello stesso Di Emidio, detto «Bullone», organizzò la sanguinosa rapina. Si tratta dei cognati sardi trapiantati in una masseria di Melendugno, Pierluigi Congiu e Gianluigi Depau. I due si sono sempre dichiarati innocenti, e a dare spessore a tale tesi, a suo tempo fornirono anche un alibi. Mentre era in corso la rapina, loro erano intenti a pascolare le pecore.
In loro difesa, ieri mattina sono scesi in campo l'avvocatessa Elvia Belmonte, e due legali del foro di Cagliari. Ma alla raffica di domande, l'ex primula che per sei anni ha imperversato nel Salento col suo «gruppo di fuoco», seminando morte e terrore («Bullone» avrebbe già confessato venti omicidi e più di cento rapine), ha risposto senza mai contraddirsi, e ribadendo anzi quanto dichiarato nel corso dell'udienza in cui venne interrogato dai pubblici ministeri Guglielmo Cataldi e Patrizia Ciccarese, alla presenza del procuratore aggiunto, Cataldo Motta.
Quanto agli altri del commando,Di Emidio ha tirato in ballo se stesso, il latitante sardo Marcello Ladu, un tempo residente a Nociglia; Pasquale Tanisi, di Ruffano, ed Antonio Tarantini, di Monteroni.
Il processo per la strage riprenderà lunedì con l'ottava udienza già programmata per l'ascolto dei testimoni dell'Accusa.
Vale aggiungere, che nel corso dell'udienza di ieri, Di Emidio ha dichiarato che venuto a conoscenza di alcune microspie sistemate nelle auto di alcuni parenti dei cognati sardi finiti sotto inchiesta, lui ed i suoi «compari» pensarono bene di renderle innocue


Quotidiano di Lecce

Di Emidio: «Il mio tesoro? Solo 48 milioni»

 

Sarà come lui dice, e come i riscontri ribadiscono, dei delitti e delle pene inflitte alla gente cui ha deciso di intralciare il cammino e tranciare l'esistenza. Vito Di Emidio, detto "Bullone", alla sua seconda e ultima apparizione in Corte d'Assise per il processo sulla strage della Grottella, ieri è sembrato preciso come lo fu il 17 settembre. tranne che per un particolare: Dov'è finita la cassa, mister "Bullone"?

Prese 315 milioni come quota per la partecipazione all'assalto ai furgoni Velialpol (tre morti il 6 dicembre '99); firmò - come lui dice - «più di cento rapine» (120 sembra siano quelle messe a verbale, tant'è che il pm Guglielmo Cataldi ha ammesso: «I sei mesi che il tempo concede ai pentiti perché dicano tutto quello che sanno ce lo stiamo giocando per questo»); ricevette regali dal suo compare Marcello Ladu per i favori da lui fatti quando s'è trattato di trafficare in droga; e chissà cos'altro ancora. Eppure, immolata la sua fama sinistra sull'altare del pentimento, ha consegnato alla giustizia le briciole.

«Quello che avevo - ha detto ieri in aula davanti al presidente della Corte Elio Romano - lo ha portato mio fratello ai carabinieri: 48 milioni di lire». E il resto? «Ho comprato macchine». Ma non le rubava, lei, le macchine? «Si, ma ho dovuto comprare macchine piccole per potermi spostare, auto pulite che non dessero nell'occhio. E anzi, per stare ancor più tranquillo, sopra ci montavo targhe rubate». Vabbè. E terreni, case, ville: lei non si è intestato nulla, a sé o a parenti stretti? «No, niente. Ho la casa di sempre e basta.». E di tutti i suoi soldi che ne ha fatto? «Ho pagato la latitanza, ho ricompensato chi mi ha ospitato. Queste cose qui».

Per il resto ha spiegato quel che avrebbe fatto se fosse rimasto libero: con Ladu, e per sviare i sospetti dai due pastori sardi Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, per ora unici imputati di questo processo, avrebbe dovuto assaltare altri blindati portavalori: «Abbiamo fatto un tentativo Bari-Brindisi, ma ci è andata male. Pensavamo di riprovare, nel Salento, con gli stessi furgoni della Velialpol, ma non se n'è fatto nulla».

Quanto alle armi della strage, rispondendo alle domande dei difensori, Di Emidio ha detto che a nasconderle è stato Antonio Tarantini, il giovane di Monteroni ora in cella per quel fatto. Infine, "Bullone", en passant, s'è accollato l'omicidio del brindisino Santino Vantaggiato, compiuto in Montenegro nel '98.

Dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 9 Ottobre 2001

Colpo di scena durante l'udienza per la strage della «Grottella»

Un ex sindacalista ospitò Di Emidio

Le spaventose sequenze dell'assalto ai furgoni della Velialpol in cui persero la vita le guardie giurate Raffaele Arnesano, Luigi Pulli e Rodolfo Patera, tutti di Veglie, sono state rivissute ieri mattina in Corte d'assise nel corso dell'ottava udienza del processo per la strage di Copertino.
Lo hanno fatto nel loro sofferto racconto, Giuseppe Quarta, di Copertino (nell'assalto l'uomo ha riportato la lesione del timpano sinistro) e Giovanni Palma, e Flavio Matino di Veglie, i tre sopravvissuti alla pioggia di fuoco, che secondo il pentito Vito Di Emidio sarebbe stata scatenata da lui stesso, dai cognati sardi Pierluigi Congiu e Gianluigi Depau (gli unici attualmente alla sbarra), dal latitante sardo Marcello Ladu, e dai salentini Pasquale Tanisi , di Ruffano ed Antonio Tarantini, di Monteroni.
Ma a tenere banco, è stata la deposizione di Oronzo Campa, di Nociglia, chiamato a deporre dai pubblici ministeri Guglielmo Cataldi e Patrizia Ciccarese.
L'obiettivo dei magistrati, era quello di avvalorare le ipotesi investigative, secondo le quali Di Emidio e Ladu erano legati da un forte vincolo di amicizia, al punto che i due erano pronti a scambiarsi qualsiasi tipo di favore. Come riferiamo qui a lato, anche quello di uccidere.
Ebbene, alle domande dei pubblici ministeri, Campa, un ex iscritto al sindacato Cisl di Tricase, la cui sigla avrebbe più volte utilizzato nell'ambito del suo lavoro di gestore di un Patronato per l'istruzione delle pratiche pensionistiche, avrebbe risposto di aver affittato per due milioni al mese, la sua villetta di Nociglia, proprio ad un amico di Ladu, che si faceva chiamare Antonio. Ma di aver poi cercato di rompere l'accordo, quando, leggendo la Gazzetta, aveva riconosciuto in una foto proprio il latitante brindisino, Vito Di Emidio.
Con la deposizione resa alla Corte d'assise presieduta dal giudice Elio Romano (a latere Pietro Silvestri), si è anche appreso formalmente che Oronzo Campa è indagato per il reato di favoreggiamento.
Il processo proseguirà a fine mese, martedì 30 ottobre, con l'ascolto degli investigatori intervenuti la mattina del 6 dicembre di due anni fa sul luogo della strage.

 

 

Dal Quotidiano di Lecce e dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Mercoledì 24 Ottobre 2001

Quotidiano di Lecce

 

Il Pentito interrompe la collaborazione conla procura di Lecce: «Nessuna garanzia per i miei familiari»

Di Emidio torna a fare il muto

Vito Di Emidio è di nuovo in sciopero. Ha interrotto da alcuni giorni gli interrogatori con i magistrati della procura distrettuale antimafia di Lecce e si dice determinato a non parlare sino a quando la situazione dei suoi familiari non verrà risolta. La notizia, naturalmente coperta dal massimo riserbo, rimbalza dai piani alti del palazzo di giustizia di Lecce e tiene in notevole apprensione gli inquirenti in un momento fondamentale dell'inchiesta e quando ormai sono state redatte centinaia di pagine di verbali. Il pentito è stato chiaro: «Non parlo se non vengono garantite adeguate condizioni di sicurezza ai miei congiunti». Ma Di Emidio chiede di incontrare almeno la famiglia: a quanto pare da mesi sarebbe completamente isolato dalla moglie e dai figli (che sono stati spostati in una località protetta), ma anche dai fratelli e dalle sorelle che invano hanno chiesto di poter incontrarlo nel carcere giudiziario di Lecce.

Finora il ministero non ha fatto scattare alcun piano di protezione né di fatto ha inserito Di Emidio nel programma speciale riservato ai collaboratori di giustizia. E così i 17 parenti (tra genitori, fratelli cognati e nipoti) che due mesi fa hanno presentato alla procura distrettuale antimafia di Lecce una richiesta precisa di protezione, supportata la denuncia relativa ad alcuni presunti agguati che i fratelli dell'ex latitante avrebbero subito, sono ancora a Brindisi e temono ritorsioni. Già un paio di mesi fa Di Emidio interruppe la collaborazione per lo stesso motivo. Chiedeva maggiore attenzione per i congiunti e la possibilità di poterli incontrare. Poi, chiamato per la prima volta a testimoniare in aula (era il processo davanti alla corte d'assise di Lecce per la strage di Copertino) decise di rimettersi a disposizione della procura raccontando per filo e per segno i retroscena della strage e facendo i nomi dei suoi complici.

Domani mattina Di Emidio dovrebbe incontrare il procuratore aggiunto Cataldo Motta: il pentito avrebbe chiesto di vedere il magistrato (con il quale aveva compiuto il grande passo della collaborazione) per spiegare le sue ragioni e per chiedere garanzie. Motta finora ha sempre tenuto il polso molto fermo sospettando forse che "bullone" cerchi di strappare soltanto maggiori benefici. Benefici che la procura antimafia non può assicurare.

 

di Gianmarco Di Napoli


Gazzetta del Mezzogiorno

 

I pubblici ministeri chiedono l'incidente probatorio dopo le rivelazioni del pentito
«Testimoni a rischio, raccogliamo le prove»

«Cristallizzare» le dichiarazioni per evitare ripensamenti dovuti a minacce o violenze
E subito un esame biologico su un capello trovato nel furgone dell'assalto


I testimoni della strage di Copertino sono a rischio e i magistrati s'affrettano a raccogliere le prove. C'era un piano per eliminare due testimoni «scomodi». Lo ha confessato Vito Di Emidio rivelando di averne atteso uno sotto casa e di aver cercato l'abitazione dell'altro. Così i sostituti procuratori Guglielmo Cataldi e Patrizia Ciccarese hanno presentato la richiesta di un incidente probatorio. Vi è, insomma, la necessità di acquisire subito testimonianze e prove perché fra gli inquirenti vi è il fondato motivo che i testimoni possano essere esposti a violenza o minaccia e che quindi, nel corso del dibattimento, possano deporre il falso o non deporre affatto. L'incidente probatorio consente di raccogliere le prove nella fase preliminare per poi utilizzarle nel processo. Stringono i tempi, dunque, per il secondo troncone sulla strage di Copertino, aperto dopo la confessione-fiume di Vito Di Emidio. L'ex imprendibile si è autoaccusato e ha fatto i nomi dei componenti del commando che la mattina del 6 dicembre del '99 ha assaltato con bombe ed kalashnikov, compiendo una vera e propria azione di guerriglia, due portavalori della Veliapol lasciando sul campo tre vigilantes morti ed altrettanti feriti. Oltre ai due sardi Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau (arrestati poche ore dopo il sanguinoso assalto ed ora alla sbarra in Assise), Di Emidio ha tirato in ballo il latitante sardo Marcello Ladu, 28 anni, residente a Nociglia; Pasquale Tanisi, 38 anni, di Ruffano; Antonio Tarantini, 27 anni, di Monteroni.
L'incidente probatorio oltre ad acquisire le dichiarazioni dei testimoni dovrebbe servire anche all'espletamento di alcuni accertamenti istruttori che, se disposti durante il dibattimento, comporterebbero una sospensione superiore ai 60 giorni. L'accertamento riguarda una comparazione del Dna e serve a far luce sull'assalto al portavalori della Velialpol avvenuto il 2 novembre del 99 sulla provinciale Veglie-Leverano. Di Emidio ha ammesso la paternità dell'assalto ed ha indicato come suoi complici Ladu, Tarantini, Tanisi, Congiu e Fabio Maggio, 27 anni, di Brindisi. La perizia biologica chiesta dall'Accusa consiste nel confronto fra il Dna di Tarantini, Maggio, Congiu e Ladu (individuato dopo il prelievo di materiale biologico) e quello isolato dalla formazione pilifera prelevata sul deflettore del furgone Fiat Om 55 utilizzato dai rapinatori per compiere l'assalto. L'esame sui reperti rilevati nel camion è stato eseguito dagli investigatori in camice bianco della polizia scientifica di Roma. Alla prova i magistrati riservano grande interesse. Offrirebbe, infatti, un importante riscontro alle dichiarazioni di Vito Di Emidio che ha accusato Tarantini di essere stato alla guida del camion.
La richiesta di incidente probatorio è stata consegnata nei giorni scorsi all'Ufficio del Giudice delle indagini preliminari. I sostituti procuratori fra gli accertamenti istruttori da eseguire hanno inserito anche l'esame di Vito Di Emidio e di Oronzo Campa che a Nociglia, con la complicità di Marcello Ladu, avrebbe fornito un riparo sicuro al latitante brindisino. Sono cinque i testimoni di cui i magistrati hanno chiesto l'ascolto: ci sono anche quelli che la banda Di Emidio aveva deciso di eliminare per il contributo offerto agli investigatori. Nella richiesta di incidente probatorio rientra anche la rapina alla gioielleria Valzano di San Pietro Vernotico.
Gli indagati sono difesi dagli avvocati Elvia Belmonte, Luigi Corvaglia, Stefano Maggio, Alfredo Cardigliano, Francesca Conte, Giuseppe Bonsegna e Antonio Romanello.

di Gianfranco Lattante

 

Dal Quotidiano di Lecce di Mercoledì 14 Novembre 2001

Di Emidio pretende: «Fuori tra 5 anni altrimenti non parlo» 

Probabilmente Vito Di Emidio sarà anche assillato dalla preoccupazione per l'incolumità dei suoi familiari i quali, a parte moglie e figli, sono ancora a Brindisi e senza alcuna protezione istituzionale. Ma dai corridoi della procura distrettuale antimafia di Lecce emerge un'altra verità, comunque congrua alla caratura del personaggio. E cioè che il continuo tira e molla cui il pentito sta sottoponendo magistrati e investigatori, interrompendo periodicamente la sua disponibilità a parlare, sia legato a una trattativa in atto - trattativa per altro unilaterale in quanto non avrebbe trovato sponda alcuna da parte della procura - per ottenere un forte sconto di pena e riacquisire la libertà in tempi ragionevolmente limitati.

Si dice che il boss pretenda, per continuare a parlare, la garanzia di essere scarcerato entro e non oltre cinque anni. Ossia quando ne avrebbe 39. Una pretesa che cozza profondamente con quanto previsto dalla legge sui collaboratori di giustizia la quale impone che essi abbiano scontato almeno un terzo della pena prima di tornare liberi. E quindi ipotizzando, con i venti omicidi accumulati, una condanna a non meno di trent'anni, ecco che Di Emidio non dovrebbe lasciare il carcere prima del 2011. I margini per la trattativa sono quindi piuttosto limitati ma "Bullone" non molla ben sapendo che le sue dichiarazioni sono fondamentali per la risoluzione di alcuni dei gialli più sanguinosi degli ultimi anni, compresa la strage di Copertino con i suoi tre vigilantes ammazzati. O come l'uccisione del presidente del1'Assindustria di Brindisi, Francesco Guadalupi. Nel frattempo Di Emidio sembra non voler indispettire i magistrati: in tutte le udienze nelle quali è stato chiamato a deporre per confermare le accuse sottoscritte nel corso degli interrogatori  ha sempre risposto. Persino quando è stato chiamato a testimoniare collegato in videoconferenza con un'aula del Tribunale di Lanusei (Sardegna). E prossimamente comparirà in aula a Brindisi nel processo per
l'omicidio di Eugenio Carbone. Sempre che non decida un ulteriore periodo di riflessione. Forse proprio per questo non gli è stato ancora riconosciuto lo status di collaboratore di giustizia. 

 

di Gianmarco Di Napoli

 

 

Dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Martedì 18 Dicembre 2001

In manette la «primula rossa» della strage, l'ultimo uomo accusato dell'eccidio della Grottella ancora in libertà.

Catturato Marcello Ladu dopo due anni di latitanza

E il sardo potrebbe comparire in aula già alla prossima udienza prevista per venerdì. Ad incastrarlo, il suo amico più fidato, quel Di Emidio, oggi pentito .

E' finita dopo due anni la latitanza del sardo Marcello Ladu, 28 anni, nativo di Villagrande Strisuali, in provincia di Nuoro, ma per anni residente in una masseria ubicata nelle campagne di Nociglia.
Il super latitante accusato di aver fatto parte del commando che il 6 dicembre di due anni fa assaltò sulla Copertino-San Donato i due furgoni portavalori della Velialpol, trucidando tre guardie giurate, è stato acciuffato nella sua stessa isola.
L'arresto è stato messo a segno l'altra sera attorno alle mezzanotte, dagli agenti della Squadra mobile di Nuoro, che lo hanno fermato per un controllo su strada.
Alla vista dei poliziotti, Ladu, che si trovava a bordo di una utilitaria guidata da un compaesano, ha tentato di fuggire. Ma gli uomini in divisa non gli hanno dato neppure il tempo di organizzare la fuga, né di usare le armi che aveva con sé. Due pistole con i relativi caricatori: più esattamente una calibro 9 ed una Smith and Wesson 357 magnum. Assieme alle armi, sulla vettura sono stati recuperati passamontagna, guanti e grimaldelli, che presumibilmente, il latitante ed il suo «compare» dovevano utilizzare per mettere a segno un furto o fors'anche una rapina.
Ricercato dal 9 dicembre del '99 allorché venne colpito da un'ordinanza di custodia cautelare per traffico di droga tra la Sardegna ed il Salento, oltre che della strage di Copertino, Marcello Ladu è accusato di un altro assalto ad un furgone dello stesso istituto di vigilanza Velialpol, nonché della rapina alla gioielleria «Valzano», di San Pietro Vernotico, cui seguì un conflitto a fuoco con i carabinieri.
Ma quello che un tempo era il suo amico più fidato, Vito Di Emidio, di Brindisi, ora collaboratore di giustizia, lo ha tirato in ballo in un elenco davvero incredibile di altre malefatte. Un centinaio tra rapine e furti messi a segno nelle province di Lecce e Brindisi, ma anche di gravi fatti di sangue, quali l'omicidio del tuturanese Giuseppe Scarcia, il cui cadavere venne fatto ritrovare proprio dal pentito, l'8 giugno scorso.
Come che sia, l'ormai ex super latitante, potrebbe comparire in aula già il prossimo 27 di dicembre, in occasione dell'udienza relativa all'incidente probatorio richiesto dai difensori degli altri presunti partecipanti alla strage, gli avvocati Elvia Belmonte, Giuseppe Bonsegna, Alfredo Carigliano e Luigi Corvaglia. Che oltre ai cognati sardi Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, già alla sbarra in Corte d'assise (la prossima udienza a loro carico è prevista per venerdì), assieme allo stesso Di Emidio, sono Antonio Tarantini, di Monteroni, e Pasquale Tanisi, di Ruffano.

 

 

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