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Dal Quotidiano di Lecce e dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Mercoledì 19 Dicembre 2001

Quotidiano di Lecce

 

Verrà interrogato questa mattina in Sardegna l'ex superlatitante

Ladu, primo appuntamento con il giudice

Commando colpito e affondato; l'ultimo superlatitante preso e arrestato a Nuoro, praticamente in casa sua, sebbene abbia residenza nel Basso Salento, a Nociglia. Così del gruppo di fuoco che i 6 dicembre '99 fece strage di due furgoni della Velialpol, uccidendo tre vigilantes e ferendone altri  tre, tutto per un miliardo e 800 di bottino, nessuno è più in libertà. Marcello Ladu, 28 anni, di Villagrande Strisaili, paesino nel Nuorese da cui provengano i primi due sardi arrestati per quella strage, i pastori trapiantati a Melendugno Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, è stato acciuffato intorno alla mezzanotte di domenica sera. E questa mattina verrà interrogato dal gip del Tribunale di Nuoro, anche per rogatoria sulle inchieste che lo riguardano a Lecce.

Ladu era con un amico, Carlo Olianas, 28 anni, sardo anche lui, nel centro cittadino: ad un controllo della polizia ha cercato di fuggire prima con la Golf guidata dal compagno e poi a piedi.  Il suo arresto arriva sei mesi dopo la cattura di un altro componente del gruppo, superlatitante anche lui, il boss brindisino Vito Di Emidio, pentitosi poco dopo.

Domenica a mezzanotte, al momento dell'arresto, il latitante sardo aveva con se una radio scanner, due pistole (una calibro 9 e una 357 Magnum) e un passamontagna. Nessuno torna in vita dei morti che questa banda di criminali ha sparso nel Salento. Ma una giustizia deve esserci se i killer sono finiti tutti dentro.

Ladu è accusato della strage ma anche di altre due rapine: quella compiuta il 2 novembre del '99 sulla Veglie-Leverano, ai danni ancora di un furgone Velialpol (un miliardo e due di bottino, tre i vigilantes feriti), e quella del 26 successivo alla gioielleria Valzano di San Pietro Vernotico (300 milioni). Ma al giovanotto è contestato anche il traffico di droga tra l'Albania e la Sardegna, via Salento. Per questo fatto doveva essere arrestato tre giorni dopo la strage, il 9 dicembre; la fece franca perché il disastro compiuto poche ore prima aveva consigliato a lui, e anche a Vito Di Emidio, di cambiare aria per un pò. Sicché di lui si sono perse le tracce. E' indagato anche per l'omicidio di Giuseppe Scarcia, prelevato in maggio dalla propria abitazione di Tuturano e trovato cadavere qualche settimana dopo.

Ladu, Di Emidio, Congiu, De Pau e anche i salentini Pasquale Tanisi, di Ruffano, e Antonio Tarantini, nato a Copertino e residente a Monteroni: se le accuse corrispondono a verità, eccolo il gruppo di fuoco che il 6 dicembre di due anni fa uccise Luigi Pulli, Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano, le tre guardie giurate della Velialpol. Con poche varianti negli altri due colpi: il 2 novembre non ci furono De Pau e Tanisi, ma partecipò il brindisino Fabio Maggio; il 26 mancarono all'azione tutti e tre.

Su cosa fossero capaci di compiere, Di Emidio è stato fin troppo chiaro. La strage, per esempio. Dal verbale di "Bullone":

«L'idea nacque subito dopo il primo assalto ai furgoni. Marcello Ladu mi aveva chiesto di sostituire Fabio Maggio con qualcuno più grintoso. Nell'assalto due Kalashnikov erano miei, due di Marcello Ladu e uno di Antonio Tarantini. Quest'ultimo conduceva il camion e aveva con sé una pistola e un Kalashnikov; io ero sulla 164 con kalashnikov, pistole e fucili; Ladu a bordo della jeep armato di kalashnikov e una pistola; Gigi Congiu con la Saab; Tanisi e il cognato di Gigi con me».

Ma l'idea iniziale dei colpi ai portavalori fu proprio di Ladu.

«Marcello - dice ancora Di Emidio - mi aveva proposto di effettuare delle rapine ai furgoni blindati. Non avevo mai fatto tale genere di rapine e non so se Ladu ne avesse mai fatte, anche se immagino che in Sardegna possa aver avuto qualche esperienza del genere. Decidemmo io e lui di comporre il gruppo».

Esperto di rapine, a prescindere dal genere, Ladu sembra essersi distinto nell'assalto del 26 novembre '99 alla gioielleria Valzano, a San Pietro Vernotico. Ancora Di Emidio: «Usciti dal negozio, siamo saliti a bordo dell'Alfa 164 guidata da me. Dopo pochissimi metri abbiamo visto che arrivavano i carabinieri; feci retromarcia e andai in direzione opposta. Ladu con il kalashnikov nel frattempo aveva sparato per dissuadere i carabinieri».

 

Il 27 potrebbe essere a Lecce

II processo per la strage della Grottella, in cui per ora unici imputati sono i pastori sardi Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, riprenderà il  21dicembre, con il conferimento di incarico per la trascrizione e traduzione delle intercettazioni in carcere. Quanto all'inchiesta che vede indagati Marcello Ladu, Vito Di Emidio, Pasquale Tanisi e Antonio Tarantini per quell'episodio e per altre due rapine (ad un blindato sulla Veglie-Leverano, nel novembre 1999, e ad una gioielleria di San Pietro Vernotico, pochi giorni dopo, fatti in cui sono coinvolti lo stesso Congiu e Fabio Maggio), l'incidente probatorio riprenderà il 27 dicembre. Per Ladu, come per altri, è stato chiesto l'esame del Dna per il confronto con un capello recuperato nel camion usato nell'assalto ad un portavalori del novembre '99. Il gip Vincenzo Scardia chiederà la traduzione di Ladu, ora recluso in Sardegna; l'indagato potrebbe anche rifiutarsi. Nella stessa udienza si valuterà la richiesta della difesa di acquisire i verbali di visita in carcere per verificare se Di Emidio sia stato "pilotato" nel suo pentimento.  


Gazzetta del Mezzogiorno

Inviata la rogatoria per Ladu,  Il superlatitante in udienza il 27

Sarà interrogato sulla strage della Grottella che gli è stata contestata

Nel carcere di Nuoro, Marcello Ladu dovrà rispondere anche alle domande sulla strage di Copertino. Il gip Vincenzo Scardia ha inviato la rogatoria al suo collega sardo per l'interrogatorio dell'ex primula rossa. Nei suoi confronti, infatti, su richiesta dei magistrati della Dda leccese, è stata emessa un'ordinanza di custodia per la strage del 6 dicembre del 99, l'assalto al furgone della Veliapol compiuto un mese prima e la rapina alla gioielleria di Valzano di San Pietro Vernotico.
Per gli stessi episodi è in corso di svolgimento l'incidente probatorio davanti al gip Scardia per cristallizzare le prove. La prossima udienza è prevista per il 27 dicembre. E per quel giorno, sarà disposta anche la traduzione, di Marcello Ladu.
Il sardo, che per anni ha vissuto in una masseria nelle campagne di Nociglia, era ricercato dal 99. Sul suo capo pendeva anche un'altra ordinanza di custodia cautelare emessa nell'ambito dell'operazione «Aurora» perché collegato in un traffico di droga. Ma i guai maggiori per l'ex latitante sardo, di 29 anni, sono venuti dai pentiti. Nell'isola un collaboratore di giustizia ha raccontato che Ladu aveva intenzione di uccidere un magistrato sardo. Nel Salento è stato Vito Di Emidio che, dopo la decisione di pentirsi, ha raccontato ai magistrati le scorribande (rapine, furti e sparatorie) compiute nel Salento. E proprio in compagnia di Ladu era Vito Di Emidio la sera della cattura dopo un drammatico inseguimento conclusosi con uno schianto contro il guard rail.

Dal Quotidiano di Lecce di Giovedì 20 Dicembre 2001 e dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Sabato 22 Dicembre 2001

Quotidiano di Lecce

Ladu, la prima volta di silenzio davanti al giudice

Interrogato ieri mattina dal gip del tribunale di Nuoro, Marcello Ladu ha preferito avvalersi della facoltà di non rispondere. Doveva essere convalidato l'arresto del superlatitante, bloccato nel centro della città sarda con due pistole, ed è stato fatto. Oggi verrà ascoltato per l'ordinanza di custodia cautelare che lo inseguiva dal 9 dicembre '99, traffico di droga tra la Sardegna ed il Salento; domani, invece, appena il tempo di ricevere le carte da Lecce, verrà ascoltato per rogatoria in merito alle accuse più pesanti: aver partecipato all'assalto del 6 dicembre '99 a due furgoni della Velialpol, tra Copertino e San Donato, che costò la vita a tre guardie giurate; a quello del 2 novembre precedente ad un altro blindato (tre feriti) e alla rapina compiuta nello stesso periodo alla gioielleria Valzano, di San Pietro Vernotico. E il 27 dicembre potrebbe essere a Lecce per l'incidente probatorio su quei fatti.


Gazzetta del Mezzogiorno

 

Infruttuosa la trasferta del Pm in Sardegna

Ladu tace davanti ai giudici
Fra una settimana a Lecce per una nuova udienza?

E' stata infruttuosa la trasferta in Sardegna per Guglielmo Cataldi, il pm della Direzione distrettuale antimafia che sta istruendo il processo per la strage di Copertino. Marcello Ladu, il latitante braccato l'altra sera a Nuoro, non ha aperto bocca e si è avvalso della facoltà di non rispondere. Declinate le proprie generalità non ha proferito più nemmeno una parola. Ladu è accusato di aver partecipato all'assalto ai due furgoni della Velialpol. Ad accusarlo è Vito Di Emidio, con il quale per anni ha condiviso le scorribande criminali in giro per il Salento. I due erano insieme anche la sera in cui Di Emidio è stato braccato dai carabinieri dopo uno spericolato inseguimento conclusosi con un drammatico schianto. Fra una settimana Ladu potrebbe essere a Lecce. Per giovedì 27, infatti, è stata fissata una nuova udienza dell'incidente probatorio deciso nell'inchiesta-bis per la strage.
Intanto, ieri mattina nell'aula della Corte d'Assise era in corso la dodicesima udienza del processo a Gianluigi De Pau e Pierluigi Congiu. La Corte ha affidato l'incarico ad un perito sardo di riportare le conversazioni intercettate in carcere.

Dal Quotidiano di Lecce di Venerdì 28 Dicembre 2001

Incidente probatorio

Ladu non compare in aula

 

S'è chiusa ieri mattina, con le ultime domande rivolte dal pubblico ministero, la deposizione dell'ex boss brindisino Vito Di Emidio, da sei mesi collaboratore di giustizia, nell'incidente probatorio sull'inchiesta processuale nata dalle sue dichiarazioni. Poteva essere il giorno del grande incontro, ora da nemici dopo essere stati a lungo compari in rapine, attentati e omicidi, ma non lo è stato: uno degli indagati tirati in ballo da "Bullone" (soprannome di Vito Di Emidio), il sardo Marcello Ladu, ha rinunciato a comparire in aula, come invece gli era stato chiesto di fare dal giudice per le indagini preliminari Vincenzo Scardia.

Accusato di aver partecipato alla strage della Grottella e ai due assalti precedenti, Ladu è stato arestato nella sua città, Nuoro, la settimana scorsa.

Finito l'interrogatorio di Di Emidio, l'udienza di incidente probatorio è stata aggiornata a marzo.

Dal Quotidiano di Lecce di Martedì 29 Gennaio 2002

Svolta nelle indagini sulla strage della Grottella: Il Dna accusa Tarantini

Da un capello l'accusa più forte

«Lui l'uomo degli assalti feroci»

 

Il Dna parla chiaro: dà solo lo 0,1 per cento di possibilità di errore quando accusa; la certezza, invece, quando scagiona. Ma stavolta accusa, e per gli indagati dei feroci assalti portati nel '99 ai blindati Velialpol dalla banda Di Emidio è buio pesto: le accuse a loro carico diventano sempre più pesanti. Per dire: Vito Di Emidio, un tempo capobanda e ora pentito, dice che nel primo assalto (2 novembre, traVeglie e Leverano) c'era il monteronese Antonio Tarantini a guidare il camion usato per speronare il furgone colmo di denaro? Ecco il Dna a dargli ragione: il raffronto tra un capello recuperato dal finestrino del mezzo pesante e il sangue dell'indagato è positivo. Quel capello è suo. Il deposito della perizia da parte dell'esperto della polizia scientifica, il dirigente superiore biologo Aldo Spinella, è avvenuto pochi giorni fa. Per le indagini una vera svolta, paragonabile al pentimento di Di Emidio nella scorsa primavera. Perché se finora sono state decisive le dichiarazioni del collaboratore di giustizia ad avviare le indagini, per affrontare i processi occorrono elementi certi. E il Dna lo è. Non solo per l'inchiesta sull'assalto del 2 novembre, ma soPrattutto per quella sulla strage della Grottella (6 dicembre successivo, uccise tre guardie giurate) e anche per l'inchiesta sulla rapina alla gioielleria  Valzano (il 26 novembre dello stesso anno): stessa strategia, stesse armi. E poi le parole dell'ex boss a cementare tutio. Sotto accusa per i tre fatti sette persone: con Di Emidio e Tarantini, anche Tanisi di Ruffano; Fabio Maggio di Bnndisi; Marcello Ladu, Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, sardi tutti e tre, gli ultimi due sotto processo in Assise nel primo dibattimento avviato sull'episodio sanguinoso del 6 dicembre '99.

L'esperto biologo verrà ascoltato nella prossima udienza dell'incidente probatorio in corso davanti al gip Vincenzo Scardia e attivato dalla richiesta dei pm Guglielmo Cataldi e Patrizia Ciccarese. Poi le indagini preliminari verranno chiuse. Quasi superfluo, a questo punto, chiedersi come.

Dalla Gazzetta del Mezzogiorno e dal Quotidiano di Lecce di Martedì 19 Marzo 2002

Gazzetta del Mezzogiorno

 

Un collaboratore di giustizia ascoltato in videoconferenza nel processo a carico di Congiu e De Pau

L'andriese Salvatore Lovaglio accusa apertamente un suo concittadino

Strage, un pentito «scagiona» i pastori sardi

 

Un pentito barese smentisce Vito Di Emidio e scagiona Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau. Salvatore Lovaglio, 46 anni, di Andria, collaboratore di giustizia non ancora sottoposto a protezione, ha conquistato ieri mattina il proscenio dell'aula della Corte d'Assise dove si sta celebrando il processo per la strage di Copertino.
Il pentito ha escluso la responsabilità dei due sardi: «Sono estranei all'accaduto poiché se così non fosse stato sarebbero già stati uccisi» ed ha accusato Riccardo Petruzzelli, andriese di circa 40 anni, ritenuto un elemento vicino agli ambienti del clan mafioso di Salvatore Annacondia. La «verità» di Lovaglio è un'arma che la difesa vuole giocarsi sino in fondo ed ha già chiesto ai giudici di convocare per una delle prossime udienze Riccardo Petruzzelli. I due sardi sono entrati nelle indagini sulla strage di Copertino poche ore dopo il sanguinoso assalto ai furgoni. All'interno della loro masseria venne trovata l'auto che sarebbe stata usata dai rapinatori. Poco dopo sono giunti altri elementi che hanno contribuito a render ancora più scomoda la posizione di Congiu e De Pau. L'estate scorsa, poi, sono arrivate le confessioni fiume di Vito Di Emidio che ha tirato in ballo in due sardi per la strage della Grottella, indicandoli fra i suoi complici.
Di diverso tenore le dichiarazioni di Lovaglio, rese nel marzo del 2000 alla Squadra mobile di Roma, e confermate in videoconferenza ai giudici della Corte d'Assise presieduta dal dottor Elio Romano. L'Accusa (ieri era sostenuta dal pm Patrizia Ciccarese) ritiene le dichiarazioni di Lovaglio poco attendibili e basate su congetture personali. «Petruzzelli - ha raccontato Lovaglio - è uno specialista nell'assalto ai furgoni portavalori che compie unitamente ad altri rapinatori leccesi e brindisini di cui, però, non so fornire indicazioni». Che Petruzzelli abbia a che fare con la strage di Copertino è una deduzione di Lovaglio, scaturita da una serie di elementi. Il primo è legato ad un giubbotto antiproiettile. «Prima della rapina - ha riferito Lovaglio - chiesi a Petruzzelli il giubbotto, ma mi disse che non me lo poteva prestare in quanto gli occorreva per un grosso lavoro dalle parte di Lecce, che era programmato da diversi mesi. Alla fine me lo prestò, ma il giorno precedente alla rapina mi disse che entro sera gli avrei dovuto portare il giubbotto perché gli serviva». Nel corso di un colloquio, poi, Petruzzelli sarebbe stato più esplicito. Ecco il racconto di Lovaglio. «Mi fece intendere che nel corso della rapina le cose non erano andate come previsto perché forse era cambiato l'autista che guidava il furgone. Se ne fosse valsa la pena di uccidere tre persone per spartirsi pochi soldi, Petruzzelli aggiunse che i soldi sarebbero dovuti essere stati molti di più, ma che comunque la somma non era stata divisa fra tutti i componenti dell'assalto perché qualche poveraccio non si è presa la sua parte perché già non ci sta più».
Lovaglio ha accusato Petruzzelli anche dell'assalto al portavalori della Velialpol compiuto il 2 novembre del 2000: «Qualche giorno dopo la rapina mi disse: Compà, ti è piaciuto il pupo che hanno fatto laggiù?. Da questo - ha aggiunto - ho intuito la sua partecipazione all'assalto».


Quotidiano di Lecce

 

Grottella, un pentito contro l'altro

 

Pentiti contro. Nel processo sulla strage della Grottella la novità arriva in videoconferenza da chissà dove ma non certo da chissà chi. A parlare, ieri in collegamento con l'aula della Corte di assise di Lecce, dove si celebra il processo ai pastori sardi Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, per ora gli unici due imputati a giudizio per l'uccisione dei tre vigilantes della Veliapol, è il collaboratore di giustizia Salvatore Lo Vaglio, 47 anni, di Andria. Chiamato a deporre dagli avvocati difensori Elvia Belmonte e Pasquale Ramazzotti, il pentito ha smentito le dichiarazioni del "collega" Vito Di Emidio, che quell'assalto armato capeggiò.

Secondo Lo Vaglio, che ai giudici ha raccontato quel che lui avrebbe saputo da altri sulla strage, all'azione sanguinosa non avrebbero partecipato i due sardi finiti sotto processo e arrestati lo stesso giorno della rapina (6 dicembre '99), mentre vi avrebbe preso parte un suo concittadino, Riccardo Petruzzelli, 40 anni, ritenuto vicino ai gruppi malavitosi della Scara corona unita, e in particolare ai boss storici Gianni De Tommasi e Pino Rogoli.

Lo Vaglio avrebbe saputo del suo coinvolgimento per via di un giubbotto anti-proiettile che Petruzzelli avrebbe dovuto usare per un'azione nel Salento, in quel mese di dicembre.

I difensori di Congiu e De Pau hanno chiesto l'ascolto in aula dell'uomo. I giudici si sono riservati la decisione.

Dal Quotidiano di Lecce e dalla Gazzetta del Mezzogiorno di Domenica 21 Aprile 2002

Quotidiano di Lecce

Ieri mattina la richiesta di condanna per i due pastori sardi implicati nell'assalto alla Velialpol

«Ergastolo per i Killer della Grottella»

 

La pubblica accusa ha chiesto l'ergastolo per i due pastori sardi imputati nel processo per la strage della Grottella, alla periferia di Copertino. I pubblici ministeri Guglielmo Cataldi e Patrizia Ciccarese hanno impiantato il teorema accusatorio sulle rivelazioni del boss pentito Vito Di Emidio.

 

L'accusa non ha avuto dubbi: ergastolo. Il carcere a vita per aver partecipato alla sanguinosa rapina ai due portavalori della Velialpol - bottino un miliardo e 800 milioni di lire - ma soprattutto per aver provocato la morte di tre guardie giurate: Raffaele Arnesano, Rodolfo Patera e Luigi Pulli ed il ferimento di  altre tre, Giovanni Palma, Giuseppe Quarta e Flavio Matino.

Implacabile al termine di una lunga requisitoria, tenuta ieri mattina nell'aula della Corte d'Assise di Lecce, è giunta la richiesta dell'accusa: i sostituti procuratori Patrizia Ciccarese e Guglielmo Cataldi, della Direzione distrettuale antimafia. Sul banco degli imputati i pastori sardi Gianluigi De Pau e Pierluigi Congiu - difesi dagli avvocati Pasquale Ramazzotti, per entrambi, ed Elvia Belmonte, per il solo De Pau - due dei componenti del commando armato che la mattina del 6 dicembre del '99, lungo la Copertino-San Donato diede l'assalto ai due blindati.

I1 massimo della pena per aver provocato la morte di tre persone, gettando nella disperazione tre famiglie.

«Quella mattina, ha sottolineato Cataldi- tre uomini, Arnesano Patera e Pulli, si sono svegliati di buon'ora e si sono recati al lavoro così come avevano sempre fatto, senza immaginare nemmeno lontanamente che non avrebbero mai più fatto ritorno a casa».

Tre pedine finite per caso nel piano criminale di un gruppo di banditi.

Nessun dubbio, circa la reale responsabilità dei due imputati. Determinanti nella costruzione dell'intero impianto accusatorio le dichiarazioni di Vito Di Emidio, il boss brindisino ora collaboratore di giustizia. Sono state le dichiarazioni rese in aula dal pentito ad inchiodare i due pastori sardi. Senza incertezze, con dovizia di particolari, "Bullone", imputato in un procedimento connesso, ha ripercorso tutti gli avvenimenti: dall'ideazione del colpo sino al giorno della strage.

Affermazioni veritiere o solo maneggi dell'ex primula rossa della Scu che cerca di ottenere uno sconto di pena? Sono troppo precise le affermazioni di Di Emidio - ha detto il pm Cataldi - troppo minuziose le descrizioni dei luoghi, impossibile dubitare che provengano da chi quei momenti li ha realmente vissuti. L'incontro con Marcello Ladu: è lui a fargli conoscere i due cugini sardi. Poi la descrizione della masseria "Il Capitano", quasi un'istantanea del luogo, il trattore, poco distante un motoscafo. Bullone è sincero afferma Cataldi, quale interesse avrebbe ad auto accusarsi di un crimine tanto efferato: con grande freddezza -ha ricordato Cataldi - "Bullone" ha confidato ai giudici di confessare per potersi così avvalere dei vantaggi forniti dalla legge sui pentiti. Ma le verità di Di Emidio sono pesanti: con le sue parole l'ex boss brindisino stringe il cerchio intorno ai due imputati.

Ma prima ancora delle affermazioni di "Bullone", ad incastrare i due sardi sono state alcune testimonianze rese in aula, come ha sottolineato il sostituto procuratore Patrizia Ciccarese. L'etnia sarda, l'amicizia con Marcello Ladu, la stessa disponibilità dei luoghi, - all'interno della masseria Santa Chiara è stata rinvenuta 1'Alfa 164 utilizzata durante la rapina - tutti gli elementi concordano nel dimostrare la responsabilità di De Pau e Congiu.

La parola è passata alla parte civile rappresentata dall'avvocato Gaetano Gorgoni che ha sottolineato come la responsabilità dei due emerga dal quadro complessivo dell'intera vicenda.

Sarà poi la volta della difesa nell'udienza fissata per il 29 aprile. Parleranno l'avvocato Elvia Belmonte e Pasquale Ramazzotti. I giudici poi si riuniranno in Camera di Consiglio per emettere la sentenza.

 

di Va. Be.


I commenti di Romina Iaccovelli, vedova di Raffaele Arnesano

«Una giusta pena per quegli assassini»

 

«Il pm e gli avvocati hanno dimostrato le responsabilità dei due pastori sardi, la pena chiesta è giusta».

Parole pronunciate da Romina Iacovelli, la moglie della guardia giurata Raffaele Arnesano ucciso  il 6 dicembre del 1999 insieme ai colleghi Luigi Pulli e Rodolfo Patera, dopo aver ascoltato il pubblico ministero Guglielmo Cataldi chiedere l'ergastolo per Gianluigi De Pau e Pierluigi Congiu.

La vedova di Arnesano ha subito aggiunto: «La giustizia deve fare il suo corso, ma non ci sarà mai nessuna condanna capace di alleviare il nostro dolore. La sofferenza resta dentro, perché non riusciremo mai ad accettare che qualcuno sia stato capace di privarci dei nostri cari solo per compiere una rapina».

E al dolore delle famiglie delle guardie giurate uccise ha fatto riferimento il pubblico ministero Guglielmo Cataldi rivolgendosi ai giudici popolari e a quelli togati per chiedere di condannare all'ergastolo i due pastori.

Parole che hanno aperto una breccia nel cuore straziato dal dolore di Romina Iacovelli: «Ho voluto essere qui, ma non so se riuscirò a sopportare ancora la tensione e l'emozione che mi scatenano queste udienze. Non ho visto i parenti delle altre vittime, ma li capisco: proverò a seguire le altre udienze, ma è difficile, non riesco nemmeno a tenermi in piedi per lo strazio».

E le parole del pm non potevano che scatenare emozione, e anche rabbia, quando hanno fatto riferimento a quelle tre guardie giurate che la mattina del 6 dicembre del 1999 si sono alzate presto la mattina per andare al lavoro: ma non hanno fatto più rientro a casa. «Purtroppo io e Raffaele non avevamo figli», aggiunge la Iacovelli mentre lascia l'aula. «Un bambino oggi darebbe senso alla mia vita».

 

di E. M.


Dal 29 aprile parola ai difensori

 

La Corte d'Assise presieduta da Elio Romano (a latere Andrea Lisi) ha fissato al 29 aprile la prossima udienza del processo a carico di Gianluigi De Pau e Pierluigi Congiu.

Dopo le requisitorie tenute ieri dai pubblici ministeri Patrizia Ciccarese e Guglielmo Cataldi, e dall'avvocato Gaetano Gorgoni, la parola passerà ai legali dei pastori sardi.

Elvia Belmonte e Pasquale Ramazzotti cercheranno di smontare il teorema accusatorio della pubblica offesa per scagionare i loro assistiti o perlomeno per mitigare la richiesta dell'ergastolo.

La Corte d'Assise, di cui fanno parte anche i giudici popolari, potrebbero emettere la sentenza nella stessa giornata.

Il processo sulla strage della Grottella vede inoltre imputato nello steso procedimento Vito Di Emidio, mentre stanno seguendo un altro iter Marcello Ladu, Pasquale Tanisi e Antonio Tarantini.


Gazzetta del Mezzogiorno

 

I pm Guglielmo Cataldi e Patrizia Ciccarese hanno concluso la requisitoria invocando il carcere a vita per Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau

«La strage fu premeditata perché volevano i soldi a tutti i costi»

«Condannate i due sardi all'ergastolo»

 

Passano più di cinque ore dall'inizio della requisitoria quando in Assise riecheggia l'invocazione della pena: ergastolo. L'Accusa chiede il carcere a vita per Pierluigi Congiu e per Gianluigi Depau, i pastori sardi di 27 anni, accusati di aver partecipato alla strage della Grottella. I due cognati, giunti a Melendugno per condurre le greggi nella masseria «Il capitano», sono in carcere dal 6 dicembre del 99: furono arrestati per ricettazione e favoreggiamento poche ore dopo l'assalto ai portavalori della Velialpol di Veglie, in cui persero la vita tre vigilantes ed altrettanti rimasero feriti. Poi la loro posizione si è fatta sempre più scomoda, finché non sono giunte le confessioni di Vito Di Emidio che hanno incastrato i due sardi. Congiu avrebbe segnalato l'arrivo dei furgoni e poi chiuso ogni via di fuga mettendo l'auto di traverso; De Pau avrebbe partecipato all'azione sparando con un kalashnikov e seguendo le indicazioni di Vito Di Emidio. Per l'accusa sono colpevoli di omicidio plurimo premeditato: «L'obiettivo del commando era quello di portare via il denaro a tutti i costi. E la premeditazione - ha spiegato il pm Guglielmo Cataldi - sta nell'attenzione con cui il commando ha reperito mezzi, armi e bombe». Sul capo dei due sardi pendono anche le accuse di lesioni, detenzione delle armi da guerra e furto. «La loro responsabilità è stata provata; è minore rispetto a quella di Ladu e di Di Emidio, ma non per questo diminuisce la gravità».
La requisitoria si apre alle 9.45. Sul banco della pubblica accusa siedono due pm in gran spolvero: accanto a Guglielmo Cataldi c'è la dottoressa Carolina Elia. Tocca a lei ricostruire l'intelaiatura su cui si regge l'accusa. Tassello dopo tassello, il pm delinea il puzzle faticosamente composto dagli investigatori, arricchito in dibattimento e poi reso inaffondabile con la confessione di Vito Di Emidio. Dichiarazioni che poteva rendere solo chi ha partecipato all'assalto e «che non possono essere il frutto di suggerimenti interessati».
Un punto importante su cui poggia la requisitoria dei pm è l'episodio del 26 novembre del 99 quando il maresciallo dei carabinieri Gianluca Piconese incrocia una Lancia Thema di colore scuro targata AA976TJ (la stessa notata nei luoghi dove sono avvenuti il furto dell'autocarro impiegato nella rapina) che esce dalla masseria «Il Capitano»; a bordo ci sono quattro persone travisate ed in possesso di armi lunghe. Ma nè De Pau né Congiu, che abitavano nella masseria, però, denunciano la presenza del commando in assetto di guerra. Il secondo: i due sardi erano gli unici ad avere la disponibilità delle chiavi del cancello d'accesso nella masseria di Santa Chiara dove venne rinvenuta la 164 del commando. C'è poi un terzo elemento: i rapporti fra Di Emidio e i due sardi. Nonostante Congiu e De Pau lo abbiano negato, «Bullone» sarebbe stato di casa nella masseria «Il capitano»: non a caso ha offerto ai giudici una descrizione attenta e minuziosa del casolare.
La richiesta del carcere a vita riecheggia in un'aula dove il silenzio è tombale. I due imputati, rinchiusi nella gabbia, non lasciano trasparire alcuna emozione. Restano granitici e impassibili; si scambiano solo un rapido sguardo, come chi s'attendeva quella richiesta. Un po' di agitazione, invece, s'avverte fra le donne (le moglie e le madri) dei due sardi. Dall'isola sono giunte nel continente per essere vicine ai mariti e ai figli. Un singhiozzo tradisce il turbamento dopo l'invocazione del carcere a vita. La sentenza è attesa per il 29 aprile.

di Gianfranco Lattante


Una vedova:

«Sono assassini Meritano quella pena»

 

«Spero che ci sia una condanna giusta. E quella che meritano è l'ergastolo». Romina Jacovelli è una delle vedove della strage di Copertino. Suo marito, Raffaele Arnesano, è morto dilaniato dall'esplosione della bomba che, nelle intenzione dei malviventi, doveva servire a sventrare il blindato per arrivare al carico di banconote.
«Nessuna sentenza mi può restituire mio marito. C'è soddisfazione per la richiesta dell'Accusa. Ma confido sempre nella vera giustizia, che ci sarà nell'aldilà». Romina Jacovelli ha seguito l'intera udienza. «Non è stato facile stare qui. Sono distrutta - racconta - Ogni volta è un duro colpo, è una ferita che si riapre. Avessi avuto almeno un figlio, sarebbe stato lo scopo della mia vita».
La vedova non riesce a nascondere la commozione quando il pm ricorda in aula le vittime della strage: Luigi Pulli morto nello scontro fra il furgone blindato e l'autocarro dei malviventi; Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano uccisi dalla deflagrazione della bomba.
L'udienza si è chiusa con l'intervento delle parti civili: le famiglie delle vittime, i superstiti e l'istituto di vigilanza si sono costituiti con gli avvocati Gaetano Gorgoni, Claudio Di Candia ed Ennio Cioffi.
Le arringhe difensive sono previste per il 29 aprile con gli interventi degli avvocati Elvia Belmonte, Enrico Ramazzotti e Andrea Moreno. Subito dopo, i giudici della Corte d'Assise, presieduta da Elio Romano, si riuniranno in camera di consiglio per la sentenza. 

di g.l.


L'inchiesta-bis

Sei indagati con le accuse di «Bullone»

 

Stringono i tempi per la conclusione dell'inchiesta-bis sulla strage di Copertino. E' stata aperta dopo la confessione di Vito Di Emidio e, nei prossimi giorni, dovrebbero essere notificati gli avvisi di conclusione delle indagini.
Di Emidio ha tirato in ballo Marcello Ladu, 28 anni, arrestato in Sardegna dopo una lunga latitanza a Nociglia; Pasquale Tanisi, 38 anni, di Ruffano, e Antonio Tarantini, 27 anni, di Monteroni.
Ecco come Di Emidio ha ricostruito la strage avvenuta sulla San Donato-Copertino: «Tarantini conduceva il camion ed aveva con sé una pistola ed un kalashnikov; io ero a bordo dell'Alfa 164 con diverse armi; Ladu era a bordo della jeep; Pierluigi Congiu sulla Saab. Tanisi ed il cognato di Gigi erano in macchina con me. Quando il primo furgone è giunto a tiro, Antonio si è lanciato contro con il camion. Nel frattempo Gigi era dietro il secondo furgone e lo ha bloccato. A questo punto siamo scesi dai mezzi: Gigi ha iniziato a sparare contro le guardie e nella sua direzione sono accorsi Ladu, Tanisi, l'altro sardo e Antonio».
L'inchiesta riguarda anche l'assalto al portavalori della Velialpol avvenuto il 2 novembre del 99 e che ha rappresentato una sorta di prova generale della strage. In quel caso del commando avrebbe fatto parte Fabio Maggio, 27 anni, di Brindisi.
Per cristallizzare le prove è già stato celebrato l'incidente probatorio. E' servito a blindare le dichiarazioni di Di Emidio e a dimostrare che il capello rinvenuto nell'autocarro utilizzato nel primo assalto appartiene ad Antonio Tarantini.

 

di  g. l.

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