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da "Cosimo Fai"  -  11 gennaio 2005

Adesso comincia il difficile. Basta giocare al ribasso.

  A conclusione di questa manifestazione, quale è stato il Memorial Don Giovanni Tondo, vorrei intervenire anche io con una mia riflessione, convinto che molte cose, e questa in particolare, meritano una attenzione più approfondita e accurata, una pacata e serena disamina, perché la discussione di un avvenimento non sia solo ed esclusivamente frutto dell’emotività del momento. Spesso tutti parliamo di qualcosa senza coglierne le cause e gli effetti anche di lungo periodo, e solo ed esclusivamente nel momento in cui l’avvenimento lo si vive o è fresco di memoria. Poi una volta caduto nel dimenticatoio, tutto il lavoro fatto va a farsi benedire.

In una lettera precedente Fernando ha già spiegato come nasce il Memorial e in tanti hanno ricordato la figura di quest'uomo, una vera pietra miliare della cultura vegliese. Un ruolo importante, nel programmare questa manifestazione e nella scelta degli eventi in calendario, è stato giocato dalla memoria. Il ricordo di una commedia vegliese, rappresentata ben 22 anni fa e il desiderio di far rivivere quell’esperienza, nella maturità dei nostri anni, è stato l’elemento, la molla che ha fatto si che, oggi, un gruppo di amici, di conoscenti e di persone che non si conoscevano, se non di vista, hanno di comune accordo deciso di lavorare ad un progetto, ad un unico obiettivo, superando ogni barriera o, come qualcuno ama dire, pregiudizio di appartenenza culturale o di appartenenza politica. Ognuno dei componenti del gruppo sapeva che dall’altra parte c’era una persona schierata e con le proprie idee, ma la propria diversità, l’essere fermi nelle proprie idee, ha rappresentato solo il patrimonio che sempre più ha cementato il gruppo, ha fatto guardare avanti, ha fatto lavorare in armonia, ognuno nel rispetto del proprio ruolo e nella condivisione con l’altro di qualsiasi momento di difficoltà, di tensione, come anche di gioia, di ilarità, di divertimento, e vi assicuro che ce ne sono stati tanti di questi momenti.

Cinque mesi di intenso e duro lavoro durante i quali la compagnia teatrale si è riunita tre volte a settimana, fin dai primi giorni di settembre, fuori orario lavorativo, cioè dalle nove di sera fino a mezzanotte. In estate poteva anche essere piacevole, ma poi è arrivato anche l’inverno, il freddo, e l’armonia è cresciuta, le discussioni hanno fatto crescere il gruppo, tutti si sono appassionati all’avvenimento. Cinque mesi di preparazione nel più assoluto riserbo, con un unico obiettivo, recitare e recitare al meglio. Quanto “ricuore a mandarinu”  si è consumato e liquore al cioccolato per riscaldare gli animi e il corpo; e poi quanti momenti affiorano nei ricordi: "ci aggiorniamo al prossimo appuntamento";  "la prossima volta miglioriamo questo aspetto della commedia"; "lavoreremo sulla caratterizzazione di quel personaggio",; "attenzione a non sbagliare le entrate";   "attenti ai tempi";   "rispetto per il recitato";   "attenti al tono di voce";   "Santo abbassa la voce";   "Lilly fatti sentire";   "Santina tu devi essere più sbarazzina";   "Nnina ma è possibile che oggi non ti ricordi quello che devi fare?";   "quanti bicchieri facciamo cadere uno o due?";   "oggi facciamo la seconda parte";   "penso che siate pronti, la prossima volta a fare tutta la commedia";   "Pino calati meglio nella parte";   "Zziu Roccu ma tu la parte ti l’ha mparata?";   "Scorfanu, ti ricordi quello che devi dire?";   "Franco, anche senza capelli accentua quel difetto";   "quale foto scegliamo per la locandina";   "quale locandina proponiamo";   "ma veramente dobbiamo fare la locandina?";   "ma veramente volete mettere la nostra fotografia?";   "attenzione a Cosimo che si sta sentendo male per le troppe risate";   "no, io questa scena non la reggo";    "Fernando oggi tu sostituisci Franco che non può venire";  Alt, alt, alt, il turbinio dei ricordi potrebbe a questo punto non avere più fine ma abbiamo ancora altro da raccontare.

Con il passare dei giorni, quella che poteva sembrare semplicemente un'occasione per occupare il tempo libero, per dare spazio ad una passione, gradualmente è diventata un'attività culturale che ha sviluppato un notevole miglioramento nella realizzazione dello spettacolo e che ha permesso, alla fine, di svolgere anche una funzione pubblica.

Questo gruppo di amici, riuniti per commemorare la figura di un sacerdote, attraverso la rappresentazione di una commedia in vernacolo, sono diventati volontari che hanno operato per la cultura della nostra comunità, tutelando quel bene che è il teatro, anche in una situazione ambientale che non offre strutture adeguate. Ma l’organizzazione ha inventato di sana pianta un teatro, dopo aver fatto tutte le ricerche possibili, e scartato tutte le altre alternative non praticabili, nell’unico posto dove era possibile realizzare ciò, facendo di necessità virtù.

Per cui questo evento è stato l’occasione per diffondere e portare a conoscenza del pubblico vegliese, uno spaccato particolare del teatro legato soprattutto a testi di tradizione popolare e del teatro in vernacolo, permettendo ancora una volta la riscoperta e la valorizzazione del patrimonio del teatro in lingua.

Il filo invisibile ma ben presente, fin dall’inizio, nel progetto di chi ha organizzato questo evento è stato quello di ricollegare il teatro dialettale ad una funzione culturale - straordinariamente operata da don Giovanni Tondo con il suo “Lithrattu ti Eie” - di "memoria linguistica" , recupero cioè del nostro dialetto, da non considerare mai una sottolingua povera e volgare. Quel dialetto che ha un ruolo importante per la storia di un territorio e di una città come strumento linguistico che appartiene esclusivamente alla comunità locale.

E il desiderio di collegare l’opera di divulgazione del libro di don Giovanni e la riproposizione di un testo teatrale in vernacolo vuole solo favorire nei giovani l'acquisizione di un patrimonio culturale destinato a disperdersi se non si ricostruiscono i rapporti con la propria memoria storica. E quale migliore occasione, se non il teatro, per aiutare in questo compito così arduo, chi vuole operare nel settore “cultura”.

Era ben chiara la consapevolezza che proporre il teatro a Veglie, inventato di sana pianta come spazio scenico e recettivo, significava far assumere particolare importanza ad un "piccolo teatro", proprio in virtù della sua caratteristica dimensionale, (che ha rappresentato il vero imbuto, la vera strettoia e forse, anzi sicuramente, l’unico difetto nell’organizzazione della manifestazione, non potendo accogliere la sala più di 150 persone per volta) sia come posizione geografica decentrata, rispetto ai teatri più o meno grandi di città o paesi vicini...

Per un mese il “nostro teatro” ha assunto un ruolo "centrale" nel sistema spettacolo, svolgendo degnamente la funzione di formazione del pubblico, di educazione al linguaggio dello spettacolo, di spazio di incontro e confronto fra amici, provenienze, formazione e linguaggi culturali diversi. Abbiamo iniziato il 4 dicembre e poi il 5 e ancora l’8 dicembre, poi il 26 dicembre, poi il 2  l’8 ed il 9 gennaio 2005. Agli “Amici della Fotografia” e a "Veglienews" si sono aggiunte altre associazioni, che hanno fermamente creduto nel nostro lavoro, a supportare gli “Amici del Teatro”: prima l’Associazione di Volontariato “Enrica Rizzo” e poi l'associazione Turistica Pro Loco di Veglie.

Ed allora cosa aggiungere se non  "Bentornato «Lu tiraturu ti la vita»", con i tuoi ventidue anni e passa, armai adulto, che ci diverti ancora, sia pure con un’ombra di poetica amarezza, che qualcuno interpreta in modo fatalistico, come evento ineluttabile di una vita misera, povera seppur onesta, e che altri interpretano come elemento e momento di partenza di un riscatto sociale, umano, culturale di una intera collettività. Ben tornati, dunque. Bentornata Nnina, con la tua bonaria aggressività farsesca, madre onirica di giorni che appartengono alla nostra giovinezza; bentornato Ciccio Lamatassa, eroe indiscusso di un imbroglio catastrofico; bentornata Zzia Pia con la tua folgorante ilarità, che in soli dieci minuti prepari gli avvenimenti e gli eventi a seguire, rendendo intelligibile lo sbroglio di una matassa imbrogliata; benvenuta Santina nel mondo del teatro e della vita, a combattere subito con gli amori e gli errori del tuo mondo, disincanto giovanile che le prospettive della vita rendono complice di un ingranaggio non voluto, desiderato, elemento di una gioventù cui consegnare certezze e paure, insicurezze e maldestre ilarità; benvenuta Lilly - "capu calata, capu calata" -  la tua dolcezza è pari solo all’arroganza dei grandi che attraverso te perpetuano atteggiamenti rocamboleschi e avventurosi che non appartengono ad un mondo civile e democratico. E’ grazie a te che ognuno di noi riscopre il desiderio di vero riscattato e il recupero di una innocenza perduta. Benvenuti Zziu Roccu, Don Luigi, Carmelu Scorfanu, Nutaru, tutti legati da un filo invisibile ma indistruttibile, personaggi di un affresco dell’assurdo, che ci vengono offerti per poter meglio scegliere, tra i paradossi e le contraddizioni di un mondo fatto di maschere e di sentimenti.

Spero di non cadere nella retorica se da queste poche righe intendo dire ancora una volta il mio grazie a tutti questi “amici”, grazie a te Maria Domenica Pulli per questa invenzione letteraria e teatrale che sicuramente parte dalla realtà per dare il proprio contributo per uno sviluppo culturale e democratico del nostro paese. Parlo di Veglie e non di altre realtà, perché è a Veglie che noi viviamo, produciamo, spendiamo, confrontiamo, determiniamo, nel bene e nel male, le sorti di questa comunità.

Il mondo in cui andremo a vivere, della globalizzazione, non ci può trovare impreparati, ma tanto più riusciremo ad essere integrati, quanto più ci sarà la capacità di avere una previsione strategica, lungimirante e portata avanti anche con coraggio e spirito di sacrificio. Quel coraggio e spirito di sacrificio con cui tutti noi, tutti voi vi siete messi in discussione ed in gioco, fino in fondo, mettendo al bando qualsiasi “personalizzazione”: il “divismo pollastraio e gallinaro” non ha trovato dimora in nessuna piega del nostro progetto, ed è stato giustamente bandito come un fenomeno imbarazzante, che ben si inquadra solo e solamente in un sistema di vendita porta a porta, in cui è importante “vendere” se stessi ed il prodotto che si rappresenta. Noi siamo stati un piccolo, minuscolo tassello di quel processo di comprensione secolare di un mondo sempre più complesso e diversificato, che merita solo la giusta curiosità e una seria riflessione. Ognuno di noi ha fatto si che tutte le idee avessero una rappresentanza, anche nella loro giusta conflittualità. Un modo serio e costruttivo di partecipare alle decisioni collettive, perché non passino sopra la nostra testa.

Ma tutto questo non basta, tutto questo non può appagare chi è desideroso di conoscenza ed è portatore di progettualità costruttive di cultura e convivenza civile.

La vera sfida inizia adesso.

Questo è solo l’inizio, il punto fermo e fisso di partenza. Quello che fino ad ora si è costruito è qualcosa che non può rimanere sulla carta, o finalizzato a scaldare una memoria stanca e nostalgica. Ai ciechi basta parlare per farsi ascoltare, ma ai sordi bisogna gridare le proprie ragioni, sempre che si abbiano delle ragioni da far valere e da gridare. Allora l’atto di assunzione di responsabilità che deve venir fuori da questa esperienza non può andare se non verso la creazione di un laboratorio teatrale che coinvolga i bambini, i giovani, gli adulti, gli insegnati, le categorie disagiate. Uno spazio umano e fisico dove ognuno possa esprimere liberamente la propria creatività, rapportandosi con i vincoli e le regole che sono proprie del teatro, e questo lo abbiamo imparato e ricordato in questi cinque mesi, ma che ancor prima appartengono alla vita di tutti i giorni. Regole legate all’uso dello spazio scenico, e quindi conoscenza e rispetto della propria libertà; alla conquista del proprio ruolo senza prevaricazione dei propri compagni di lavoro, e quindi condivisione e solidarietà;  regole legate alla comunicazione con il pubblico e con gli altri attori, quindi partecipazione alla determinazione del proprio destino; regole di comune accettazione e solidarietà con il prossimo. In questa ottica, è naturale convincersi che il teatro non è solo o semplicemente un momento ludico o una forma ricreativa, ma assume tutti i connotati di una esperienza gratificante di socializzazione, di benessere, di conoscenza di se stessi e di accettazione dei propri limiti.

LA SCOMMESSA

Questa mia vuole essere ovviamente solo una provocazione. Si è vero, per la buona riuscita di qualsiasi manifestazione occorre innanzitutto un buon progetto, poi delle persone che si facciano carico della responsabilità della esecuzione di tale progetto, e attorno a questo poi sarebbe utile, ma direi necessario, pover aggregare tutte quelle forze sociali interessate a sostenere questo percorso di crescita culturale e civile del nostro paese. A questo punto tutta Veglie dovrebbe essere interessata e l’adesione dovrebbe vedere impegnati in prima persona non solo i privati cittadini, le imprese locali, le associazioni culturali, gli enti e le istituzioni private ma anche l’ente pubblico, il Comune. Volutamente citato per ultimo, perché la vera provocazione, la vera sfida è rivolta a chi è sordo.

Sarebbe auspicabile, civile e naturale e ormai improcrastinabile, nella nostra Veglie, assistere all’interessamento del Comune, per la parte di sua competenza, attraverso gli assessorati alla cultura, ai beni patrimoniali, alle attività produttive, per la realizzazione di uno spazio di aggregazione culturale adeguato alle esigenze, non quel “taja e minuzza” cui siamo stati abituati negli ultimi trent’anni. Tanti spazi, tante cattedrali nel deserto che non servono perché sempre inadeguate allo scopo, il più assoluto interesse a far precedere il reperimento dei fondi al progetto. Basta con l’improvvisazione, basta con la politica del “tappabuchi”. Il teatro, il cinema, lo spettacolo, le attività culturali nella loro complessità e diversità richiedono un serio intervento e investimento soprattutto pubblico, perché i privati, le associazioni culturali hanno fatto finanche troppo per questo paese.

I tempi, da troppo tempo, sono armai maturi. Credibile non è promette ma realizzare un programma serio di individuazione e organizzazione di servizi e spazi pienamente accessibili alla popolazione di ogni fascia di età, con particolare attenzione ai giovani, alle associazioni culturali, ai cittadini diversamente abili, in generale alle risorse locali della nostra Veglie, per la creazione e lo sviluppo del sistema locale di produzione e fruizione della cultura, che passa attraverso cicli produttivi complessi (dalla ricerca alla produzione, dalla formazione del pubblico alla formazione professionale, dalla distribuzione alla promozione).

I tempi della burocrazia sono molto lunghi, almeno quanto è lunga l’agonia culturale in cui versa questo paese. Se solo ci fosse la volontà, si potrebbe riaprire, forse, qualche vecchio cinema……… senza aspettare la realizzazione della nuova Scala di …. Ma a chi tocca rimboccarsi le maniche?

Spero di aver fatto capire il mio pensiero ed il mio modo di agire. Non sempre il "mulo con la capezza" è un essere inutile, spesso è proprio grazie a lui che, attraverso strade impervie e piene di difficoltà, il contadino riesce a portare a casa la sua pelle e la legna per il suo camino.

Ringrazio veglienews per la disponibilità e lo invito fin da ora alle prossime manifestazioni che il Circolo Culturale “Amici della Fotografia” vorrà e saprà programmare per la nostra Veglie.

Cosimo Fai